L’intramontabile Adrian Ricchiuti

Un sonnacchioso venerdì sera ritrovo Adrian Ricchiuti, il centravanti del Rimini nell’indimenticabile ciclo del presidentissimo Vincenzo Bellavista, correre ancora sui campi da calcio.

Una parte di me è molto legata ai ricordi del Rimini del presidentissimo Vincenzo Bellavista, imprenditore visionario che aveva un progetto e che voleva estenderlo alla Rimini che amava e che lo aveva visto nascere.
Era uno dei rari esempi di riminesi che rimane nella sua città invece di cercare fortuna nella grande metropoli e le regala qualcosa magari di apparentemente piccolo, ma che negli anni, nei racconti degli anziani del bar, in quello che diventerò anche io in storie polverose che dirò ai nipoti trasmetterò quel sentimento, quei pomeriggi d’estate e quelle promozioni.
Da qualche parte, tra le righe della nuova pavimentazione del Borgo San Giuliano, tra i corridoi pieni di granuli di sabbia del ciottolato dei marciapiedi, tra le millenarie pietre del Ponte di Tiberio, nell’alto del vento che si incunea tra i merli ghibellini dell’Arco d’Augusto tra voli imprevedibili e ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometrie esistenziali, riecheggiano le grida d’entusiasmo e i cori per quella squadra che ha regalato, grazie a un Presidente amatissimo, anni di stupore calcistico che mancava da almeno trent’anni.
Una parte di me, pur vivendola parallelamente, ancora oggi ricorda con affetto quella squadra. E quelle imprese calcistiche.

Venerdì 14 marzo 2014 dopo una cena frugale mi siedo sul divano e accendo la televisione. Ho 39 anni, una nuova vita e non abito più a Rimini. Un paesino diroccato su una collina mi accoglie, i Sibillini da un lato, il Conero e il mar Adriatico dall’altro. Almeno rimango sulla stessa costa.
È un sonnacchioso venerdì di marzo, persino noioso.
Cambio canale riappropriandomi di una libertà, quella di vivere le serate davanti alla tivù, che avevo perduto, per cui non sono molto ferrata sui palinsesti e su ciò che mi va di vedere. Il mio zapping è furioso, cronologico e indeciso. Fino a che il polpastrello spinge l’ultimo pulsante che, nella mia idea di digitale terrestre, è al limite dei canali guardabili, il canale 58, Rai Sport2.
La mia percezione gestaltiana ha intravisto qualcosa che mi piace molto sul canale precedente, scorso automaticamente troppo in fretta.
Torno indietro, al 57.
RaiSport trasmette in diretta una partita della declassata Serie C chiamata ora Lega Pro, seguendo tendenze nominative piuttosto anglosassoni non tanto nella forma quanto nell’idea di fascinazione di una categoria, la C, che, io essendo cresciuta a Rimini e andando allo Stadio Romeo Neri a vedere la squadra locale in derby volgari contro la Vis Pesaro, è una dimensione già più che affascinante.
In Cinquecento milioni di stelle per esempio, il mio fumetto edito nel 2013 dalla defunta Kappa Edizioni, la protagonista Rebecca e le sue amiche vanno al campo di Serravalle a San Marino a vedere il derbissimo dell’epoca Murata-Faetano durante una notte diaccia il cui cielo scuro e nitido spruzzava sbuffi di neve pericolosi.
Il mio amore per il calcio è riuscito anche a farmi vedere partite dimenticabilissime, per cui tentare di chiamare un campionato in un modo più alla moda non cancella anni di storie di campi di fango e storie umane spesso commoventi.
La didascalia in alto a destra dice: Ent 0-0 Reg 34,48.
Mi ritrovo a indovinare se il Reg sia reggina o reggiana (sarà la seconda), ma quell’Ent non l’ho mai sentito.
I., che è seduta vicino a me, azzarda un “Sembra l’Entella, la squadra di Chiavari”.
Aguzziamo la vista, entrambe incuriosite non tanto della partita quanto da quella soluzione da Settimana Enigmistica improvvisa.
Guardiamo meglio gli zoom sui cartelloni pubblicitari intorno al campo ed è tutta una pubblicità alle aziende e servizi commerciali di Chiavari.
Alzo il volume e dalla telecronaca scopriamo anche che è la partita del centenario, giocata peraltro con maglie speciali indossate per l’occasione, e che dei 4.200 posti dello stadio sono pieni 3.800.
I. che è di Chiavari dice un “ma pensa te” sorpreso.
Ce la guardiamo quasi incredule da quell’inaspettata variazione di un programma mai deciso. Di solito, finisce con un film o una serie, invece il calcio che in anni passati avevo quasi perso, lo ritrovo quella sera, per non lasciarlo più.

L’Entella è il fiume che divide Chiavari da Lavagna e arrivando dall’autostrada si attraversa un ponte molto stretto, proprio sul fiume. Curioso come una partita di Lega Pro raccolga una serie di circostanze e ricordi che confluiscono in un insieme che riporta a un presente quotidiano, come per esempio che l’arbitro è di Macerata, città marchigiana a un’ora di strada interna da dove abitiamo io e I..
Fumo una sigaretta in studio, nell’intervallo.
Nella vallata ascolto le urla dell’allenatore al campo di Gabella echeggiare e le luci del campo illuminare gli allenamenti di operai, commercianti, fattorini e impiegati che sognano calciando i palloni della Champions, aspettando una doccia si spera calda negli spogliatoi a scrostare fango e scherzando del più e del meno, nell’attesa di una pizza insieme e da finire la serata senza esagerare in previsione della partita della domenica.

Quando torno in sala è iniziato il secondo tempo e l’Entella si appresta a una sostituzione: un giocatore in procinto di entrare sulla linea laterale del centrocampo con sulle spalle il numero 16 scatena l’ovazione del pubblico.
Non colgo subito, poi il telecronista annuncia l’imminente ingresso di Ricchiuti.
Io penso: quel Ricchiuti?
Faccio un rapido calcolo di quanti anni possa avere, ricordavo che eravamo quasi coetanei per cui mi dico che forse non può proprio essere lui, se io veleggio verso i quaranta il Ricchiuti che conosco io ne deve avere almeno 35, 36, comunque un’età avanzata per il calcio che ancora conta.
Non passa nemmeno un minuto da queste mie elucubrazioni matematiche che vengo clamorosamente smentita da un primo piano del numero 16 della Virtus Entella: quel Ricchiuti è il mio Adrian Ricchiuti.
Come Anton Ego assaggia la ratatouille preparata da Remy il topolino nell’omonimo film d’animazione della Pixar e al primo boccone si ritrova bambino a mangiare la semplice verdura nella calda memoria della cucina coccolato da una madre che non c’è più, ritornando a sapori persi, a mia volta io ritorno in una Rimini estiva, in quelle pieghe della memoria di un decennio precedente. Gli anni del presidentissimo Bellavista nei quali il Rimini era in Serie B e ciò che questo ha comportato per la città.

Adrian Ricchiuti è un calciatore argentino di buone speranze, svezzato su campi di terra in un’epoca nella quale i giovani argentini arrivano in Italia e bazzicano le serie minori fino alla svolta.
Per Ricchiuti la vera svolta non arriverà mai veramente, pur arrivando a giocare in Serie A in un Catania spettacolare che tra 2006 e 2013 arriva alla semifinale di Coppa Italia, batte l’Inter del Triplete, conquista un piazzamento nelle coppe europee e alterna allenatori come Walter Zenga, Sinisa Mihajlovic, Diego Simeone e Rolando Maran con giocatori passati alla storia delle memorie di noi appassionati come Mascara e Spinesi.
Come capita a molti giocatori sarà una città di mare sull’Adriatico ad accoglierlo e a regalargli se non le soddisfazioni e le vittorie migliori almeno dei ricordi indelebili ed eterni.
A Rimini si ritrova in una squadra in piena costruzione visionaria di un semplice impiegato della Cocif, Vincenzo Bellavista, che ne diventa presidente, raddoppiando il fatturato e portando un’azienda di pochi soci per lo più falegnami in un mercato di livello nazionale, diventando leader in infissi e stipiti in legno e arredamento vario, e salvando il Rimini calcio dal fallimento. La squadra che prende in mano è un brandello di giocatori stanchi e annoiati, molto abbronzati e tanti anche a fine carriera ma che erano diventati comunque mini idoli cittadini, come Paolo Bravo e Luca D’Angelo. Con quello che oggi mi sembra un magheggio di operazioni di mercato che, tra prestiti di giovani da far crescere ad acquisti oculati e lungimiranti, Bellavista e il suo staff compongono una squadra che è un gioiellino, in quella chimica che ha visto molte favole del calcio moderno, come il Leicester di Ranieri per esempio.
Arrivarono giocatori che, sarà l’aria di mare, sarà stata la passione esemplare del Presidentissimo furono catapultati in un’impresa che non si vedeva da decenni: la promozione in Serie B che ancora oggi molti di noi ricordano calorosamente.

Cos’era Rimini quel pomeriggio di maggio del 2006?
C’era un sole caldo di estate già iniziata, le strade semivuote, un silenzio irreale che si infranse al fischio di un arbitro e di un risultato che dichiarava ufficialmente il Rimini in Serie B.
La gioia che io vidi, nella carovana di bandiere bianche e rosse, di auto incolonnate all’improvviso, di sirene e urla e grida, di clacson e di trombette da stadio, di fiumana di gente materializzata nei viali che portano al mare verso la Rotonda del Grand Hotel che, da sempre, è il luogo delle feste calcistiche, qualunque colore si celebri, è un ricordo inestimabile. Rivedo la me stessa trentunenne che si apre in un sorriso a quella folla impazzita e alza i pugni al cielo, che applaude e ride ad amici e a sconosciuti.
Per un brevissimo momento, come poi ce ne sarebbero stati molti negli anni, non ultimo la quarantena per il covid19 del 2020, ci saremmo sentiti tutti uguali, simili, felici allo stesso identico modo.
La squadra che andava a giocare la prima di campionato contro la Juventus nel settembre del 2006, caduta in B per Calciopoli, aveva giocatori come il portiere Samir Handanovic (Udinese e Inter), Alessandro Matri (Juventus, Milan, Fiorentina, Sassuolo), Jeda (Cagliari), Adrian Ricchiuti (Catania), Sergio Floccari (Atalanta, Spal), Davide Moscardelli (Chievo, Bologna, Arezzo, Pisa), tra gli altri, un mix sorprendente di muscoli ed entusiasmo.
Quello stesso stadio che ora si riempiva di nuove generazioni, era il Rimini della B, quello che aveva pareggiato contro la Juventus dei campioni del mondo in Germania Buffon e Del Piero, ora quei calciatori erano i nuovi idoli della città.
Quello stesso stadio che aveva visto la me bambina vedere dalla curva adibita per la prima promozione storica in B, quella del campionato 1975/76, e rimasta anche per il campionato della risalita nella serie cadetta del 1980, una domenica di primavera del 1981 accompagnata dal babbo che per risparmiare ci aveva fatto sedere nella curva degli ospiti, un Rimini  – Palermo 1 -1 bagnato dal sole dell’estate imminente.
Quello stesso stadio che mi rivide ventenne, quando ormai il Rimini veleggiava mestamente nel girone B del campionato di Serie C2, e sugli spalti c’erano solo anziani con il bastone che ne avevano per qualunque pesarese si affacciasse sul cemento della tribuna dei distinti.
Quello stesso stadio che a metà dei 2000 era diventato una passerella perché andare allo stadio era diventato di moda.
E di moda, erano loro, i nostri Cristiano Ronaldo dell’epoca Bellavista, che con i loro sorrisi fasciavano le pubblicità della Cocif, dei ristoranti, dei locali, dei negozi, e qualunque locale li si avvistasse iniziava a veder raddoppiato il fatturato improvvisamente pieno di gente nell’attesa degli idoli biancorossi.
Adrian Ricchiuti, su tutti, era il simbolo di quel Rimini. Non foss’altro per la rete a Buffon di quel famoso pomeriggio di settembre.

Nel tempo, fanno sorridere queste pubblicità o anche solo i ricordi di esse sulle frequenze di Teleromagna, ricordi dei loro faccioni per locali nei quali gli stessi ricordi sono annebbiati da bevute fantastiche, locali a volte di cui si conoscevano solo i bagni.
Ma anche questo, suppongo, sia il vivere una città, conoscerne a mena dito abitudini, bugie e gioie.
Qui Rimini di Ricchiuti gioca tre campionati di B, l’ultimo gli è fatale e retrocede nella ghigliottina della C. Vincenzo Bellavista se ne va improvvisamente in una mattina soleggiata di maggio, c’erano 25 gradi e la minima era del 12,5. Se ne andò così, e, con lui, altrettanto fatalmente quel Rimini costruito con tanto amore.
All’improvviso finì tutto.
Finirono le serate allo stadio, finirono le pubblicità, finirono gli appostamenti nei locali. E i giocatori furono venduti.
Ricchiuti andò per esempio, nel suo sempre piccolo grande modo di costruire una storia a lui parallela ma sempre preziosa per la gente che lo applaude dagli spalti, al Catania di Zenga, che fece benissimo, per poi girovagare fino a oggi, su qualche campo di San Marino, anche se la foto su Wikipedia lo ritrae sempre lì, quel famoso pomeriggio di settembre, nell’area della Juventus davanti a Buffon e circondato da difensori bianconeri.
Oggi non esiste più niente di tutto questo.
Allo stadio, ci sono nuovi vecchietti.
Ogni tanto li rivedo, nel piazzale davanti allo stadio. Parlano tra loro, romantici, del tempo forse, ma sempre all’ombra di quelle alte mura al cui interno, per qualche anno, s’è fatta la storia.

Il telecronista annuncia un minispot.
Vengo distolta dalla Rimini del 2006, dalla Rimini che esplodeva come ogni altra città italiana nella felicità di essere per la quarta volta Campioni del Mondo.
Ritorno al presente, sul divano, al secondo tempo di Entella – Reggiana.
Ricchiuti sì, penso, ha esattamente questa qualità: rendere speciali le sue avventure con le maglie di calcio, rendere eterni momenti che per quanto piccoli, di squadre provinciali, riecheggeranno tra le mattonelle dei bar, tra gli anziani di cui sopra, tra i tintinnii dei cucchiaini di caffè al banco, in fazzoletti passati su fronti madide, in spiaggia di sabbia o sassi, in Liguria e in Romagna, ad applaudire e a ricordare un giocatore di statura bassa che continua regalare sogni.
Lo fa anche questa sera. Segna l’1 -0 preziosissimo per l’Entella che si avvicina a un’altra, per Ricchiuti, storica promozione in Serie B.
Per un altro attimo, Ricchiuti mi ricorda il Kevin Costner del film “Bull Durham“; è la storia di un veterano del baseball che viene chiamato a portare la sua esperienza in una squadretta di Minor League la cui missione è quella di far crescere i giovani, da vendere in seguito al miglior offerente.
L’ingresso di Ricchiuti cambia la partita.
Esistono quei giocatori che entrano in campo e poi cambiamo volto alla partita, senza fare nemmeno chissà quali gran cose.
E Ricchiuti fa questo, ha sempre fatto questo e continua a farlo.
L’Intramontabile Adrian Ricchiuti.

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