Volevo scrivere di Davide Moscardelli da qualche tempo e ne approfitto adesso che il nostro si è ritrovato a segnare il suo 150mo gol in carriera. Che proprio poco non è.
Moscardelli non è un fenomeno, intendiamoci. È uno di quei buonissimi giocatori come ne è piena la storia del calcio e che nonostante abbia avuto le vetrine in Serie A è sempre rimasto in quella fetta di giocatori di nicchia che fanno tanto bene nelle squadre di media classifica o definite piccole. Non è mai approdato al Milan o alla Juve, alla Matri tipo (che con gente come Gilardino, Borriello, Pazzini ma all’epoca anche Ganz, attaccanti che hanno sempre fatto il loro, faticando nelle “grandi” e strabiliando in quelle minori) ha vestito in A le maglie di Chievo e Bologna, indossando quel numero 10 che a noi nostalgici di un certo tipo di calcio richiama ricordi fondamentali e che però, barba a parte, non ha serbato ricordi legati a epocali vittorie ma sicuramente quello di un professionista serio che si è sempre impegnato, ogni giorno in allenamento e in partita ogni volta che è stato chiamato a dare il suo contributo.
È uno che le sue giocate le sa fare, indubbiamente, e i gol li segna, spesso molto belli e dalle esultanze in alcuni casi focose.
E che il mestiere lo sappia fare è evidente nella delizia del riscaldamento in un pre partita.
L’ho incontrato una volta.
Era verso la fine del campionato, un mese come maggio, di quelle annate nelle quali non ci sono Europei e nemmeno Mondiali in estate.
Facevo la stagione alla piadineria “Casina del Bosco” in non ricordo quale dei sei anni passati lì, 2005 forse o 2007, gli anni di Moscardelli al Rimini. Erano gli anni di quel Rimini, quello amato di Bellavista, anni nei quali Rimini e la sua squadra di calcio poteva vantare di aver potuto giocare una partita ufficiale contro la Juventus e di averla incredibilmente pareggiata con quell’Adrian Ricchiuti che oggi ci rigioca ancora, nel Rimini, dopo la parentesi chiavarese nell’Entella, la cui esperienza, ha affermato, importante ma chiusa troppo frettolosamente dalla società e non certo per demeriti suoi. Sì, in quel Rimini c’era gente così, Matri stesso veniva a mangiare alla “Casina”, tutti i giocatori di calcio e molti di basket venivano alla “Casina”, Jeda poi era uno dei più affezionati. Ma Moscardelli poco.
Quel pomeriggio dal sole basso, nella luce calante da siesta, arrivò sulle stampelle, accompagnato da non ricordo chi. Non aveva ancora la barba che oggi ne fa un mito riconoscibile, ma capelli lunghi lisci, una barba abbozzata su quel suo mento lungo e un filo di barbetta che continuava la mosca sotto il labbro inferiore. Un colosso d’uomo a ricordarlo, alto, piazzato, muscoloso. Lui e le stampelle. Lo aiutai a spostare il tavolo e a porgergli un’altra sedia per stendere la gamba infortunata.
A Rimini non trascorse certo gli anni migliori della carriera, spesso in panchina e poi anche infortunato e un paio d’anni dopo trasferirsi e riscattarsi dai cugini cesenati. Ricordo che fu un colpo per i tifosi: vai ovunque ma non a Cesena, tanta è la rivalità.
Moscardelli arrivò quel pomeriggio caldo e assolato, mangiò la sua piada, bevve la sua bibita analcolica e poi se ne andò. Molto semplicemente, senza clamori, senza pubblicità, come uno qualunque. Tranquillo, zoppicante sulle stampelle. Non ricordo se parlammo, ma la sensazione che gli lessi nell’animo e negli occhi è di quelli che non aveva molta voglia di gente intorno: fai il lavoro più bello del mondo, infortunato in un Rimini che fa la storia, e ti infortuni pure. Sì, lo ricordo silenzioso, schivo, e gentile.
Davide Moscardelli è nato in belgio da genitori italiani e ha sempre vissuto in Italia. Tifa Roma perché è lì che è cresciuto e poi, come tutti noi, ha intrapreso la carriera di calciatore. Noi abbiamo tutti smesso, lui ha continuato. Ha girovagato parecchio, il ragazzo, e ha segnato parecchio in tutte le categorie dalla a alla Lega Pro finanche in Serie D. Ha giocato nella Triestina, nel Rimini, nel Cesena, nel Piacenza, nel Chievo e nel Bologna fino a quel Lecce in Lega Pro nel quale sta mettendo l’anima (e oggi nell’Arezzo, l’oggi nel quale rettifico questo pezzo).
Ti aspetti che un Moscardelli giochi in una squadra magari minore della Serie A, ma comunque lì, ti aspetti di vederlo esultare dopo un tiro del suo buon mancino negli stadi della massima serie invece che in campi di provincia. Ti aspetti insomma, magari nel mio caso, per simpatia, ma te lo aspetti da un’altra parte e non certo in Lega Pro.
Si è fatto crescere la barba che lo ha fatto conoscere presumibilmente seguendo la moda del movember (movimento nato per sensibilizzare il cancro alla prostata gli uomini si fanno crescere principalmente i baffi ma ormai si è allargata anche alla barba nel mese di novembre) ed è anche molto attento alle campagne di sensibilizzazione.
Insomma, Moscardelli è uno figo. Oggi, dopo tanti anni, chiedi se alla partita di calcetto del venerdì sera non si fa un figurone con la maglia di Moscardelli sulle spalle, per dire.
Forse lo è sempre stato, figo, di certo la crescita della sua barba lo ha reso maggiormente popolare.
E poi quando un giocatore esulta così come fa a non stare simpatico?
Così, 150 di questo Moscardelli che a 34 anni ha ancora una voglia di giocare e una passione che di lui ci si innamora in un secondo.