ho sempre amato le piccole realtà sportive che con passione e impegno sono diventate grandi.
grandi in quel contesto di conoscenza che si può arrivare a conoscere.
esistono così tante bellezze che ci regala lo sport e conoscerle tutte è impossibile, ma nei limiti quando addirittura le si può vivere, be’, l’emozione che fanno provare è persino commuovente.
è una serata di inizio maggio, non caldissima, e qualche prima lucciola si affaccia timidamente tra i cespugli e lungo la campagna marchigiana.
le prime volte che venivo qui, nella casa dove ora ho lo studio e la mia nuova vita, ne vedevo in continuazione e, pensavo, che meraviglia… io le lucciole non le vedevo più da quando, piccolina, andavo a mangiare la piada al chiosco a covignano di rimini, dall’ilde. le lucciole continuano ad avere un sapore d’infanzia.
e a meno che non si tratti di calcio, la memoria sportiva è piuttosto breve, tranne quando vengono a mancare campioni che hanno in un qualche modo condizionato la visione che da adulti si ha dello sport.
come ayrton senna. la sua morte, nei ricordi, è alla stregua dell’11 settembre. si ha un’immagine vivida, negli anni, del luogo in cui si era quando è accaduta questa/e tragedia/e.
ognuno di noi ha poi i suoi idoli. c’è chi si ricorda il momento in cui ha saputo della morte di kurt cobain, per dirne uno, o phillip seymour hoffman, o mandela.
ognuno ha il suo ricordo. e la sua storia.
la mia abbraccia anche, soprattutto, quella sportiva.
domenica 4 maggio si scatena la mia passione.
la povera ila è costretta a sopportare un intero pomeriggio di calcio, seguendo persino sulla pagina web dell’entella, il risultato decisivo nella partita con la cremonese che vale la prima, storica, serie b della squadra chiavarese.
e la sera, poveretta, addirittura gara 5 della finale scudetto tra famila schio e passalacqua ragusa di basket femminile.
a parte il mio intramontabile milan (che peraltro quella sera mi regala la vittoria nel derby), non so perchè le squadre che tifo hanno colori sociali che passano dal biancoceleste al biancoazzurro all’arancione.
il biancoceleste del virtus entella.
il biancoazzurro del montemarciano calcio e della ormai defunta germano zama basket.
l’arancione di schio e dell’olanda.
chi mi conosce stra stra stra bene, sa che per me dio è arrivato sulla terra quando il milan ha comprato marco van basten dopo che in quell’europeo 1988 segnò quell’indimenticabile rete nella finale di coppa europa contro l’allora URSS.
van basten al quale riuscii a stringere la mano nel 1990, a milanello, e a parlarci, grazie alla zia diana che con gli amici di milano mi portarono poi in giro per l’europa a seguire il milan. QUEL MILAN.
mancai una settimana durante il liceo perché andai a marsiglia in quella scellerata semifinale contro l’olympique, la famosa sera del velodrome e dei fari dello stadio spenti e che non volevano sapere di riaccendersi.
andai a monaco di baviera, sempre perdente contro quel marsiglia di bernard tapie che si fece anche attore nei film di lelouch. fu l’ultima volta che vidi giocare van basten, con ai piedi quelle sue diadora dal simbolo laterale arancione.
andai ad atene e il milan trionfò con quel 4-0 che nessun milanista ha mai dimenticato contro quel saccente di johann cruyff.
io ero lì, diciottenne, piena di sogni, e con la vita davanti.
certo, più tutti i fine settimana prima dell’università che andavo a milano a vedere le partite di campionato.
quindi l’arancione dell’olanda che ho sempre tifato dopo l’italia.
e schio.
dopo la dipartita della germano zama, che ha ceduto il titolo sportivo nel 2012, nella mia visione del basket si è creato un piccolo vuoto.
schio lo riempie lievemente.
sia chiaro. fare un canestro magari mi viene anche, ma rispettare le regole non fa per me. la volta che hanno provato a spiegarmi i “passi” è stato un disastro. comprensibile. per me una palla va tra i piedi. se vedo un sasso per strada la prima cosa che mi viene in mente è calciarlo, mica raccoglierlo e provare a far canestro in un cestino…
ma mi piace guardarlo.
e mi piace essere stata testimone del club atletico faenza di basket femminile negli anni migliori. quando si partiva almeno tre ore prima per comprare i biglietti al pala bubani a faenza, quando si guardavano le repliche della GZ su tipo tele1 delle partite in trasferta.
e come dimenticare simona ballardini, ora a priolo, marija eric, sempre a priolo dopo un pellegrinaggio infinito tra italia russia e sa la madonna che altro, maria chiara franchini, che so essere tornata nella natia parma, marte alexandre, daliborka jokic, emanuela ramon, cintia dos santos e tante altre che la mia memoria ha perso, ma che ho tifato, là sugli spalti del pala bubani, l’indimenticabile pala bubani, anche durante le finali di coppa italia, durante le finali scudetto contro schio, durante QUELLA partita nella quale il ginocchio della ballardini è saltato per la seconda volta. e io ero là. a soffrire come tutti gli altri. come paolo rossi, l’allenatore di quegli anni.
com’è piccolo il mondo alle volte. la figlia del coach, ferrarese di nascita ma riminese di adozione, la conosco da milioni di anni, così come suo fratello, filippo, che nella marr giocò non so per quanto tempo.
e me lo ritrovo a faenza.
quella squadra. che oggi non esiste più.
è sempre triste ricordare qualcosa che si è amato e che non esiste più.
il fatto poi che sia una società sportiva lo è ancora di più.
io tiferò per sempre il milan. quel milan che ho amato, quello dei tre olandesi, non esiste più, ma il milan è lì, vittorioso o meno, ma…c’è.
la germano zama no.
quello che segue è il mio ricordo di quegli anni nei quali il club atletico faenza mi ha fatto sognare.
una storia breve, da otto tavole, pubblicata con gli amici della Selfcomics nel 2008, il mio tributo a ciò che non esiste più.
ballardini forever.