Questo Canada FIFA Women’s World Cup 2015 parte a testa bassa e poco riconoscimento. L’Italia non partecipa e il calcio femminile ha i suoi problemi. Accidenti. Fossero stati i Mondiali di calcio maschili ci sarebbe stata un’ondata mediatica per cui ogni televisione finanche OndaLatina sul 162 del digitale terrestre avrebbe dato spazio all’evento. L’anno scorso di questi tempi non si parlava d’altro e i notiziari sportivi erano intasati da servizi su qualunque possibile foto o video potesse interessare. La RAI, ricordo, inseriva perfino i referti medici sui giocatori pur di parlare di Brasile 2014 facendo diventare per due settimane il Dottor Castellacci un volto popolare.
In una giornata afosa e lenta tra le colline marchigiane, in questa estate iniziata prima di ciò a cui ci aveva abituato negli ultimi anni, i vari Studio Sport, Gazzetta tv e quelli della Rai ignorano totalmente che ci sia un altro Campionato del Mondo, quello di calcio femminile in Canada. Va da sé che la politica dei palinsesti e della notizia cerca di incontrare la curiosità di un pubblico che forse preferisce la spiaggia e il mare, se può, rispetto anche alla Copa America di Cile 2015 della quale, altrettanto, arrivano poche news. Non vi sono tracce, a parte il trafiletto su Arturo Vidal che perde l’aereo per raggiungere la Nazionale del Cile. Per dire, la RAI, su RaiSport2, in questo istante, alle ore 16:06 dell’anno solare 2015, preferisce mandare in onda il GP di Long Beach del 1976.
Immagini sgranate in bianco e nero che mal si sposano a quelle colorate e sature sul sito della FIFA, l’unico canale che offre un aggiornamento quasi in tempo reale di ciò che accade nella fredda Canada. A spulciare qualche informazione c’è, anche se gli articoli trovati per rendere accattivante la manifestazione sono a mio avviso discriminanti e inutili (su tutti questo), qualche sito ne parla ma sul motore di ricerca è necessario googolare esattamente diciture precise se no non trova nulla e seppur i profili Twitter delle squadre coinvolte sono chiaramente in fermento, fa un po’ sorridere amaramente che l’attenzione sia così bassa.
Non aiuta il fatto che le azzurre non partecipino.
I sogni azzurri si sono infranti nella pioggia di Verona, in un Bentegodi quasi vuoto contro un’Olanda in crescita nel proprio movimento femminile ma tuttavia alla nostra portata.
Mi domando: avrebbe cambiato qualcosa se l’Italia femminile avesse partecipato? E soprattutto, vedendo giocare Stati Uniti, Giappone e Francia all’Algarve Cup, l’Italia sarebbe stata all’altezza di quelle Nazionali che invece hanno investito e i cui frutti sono visibili anche a un neofita?
Non lo so, onestamente. Ma so che le ragazze italiane uscite a testa bassa, fradice, nelle lacrime che piovevano persino dal cielo, ci sono; sono quello che io non sono riuscita a fare e mi auguro che almeno qualcuna di loro, prima o poi, veda compiersi il sogno che tutte noi osserviamo guardando gli Stati Uniti e ciò che può essere il calcio femminile.
Dall’altra parte del mondo intanto, in Canada, compagini da tutto il mondo si allenano e sono state in attesa per il calcio d’inizio della partita inaugurale tra Canada e Cina giocata il 6 giugno alle ore 16 locali (le 23 da noi) al Commonwealth Stadium di Edmonton davanti a 60.000 spettatori partecipanti e festanti sugli spalti in un turbinio di rosso da togliere il fiato.
La FIFA Women’s World Cup arriva alla sua settima edizione non senza problemi considerato che in molti paesi si fa fatica a mettere insieme venti ragazze che giocano a pallone e, così come in Italia, sono a livello dilettantistico e molte, paradossalmente, avrebbero dovuto chiedere le ferie per riuscire a giocare. Come in molti Paesi il giocare a calcio per molte ragazze è un secondo lavoro, non meno impegnativo del primo che permette loro di pagarsi gli scarpini, gli spostamenti e le cure mediche. Il che dimostra quanto si sia indietro rispetto non tanto al calcio maschile che sta iniziando a diventare un paragone inutile ingombrante, quanto anche solo nei confronti di altre federazioni. Che ruolo vuole avere la FIFA?, una crescita comune o solo dettata da chi ha più voglia di investire?, vuole un Mondiale femminile totalmente sbilanciato?, e a chi giova vedere partite con risultati tennistici? Non credo al movimento in generale, onestamente.
Di certo, a guardare le prime partite mi viene da domandarmi come possa essere la situazione in Nigeria o in Camerun e, a osservare quelle treccine colorate tra i capelli e i tatuaggi, mi sembra un’onestissima dimostrazione di libertà e rivalsa, baciando lo stemma di quelle maglie di paesi che hanno anche fin troppi problemi politici e di diritti umani.
La manifestazione, sorprendentemente, nasce da un’idea di Joao Havelange, il presidente FIFA dei miei ricordi di bambina. Quando arriva Blatter, un politicaccio di Federazione,non tutto va per il verso giusto e il calcio femminile si arena.
Le prime edizioni, Cina 1991 e Svezia 1995, sono dettate dalla curiosità e dalla novità ma a parte svelare quali nazionali saranno poi le dominatrici (e le più lungimiranti nell’annusare il business, Cina, Stati Uniti, Svezia, Norvegia e Germania su tutte) e i risultati sui campi lasciano poche tracce.
Sarà invece Stati Uniti 1999 a segnare un’epoca e una rivoluzione nel calcio femminile. E quando si tratta di investire in un evento che profuma di successo, gli americani sono bravissimi. Ancora oggi, nel 2015, quell’edizione ha lasciato un record di spettatori e telespettatori per una partita di calcio femminile che nessun altra gara al femminile è riuscita a emulare. Il Mondiale viene mandato in diretta televisiva fin dall’inizio registrando share intorno ai 40 milioni di telespettatori solo in America. Allo stadio invece ci vanno in oltre 650,000. Numeri che, se pensati al calcio femminile, sono da capogiro e a tutt’oggi da noi irraggiungibili nonostante i tre lustri trascorsi da allora. Erano gli anni di Mia Hamm e il film Sognando Beckham sarebbe arrivato solo quattro anni dopo e il cui finale (Jessie e Jules hanno una borsa di studio sportiva e vanno a giocare a pallone nel Santa Clara è proprio l’università dove Chastain e tantissime altre fecero le giovanili) fu poi capito dai più.
In questo video qui sotto si può definitivamente capire cosa fu quel Mondiale. È vero, le immagini ci ricordano USA ’94 e anche le maglie delle giocatrici hanno quel retrogusto anni ’90 che fa tanto nineties ma in fondo li abbiamo vissuti anche noi e tocca ammettere che era la moda dell’epoca. Il video è molto bello, ha il sapore di qualcosa di grande che si è vissuto e di cui si serba un ricordo prezioso, soprattutto nelle parole delle protagoniste diventate donne, e la sequenza dei rigori finali emoziona.
La finale tra Cina e Stati Uniti si giocò al Rose Bowl di Pasadena che, chi lo conosce, lo collega immancabilmente al football americano ma quel giorno non furono omaccioni coperti da caschetti e coperture a correre sul prato verde, bensì ragazze che vennero seguite da oltre 90.000 persone e nel video si vede.
E l’immagine simbolo che rese ancora più rilevante il calcio femminile dell’epoca moderna fu ineluttabilmente questa: Brandi Chastain che esultando, inginocchiata a terra stringendo i pugni, si toglie la divisa e rimane in reggiseno sportivo.
Cina 2003 diventa Stati Uniti 2003 (ma si propose anche la Svezia) a causa dell’epidemia di SARS che mise in ginocchio la Cina e il cui pericolo di contagio fece rivedere i piani pochi mesi prima del calcio d’inizio. Quell’anno la grande sorpresa fu il Canada che, da cenerentola, arrivò quarta e in realtà stava ponendo le basi per una generazione di giocatrici che vede la sua migliore luce proprio oggi.
Cina 2007 rimane Cina 2007 e l’eroina fu Marta, brasiliana titolatissima (palloni d’oro a manetta e raffica di reti, sempre, ovunque), che con il suo Brasile in finale ci arrivò, ma vinse la Germania rovinando una bella favola che aveva visto le brasiliane vincere faticosamente con l’Australia e battere le strafavoritissime Stati Uniti per un secco 4 – 0 (che è ancora oggi la sconfitta più imbarazzante delle ragazze stelle e strisce) in semifinale.
Germania 2011 fa registrare un cambio di rotta per le squadre che iniziano a crescere. Non più solo le scandinave, la Germania, la Cina e gli Stati Uniti (e le immancabili cenerentole) ma anche altri paesi iniziano a investire, poco ma è un primo passo, nel calcio femminile. La Francia arriva lentamente a questo risveglio percorrendo una strada lunga e tortuosa e che ancora oggi, se non fosse per una curata programmazione (e nel caso del PSG femminile i soldi degli arabi), lotta continuamente e urla attenzione che, sembrerebbe in patria e a sbirciare oltralpe, non pare venga molto percepita. Famoso il caso in cui alcune giocatrici posarono nude per sensibilizzare il calcio femminile transalpino. Francia che arrivò quarta e, oggi, a Canada 2015 è terza nel ranking mondiale.
E poi Canada 2015 appunto.
Le squadre partecipanti sono Canada, Stati Uniti, Brasile, Francia, Germania, Giappone, Camerun, Costa d’Avorio, Nigeria, Costa Rica (e questa volta nessun problema se si dica IL o LA Costa Rica), Messico, Nuova Zelanda, Australia, Cina, Corea del Sud, Thailandia, Colombia, Ecuador, Inghilterra, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera.
E tutte si giocheranno la finale del 5 luglio a Vancouver.
La comunicazione FIFA è rimasta quella già vista a Brasile 2014: una grafica delle partite bianca e rossa (e meno male che non è rosa) e le giocatrici che mettono le braccia conserte come i colleghi maschili l’anno scorso.
Il trofeo non ha nulla a che vedere con il fascino e la leggenda intorno alla sua creazione, non c’è nessuno scultore italiano che partecipa a un concorso dopo il ritiro (e fusione ahimè) della Coppa Rimet.
Anche il pallone è un modello evoluto del Brazuca che si chiama Context15 e che definisco riciclato. Intanto è il pallone ufficiale della J League 2015, ha rotolato nel Mondiale per Club e anche in Cosa del Rey in Spagna, oltre a essere il prototipo per l’Euro 2016 maschile in Francia (la nazionale di Antonio Conte si allena da un pezzo con questo pallone), la qual cosa mi porta a pensare che, per la FIFA nonostante gli apparenti sforzi, la Coppa del Mondo di calcio femminile sia una cosa da fare ma la cui considerazione è ancora molto bassa e non pari a eventi maschili più allettanti.
Invece il poster per questo Mondiale è di notevole bellezza. Siamo abituati a lasciar passare nel dimenticatoio i poster dei Mondiali in generale che sappiamo esistere e su cui si punta poco (a parte quando rientrano nel vintage), ma questo per Canada 2015 a me sembra molto molto bello.
Peccato per i campi sintetici, altro aspetto non proprio felice nelle scelta della FIFA. Le giocatrici hanno anche protestato minacciando di boicottare l’evento, se non che la polemica è riemersa quando una foto della temperatura del campo prima della partita inaugurale è diventata un fenomeno virale: il campo scottava 49 gradi. Oltre a questo, il sintetico è duro, la palla rimbalza in maniera strana prendendo velocità quando dovrebbe rallentare e viceversa, e la sabbia a ogni calcio, scivolata o corsa o frenata che sia esce sempre dando questo senso cinetico urtante alla vista. E poi è pericoloso per le giocatrici, semplicemente.
Ma sono sicura che le ragazze in campo ci regaleranno comunque un Mondiale bello. E vero.
E ci sarà un tempo nel quale queste ragazze avranno la giusta considerazione, e il giusto rispetto.
Well, just wait, per dirla all’americana nello spot aspettando e sognando la terza stella sulla maglia.
Già, basta aspettare.
ERRATA CORRIGE
Spezzo una lancia per StudioSport di Mediaset che, con un servizio di mestiere del buon Marco Francioso (il cui ricordo per me sarà sempre legato ad Atene 1994 quando, alloggiando nello stesso albergo, io lo riconobbi perché era un giornalista di Mediaset e, nel nostro sguardo incrociato mentre il mio era di stima, il suo cadde semplicemente sulle mie tette), ci prova a parlare della FWWC paragonando il conto in banca tra Neymar e Marta e, tra immagini raccolte a caso delle reti delle partire finora giocate senza un ordine che abbia senso, riesce anche a chiudere il servizio con le bellezze delle varie nazionali dicendo, in un doppio senso più che mai malizioso, ne vedremo delle belle chiude impietosamente. A titolo informativo, su StudioSport ne hanno parlato, ma per la qualità del servizio potevano anche farne a meno. Nella mia foto sotto, la prova della messa in onda: una Marta sfocata che palleggia.
Basta che vieni al mare, invece di fare come l’anno scorso! ricordi?
http://www.fumettologica.it/2014/10/nello-studio-di-mabel-morri/
ecco.