Canada – Cina 1 – 0

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È sabato 6 giugno e c’è un sole leonino sui quasi 60.000 spettatori sugli spalti del Commonwealth Stadium di Edmonton.
Non è un sabato qualunque nella seconda più grande provincia dell’Alberta, regione confinante con gli Stati Uniti e nel mezzo preciso delle campagne canadesi. Edmonton si veste a festa e raggruppa i canadesi che, a conoscerli lungo il Cammino di Santiago, sono persone strane. A Belorado, seduta a un tavolo da quattro alla cena del pellegrino nel delizioso Quatro Cantones, avevo alla mia destra Lia, signora di Salò, in diagonale una ragazza trentenne brasiliana di cui non ricordo più il nome e, di fronte a me, mentre io e la brasiliana tracannavamo vino de La Rjoca (purtroppo freddo da frigo), Caitleen, ragazza canadese dalle forme generose.
Mentre ci servivano una paella molto molto buona, io, incuriosita dell’esoticità del Canada, chiesi a Caitleen che tipo di gente fossero i canadesi.  Si ha sempre questa lontana idea che siano un popolo di ibridi, meticci influenzati dagli americani, dai francesi e dagli inglesi, e questo meltin pot quasi pare sia restio o privo di uno spirito nazionalistico così forte come tipo, a volte, l’orgoglio esagerato degli Stati Uniti. E invece lei, non riuscendo a darmi una descrizione precisa dei canadesi, mi diceva che sono molto nazionalisti e legati alla foglia d’acero sulla bandiera. Semplicemente. O altrettanto semplicemente non ha capito cosa intendessi con la mia domanda.

Vedendo i colori e l’entusiasmo del pubblico nelle foto della FIFA non posso dire che non sembri così, che quella foglia d’acero significhi molto di più. Ciò non toglie che ogni volta che ho a che fare con un canadese (che sia durante la crociera transatlantica o nel Cammino), ho sempre la sensazione di trovarmi davanti un’entità che non comprendo a pieno. La qual cosa non è particolarmente importante, ma il mondo sta cambiando e comprendere gli altri forse inizia a essere decisivo per non cadere in nazionalismi sbagliati, diciamo.
Edmonton, che è la città natale dell’attore Micheal J.Fox e del giocatore di hockey su ghiaccio Wayne Gretzky, si tuffa nel cielo azzurro di sabato e tifa calorosamente le sue ragazze.
Io, da parte mia, cicco completamente l’appuntamento e non la guardo per cause di forza maggiore: e non è l’attesa della finale di Champions League tra Barcellona e Juventus. È una di quelle cose della vita vera, quegli appuntamenti che da oltre un anno e mezzo scandiscono una vigilia lunghissima e che, ogni mese che passa, ti fa emozionare: si sposa mia sorella e domenica 7 giugno c’è il matrimonio. Vivere la sua felicità che diventa la mia, sentire nelle vene la trepidazione, commuoversi e piangere ogni tre nanonsecondi rendono anche la tua, di vita, preziosa per un po’. Per cui, nel momento in cui trasmettono la partita inaugurale della FWWC, io sono in piena revisione: tinta ai capelli fatta, leggera abbronzatura da non sembrare cadaverica, igiene dentale senza troppi traumi e sorriso Durban’s smagliante e primo passaggio delle due sedute dalla parrucchiera nell’arco di due giorni. La sera cena con i testimoni e, finalmente dopo settimane di insalata e frutta senza vino e birra, mi concedo qualche gioioso Brut Contadi Castaldi.
Tuttavia, anche se in differita, mi sono ripromessa di parlarvi di questo Mondiale di calcio femminile e, per quel poco che posso, raccontarvelo a modo mio.

Finisce 1 – 0 per il Canada.
A Edmonton il termometro segna 26 gradi, ma sembra un clima secco, non umido.
Le ragazze entrano in diagonale rispetto alla tribuna centrale; ha a che fare con un retaggio da entrata gloriosa da football americano, quello che vede le squadre correre in campo in preda all’adrenalina da spogliatoio mentre dagli spalti parte una qualunque canzone degli AC/DC a dare la carica. Non è difficile immaginare che la vicinanza delle montagne del Montana a sud renda queste zone dure e fredde, e per quanto i territori siano davvero di notevole grandezza il fatto che la squadra di football confinante, i Montana Grizzlies, si chiamino così, immagino sottolinei ancora di più la natura selvaggia e pericolosa delle loro montagne.
C’è tanta concentrazione da parte delle canadesi e, spesso, questa tensione inchioda le gambe.
Affrontare le cinesi non è mai facile perché sono legnose e trafiggere la loro difesa è come tentare di passare la dogana dell’aeroporto di Pechino senza passaporto.
Le ragazze giocheranno con il Conext15, nella foto qui sotto, praticamente un Brazuca da Brasile 2014 più fluido nel disegno. È un modello che reputo riciclato, perché lo si è visto rotolare sui campi del Mondiale per Club FIFA e nella Copa del Rey in Spagna e, infine, per questo mondiale, il che denota a mio avviso quanto ancora ci sia da fare per il femminile, partendo anche solo da un pallone ufficiale pensato appositamente per questo evento. Passerò da pedante, ma credo che avere sponsor, locandine, grafiche, e sì, anche un semplice pallone, voglia dire molto dello specchio dei tempi e della considerazione del femminile.

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Le squadre sembrano rigide, meno sciolte, per quanto una partita inaugurale sia sempre mistificante sulla vera tenuta fisica e tattica di chi vi gioca. Però è il Canada che deve vincere e deve dimostrare che giocarsi un Mondiale in casa, vuoi per crescita del movimento vuoi per semplice pubblicità, serve ed è importante.
Sono così rigide che di fatto le occasioni nascono tutte da calcio piazzato: per il Canada, cross da calcio di punizione con un destro preciso della numero 13 Schmidt per la numero 3 Buchanan che si ritrova il pallone tra i piedi dopo un tentativo di testa, totalmente mancato, di Christine Sinclair e di un difensore cinese; Buchanan però si fa respingere per ben due volte il tiro dal portiere. Per la Cina invece, calcio di punizione dalla tre quarti e, aiutata da un forte vento favorevole, la numero 6 cinese Li D. sistema il pallone ma è una compagna a fianco che ci prova prendendo un doppio palo per cui entra in azione la Goal Line Technology: pallone sul palo interno del sette che esce e sbatte sulla base del palo opposto uscendo completamente da qualunque possibile lapin o rilancio di attaccanti e difensori.
A prendere poi la traversa è il Canada nella prima vera azione giocata: traversone respinto fuori area di pugno dal portiere cinese, la numero 12 Wang F., e tiro di rimbalzo della 9 Belanger il cui stock! sulla traversa rimbomba ancora nello stadio.

Nel secondo tempo è ancora il Canada ad attaccare e la carica la dà proprio il capitano numero 12 Christine Sinclair che tenta un tiro da fuori area: deviato da un difensore, il pallone rimane vivo e utile per l’appoggio di una canadese che di testa passa, in un insperato e fortuito triangolo, di nuovo per Sinclair che a questo punto cerca di piazzarla ma ne esce un piattone facile facile per la presa a terra di Wang F. .
È però il preludio alla rete che andrà a decidere la gara. Sempre su azione costruita da un Canada comunque caotico nella costruzione tattica, un cross di Schmidt crea un batti ribatti tra canadesi e cinesi in area fino a che cade Leon in un contrasto scoordinato di Zhao R.. L’arbitro fischia senza dubbio e Sinclair batte il rigore. È un rigore dall’esultanza rabbiosa, quello della numero 12, è un rigore ben angolato e che il portiere cinese, pur indovinando l’angolo, non riesce ad arrivarci.
Niente di più, niente di meno, un 1 -0 onestamente noioso e finanche legittimo nell’essere la partita inaugurale, ma che lascia la sensazione che per le padrone di casa ci sia ancora molto da lavorare.
Anche se il pubblico che applaude e sorride, nelle famiglie che raccolgono i figli, non sembra particolarmente preoccupato, ma semplicemente contento osservando quel rosso che scema verso le uscite dello stadio.

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(Le foto sono prese dal sito della FIFA)

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