ardesia, pietra di lavagna

Mabino+Ilino_50

fin da piccolini, entrando nelle aule scolastiche, guardavamo quel quadro nero come scenografia di una futura interrogazione dovendo scriverci sopra equazioni o declinazioni, avendo poco prima assistito alla cancellazione di disegni di arte moderna da parte dell’insegnante dopo il suono della campanella.
osservavamo le nostre linee sperando che quei nostri capolavori fossero in un qualche modo memorizzati nei cassetti della nostra memoria, per non dimenticare.
osservavamo i nostri scarabocchi sperando magicamente che ci fosse una memoria, qualunque essa fosse, la nostra, quella della lavagna stessa, quella della maestra, che durasse nel tempo.
ma, all’epoca, non potevamo immaginare che in realtà quel quadro nero sul quale ci piaceva tanto disegnare era in natura una roccia con delle qualità superlative.
all’epoca non ci interessava sapere che era una risorsa del territorio, in fondo eravamo già sufficientemente scossi dal libro mattone che dovevamo sorbirci e del quale fare un dettato o un tema (di solito poi, al liceo, tutti libri che avremmo riscoperto da adulti, rispettandoli maggiormente e sospirando: meno male che l’ho letto da piccolo).
e invece quel quadro nero con la cornice in legno era semplicemente ardesia, o, comunemente, pietra di lavagna.
lavagna è una cittadina ligure, a mezz’ora da genova, il cui confine è separato da chiavari dalle sponde del fiume entella (da cui peraltro è preso il nome della virtus entella, storicamente in serie b nel campionato 2014-15 nell’anno del centenario) e in queste zone del tigullio ci sono le maggiori cave di ardesia.
l’ardesia è fondamentalmente una varietà di roccia metamorfica (tipo il marmo e la quarzite) che subendo variazioni di temperature e umidità si modella nel tempo resistendo poi agli agenti atmosferici. facilmente lavorabile per la duttilità del tipo di roccia è infatti catalogata tra quelle tenere o semidure e il suo colore appena estratto è di un nero scuro che tende ad assumere una pigmentazione grigio chiara nel momento del contatto con tipo ossigeno, umidità e radiazioni ultraviolette.
usata soprattutto dagli architetti del luogo come materia edilizia e più semplicemente come materia di decoro, non è difficile infatti trovare colonne fatte di ardesia o battiscopa nei palazzi, finanche intere gradinate. differenzia dal marmo anche per la sua spaccatura: il marmo se colpito nel mezzo si scheggia, mentre l’ardesia (e come la quarzite) si spacca a metà ed ecco il perché di alcuni notevoli effetti della pietra di lavagna usata a livello decorativo, tipo nelle penisole delle cucine.
l’etimologia del nome deriva dal francese, per precisione da una parola del francese antico “ardesie”, e dalla provincia ardennes nella quale in passato si sviluppò l’industria della lavorazione di pietre sottili.
e oggi, nella settimana del rientro a scuola di molti adolescenti e persino primo giorno di scuola dei bimbi che riempiono la vita di genitori che hanno la mia età (praticamente i figli dei miei amici), quelle lavagne non si trovano più nelle aule scolastiche.
oggi ci sono pannelli di plastica e si usano pennarelli ad acqua cancellabili con una passata di panno di stoffa e, nei miei ricordi, ci sono ancora i cancellini pieni di gesso che sbattendoli sulla lavagna nera emanavano una nuvoletta bianca che faceva sempre tossire.
cancellino per lavagna che solo adesso, da adulta, collego come forma alla merendina girella, il che mi riporta a uno scorcio di infanzia pericolosissimo.
persino una cosa comune come una lavagna e un gessetto, oggi, sono perse nell’ineluttabile evoluzione del mondo cosiddetto moderno, un mondo che cambia e modifica i miei ricordi relegandoli a un’età quasi paleologica. persino i registri stanno sparendo e stanno diventando digitali.
e sì che anche con quelli quante se ne sono combinate, tipo quando malauguratamente l’insegnante lo lasciava aperto sulla cattedra, allontanandosi, e ci si avventurava a correggerne i voti.
sembrano episodi leggendari di altri tempi, come quella nuvoletta bianca pregna di gesso.
ve lo ricordate?
quando si era arrivati al punto che gli insegnanti lasciavano soltanto i mozziconi di gessetto sul predellino della lavagna perché quelli interi li si usava tutti per disegnarci sopra e al momento dell’interrogazione alla lavagna si grattavano le unghie perché non c’era più gessetto, e toccava andare dal bidello che era diventato, nel frattempo, il custode della scatolina di gessetti nuovi.
quante volte è capitato di dire: prof, è finito il gesso! con quell’intonazione di voce tipo di chi non ha colpa, colpevole invece di averlo finito, e facendo passare il prof come un inetto che non coglie la difficoltà dell’alunno nel farsi interrogare senza un supporto di gessetto adeguato e quindi reo di non mettere a proprio agio lo studente?
quante volte si è scritto sulle lavagne, disegnato, creato?
infinite.
i miei ricordi di scuola sono tutti legati a un’immagine ben precisa di aule piene di banchi in legno, pareti bicolori con la cartina geografica dell’italia o dei continenti, il crocifisso e la foto del presidente della repubblica, e lavagne. lavagne che al liceo artistico, ricordo, erano diventate strisce di nero che percorrevano invece l’intera parete.
e oggi, curiosamente, lontani dal tempo delle scuole, le lavagne da tipo tenere in cucina sono diventate un must nell’arredamento. e ritornano anni dopo in casa, avendole odiate perché ricordavano l’associazione mentale scuola=lavagna=gesso=interrogazione.
e diventa anche piano di sfogo creativo che questa volta nessun insegnante cancellerà: marco miccoli del bonobolabo ha organizzato gli eventi ArtDesia e ArtDesia 2 che consisteva nel richiamare un gruppo di artisti che avrebbero poi disegnato con i gessetti colorati la loro lavagna.
avrei dovuto partecipare anche io nel 2013, ma capitò il 2 novembre ed ero a lucca comics.
ma sinceramente, mi sarebbe piaciuto tanto ritornare a scarabocchiare su una lavagna, lontana anni luce dalla pressione psicologica di una qualunque futura interrogazione.
e chissà che non recapiti, se marco rifarà una terza edizione, o, chissà, potrei comprarmela da tenere in studio e disegnarci sopra e comprarmi anche il cancellino. e sbatterlo.
e chissà, bambini di tutto il mondo, se la sensazione del pulviscolo del gessetto nell’aria farà sorridere soprendendosi nella consapevolezza della nostra età adulta e di ricordi scolastici preziosi, mai dimenticati.

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