La settimana che disegnai Dylan Dog

Un esercizio alla Scuola del Fumetto di Milano: il capire e il gestire il polso e la pressione con il pennello e la china.
Ci fecero rifare alcune tavole di Dylan Dog.
Le ho ritrovate nel secondo trasloco in quattro anni.
Tra agosto e settembre ho rimesso mano alla mia vita, l’ho chiusa nei cartoni e l’ho spostata di nuovo.
Ma spostare significa trovare.
In questi casi, ritrovare: se stessi, i propri sogni, la propria infanzia, e farne un punto su chi e cosa sono diventata.
Trasloco 07.

1997.
O forse 1998.
Alla Scuola del Fumetto di Milano ci stavano insegnando a usare il pennello come strumento, a illuminarci sulla pressione del polso e alla consistenza della linea, la modulazione della stessa e il dinamismo di un buon allenamento.
Ci dissero di rifare alcune tavole, ricordo che ce n’era anche una da Hellboy di Mignola, e almeno un paio da Dylan Dog disegnato da Casertano.
In realtà era un insegnamento da leggere tra le righe: ogni strumento è un mondo, ogni strumento permette, per chi vuole vederla così, di disegnare una storia invece che un’altra. Bel dibattito a tutt’oggi, se uno stile si confà a un genere o si può essere liberi di fare arte, semplicemente, così come le licenze poetiche rispetto alla Storia, altra bella possibilità di argomentazione.
A ogni modo.
Fu la prima e francamente unica volta che disegnai Dylan Dog.
Rifarlo uguale è solo che si hanno le basi del disegno, non il talento per interpretarlo, per cui, all’epoca avevo 22, 23 anni, una bambina praticamente, e con le sue idee da bambina ovviamente.
Io volevo fare la rivoluzione, volevo fare “l’artista”, raccontare le mie storie senza imposizioni di mercato.
Verrebbe da dire che per fortuna si è giovani solo una volta…
Poi ci si “piega” o almeno si trova un onesto compromesso con se stessi.
Oggi non penso più nulla di quello che pensavo vent’anni fa: al contrario, ho iniziato ad apprezzare aspetti dell’editoria da edicola che prima aborrivo. Oggi penso che sia una bella e importante fetta di storia, e anzi, c’erano avanguardie pure, oggi per dire soppresse, o censurate addirittura.
Ecco perché sorrido ricordando l’unica settimana della mia vita nella quale dovevo disegnare Dylan.
E oggi mi piace esserne lettrice come allora, e come prima di allora, al liceo, quando avevo i quaderni con le copertine di Villa, e dentro formule matematiche o di grammatica invece di bei fumetti.
Sorrido, perché avevo vent’anni, idee un po’ così, e Casertano era… Casertano. C’erano cose del suo disegno che mi piacevano tante, altre per niente. Vent’anni dopo ho occhi diversi.
Ho disegnato Dylan Dog per un settimana.
Potrei scriverci persino una storia.

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