Brasile – Australia 0 – 1

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Laggiù, proprio laggiù.
È quello che pensa Paul scostando con due dita la tenda e guardando fuori dalla finestra della cucina. Sarah arriva sbadigliando e stirando la schiena. Si siede sullo sgabello del tavolo della penisola aspettando che la macchina del caffè si scaldi.
“Piove.” le dice Paul.

Sarah sbadiglia ancora appoggiando la mano sul volto a coprire la bocca spalancata e gli occhi strizzati che già lacrimano.
A Moncton non è difficile che piova. Anzi, da queste parti sono abituati più alle nuvole e al vento che non al sole. Ma è domenica 21 giugno, è estate, Paul e Sarah hanno la giornata libera e la pioggia è noiosa quando si deve andare allo stadio. Perché quel laggiù, per Paul mentre osservava lontano l’orizzonte, era a indicare lo stadio Olimpico.
Il loro Canada ha giocato a Edmonton e a Vancouver, troppo lontane per raggiungerle e, in ogni caso, ci vogliono almeno due o tre ore di volo. Ma lui e Sarah hanno telefonato a David e Lisa, due amici dell’ovest che sono riusciti a vedere due partite su quattro delle ragazze capitanate dalla Sinclair.
Hanno chiesto come fosse, guardare dal vivo la loro Nazionale.
“Straordinario!” hanno raccontato. “Gli spalti sono completamente tinti di rosso, tutta la gente veste maglie rosse ed è una festa continua, non si smette mai di incitare la squadra!”
Paul e Sarah sperano davvero di poter osservare con i loro occhi quello spettacolo, sperano davvero che il loro Canada arrivi in finale, perché la prossima volta che incontreranno David e Lisa sarà il 5 luglio a Vancouver al BC Place Stadium.
Erano sul lago quando hanno organizzato il viaggio. Qualche birra, le trote alla brace pescate nel pomeriggio, il fuoco nel camino, le ragazze e i ragazzi a parlare di Vancouver e una cosa unisce l’altra, una risata e una proposta e già si guardavano i costi su internet. E poi Sarah dice che si gioca il Mondiale di calcio femminile dall’inizio di giugno. Lo sapeva, ma non si ricordava le date esatte. Lei e Lisa giocavano a pallone insieme all’università, la passione è rimasta intatta e i mariti le seguono complici.
Moncton ha carreggiate ampie costeggiate da aceri, piccoli paradisi di piazze e alberi si aprono tra i grattacieli e i parchi sono l’ossigeno per quando non si ha tempo di andare sulle spiagge dell’insenatura a sud o sull’Atlantico. In alcuni angoli, sembra davvero la scenografia finta di un telefilm, uno di quelli che trasmettono alle 19 quando Sarah arriva a casa prima di Paul e si fa trovare con due calici di vino rosso sulla penisola apparecchiata con le tovagliette americane.
“Ricordiamoci le mantelle che avevamo sul lago, ci serviranno proprio oggi.” dice Paul versando il caffè caldo nella mug verde pistacchio di Sarah, sbeccata vicino al manico.
Hanno tutto il tempo che vogliono per fare colazione con calma e preparasi. La partita per cui hanno i biglietti, Brasile – Australia, si giocherà nel tardo pomeriggio e Paul avrebbe anche il tempo di andare al Cafè&Grill di John per un altro caffè. Ma Sarah è così bella ancora addormentata e avvolta nella sua vestaglia corta celeste che lasciarla così sarebbe un gran peccato. Perché volendo, avrebbero persino il tempo di ritornare nel letto e…
Negli spogliatoi dell’Olimpico, sul tavolo al centro, sono già pronti frutta – banane – e due colori di nastro adesivo.
Il campo sintetico sta assorbendo la pioggia che cade costantemente dal cielo.
Paul e Sarah indossano le mantelle ed escono.
“Sì, un caffè prima della partita da John.” dice Sarah sorprendendo Paul, che sorride baciandola dolcemente sulla guancia.
“E poi, andiamo a vedere il Brasile. Non è il nostro Canada ma è pur sempre il forte Brasile!” sospira Sarah al banco sfogliando il quotidiano cittadino. E le aspettative crescono: chissà che bella partita nonostante la pioggia, chissà quanti gliene danno alla povera Australia. Perché non ci sono dubbi che passerà il Brasile. A pensarci prima, ci avrebbero pure scommesso!, ma Paul e Sarah non hanno l’anima degli scommettitori, loro sono semplici tifosi.
Paul saluta John e prende Sarah per mano. Laggiù, proprio laggiù, si staglia l’Olimpico.
Camminano così, nella pioggia, mano nella mano, sorridenti, serafici, spensierati.

Paul, Sarah, David e Lisa e John non esistono naturalmente, ma con altri nomi e altre vite forse non mi sono allontanata troppo da ciò che hanno vissuto un Paul o una Sarah in quella domenica piovosa a Moncton mentre raggiungevano l’Olimpico e si apprestavano ad assistere a Brasile – Australia.
L’Australia gioca con la seconda maglia blu, è passata come seconda nel girone degli Stati Uniti, della Svezia e della Nigeria. Il calcio è un gioco fantastico. Quando non è corrotto, è solo il campo che proclama  – e la fortuna – il vincitore. Pensavo come molti che la Svezia sarebbe stata la seconda, per esempio, e invece è stata ripescata come migliore terza. Migliore è anche una parola grossa, con tre pareggi deludentissimi di una squadra che è dall’Algarve Cup di marzo che non gira. Così, ad affrontare il Brasile c’è l’Australia. Le Matildas (chiamate così dalla canzone tipo inno non ufficiale “Waltzing Matilda”) hanno perso solo contro gli Stati Uniti, vinto contro la Nigeria e pareggiato con la Svezia. È una bella squadra l’Australia, compatta e di cuore, così tanto cuore che maschera qualche difetto tattico di schemi e giocatrici. Dà l’idea di una squadra esotica, e come molti ho fatto l’errore di pensare che bello che ci sia, ma esce anche presto.
E invece, sotto la pioggia di Moncton, contro un Brasile che non ha bisogno di presentazioni e candidato alla finale senza ombra di dubbio, le Matildas tengono bene il campo e l’equilibrio che si crea è spiazzante. Pensi a un assedio verde – oro, pensi a un’Australia che salva palloni sulla linea di porta in un continuo spasmo, pensi che prima o poi Marta o Formiga inventano qualcosa e bye bye Matildas. Niente di tutto questo. Gran gioco a centrocampo, primo tempo controllato e secondo spumeggiante e occasioni che fioccano da una parte e dall’altra. Sbagliano tanto, tutte, sotto porta è la sagra dell’errore e il Brasile colpisce anche un palo con la Formiga.

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Poi, a dieci minuti dal 90simo, da un nugolo di giocatrici sulla trequarti a contendersi il pallone, una delle Matildas lascia partire un diagonale che taglia la difesa brasiliana e raggiunge De Vanna, anima, cuore e grinta delle australiane, che arpiona la sfera e prova a piazzare un sinistro a giro sulla sinistra della numero 1 brasiliana Luciana che però non trattiene, o meglio, sembra che le scivoli il pallone dai guanti per la pioggia e Kyah Simon è lesta a insaccare per il clamoroso 0 – 1.

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Kyah Simon porta sulle spalle il numero 17. Capelli biondi non naturali con sfumature blu – o verdi – ha un sorriso di quelli belli, di quelli che trasformano il volto. Ed è quel tipo di giocatore che in Spagna viene chiamato revulsivo e cioè che quando entra è in grado di cambiare la partita: aveva già deciso la partita con la Nigeria entrando sempre nel secondo tempo e segnando. Lo ha fatto ancora con il Brasile.
Le brasiliane sono scioccate, troppo poco tempo per riprendersi e per riorganizzare le idee, troppa stanchezza, quel diavolo di sintetico sfascia le gambe e le appesantisce nemmeno si fosse camminato 34 km lungo il Cammino di Santiago con dieci chili di mochilla, troppa pioggia che bagna le lacrime confuse con le gocce dal cielo.

Se Sarah esistesse davvero, forse uscita dallo stadio avrebbe avuto la stessa faccia che ho avuto io guardando il risultato finale: quell’incredulità di chi ha visto qualcosa che, nel nostro piccolissimo universo personale, ricorderemo come un gran fracaso.

(le foto sono sfocatamente mie.)

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