L’importanza di Rocky nella nostra vita ancora oggi

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Cos’è stato Rocky per la mia generazione. Una bugia o un idolo?

Per essere il 3 settembre fa freddssimo.
La giornata è piovosa, lavoro dallo studio e come ogni giorno, all’ora di pranzo, accendo la tv. Non per reale intenzione di ascoltarla, tranne quando inizia il Tg, ma solo per compagnia, a volume basso, in modo che il silenzio della casa non soffochi quel vuoto che ogni tanto non è sempre possibile riconoscere.
Affaccendata in cucina, accendo la pentola con l’acqua per la pasta, stendo la tovaglia tonda di tanti pranzi domenicali, preparo due calici di vino, mi muovo coordinata in mansioni ormai quotidiane e che pesano solo quando il lavoro incalza e c’è tanto da fare.
Nei rumori dello scoppiettare del fuoco, dell’acqua che scorre per sciacquare un cucchiaio, nel masticare un pezzo di carota, in televisione scorre la pubblicità del film che, questa sera, trasmetterà Italia1.
Proprio quello.
E basta la musichetta.
Questa.
Come la sento, non ho nemmeno bisogno di alzare gli occhi verso la tv, perché è una di quelle canzoni immortali nell’immaginario, talmente radicate che sembra quasi che si sia nati con quelle nella testa, tipo la colonna sonora di Star Wars. Non sai chi sia l’autore, confondi persino le scene, ma quella musica è lui, è il volto scomposto e madido di sudore misto a sangue che, dal ring, col braccio alzato in segno di vittoria urla: Adrianaaaaaaa!
Rocky 4 riappare nella mia vita e, seppur in cicli continui e ripetitivi, in eventi serali da saghe è stato spesso trasmesso, questa volta oltre la nostalgia c’è anche la consapevolezza di ciò che quarant’anni portano con loro.

Il film Rocky, il primo della serie, viene realizzato con meno di 1 milione di dollari e girato in meno di un mese (ventotto per la precisione) e ne incassò ben 225.
Le riprese iniziarono il 1 novembre del 1975. Il 28 finirono e, a Rimini, in una clinica che oggi non esiste più, io e mia sorella vedemmo la luce per la prima volta.
Rocky ha vinto svariati Academy Awards, ha portato Sylvester Stallone tra le stelle del cinema, ha lasciato ricordi indelebili per chi era nato negli anni ’70, dalle battute alle scene, dalle città alle corse sule scalinate, dalle felpe grigie alle Converse alte e nere.
Passa alla storia per il fatto che è il primo film realizzato con la tecnica della steadycam, all’epoca assolutamente innovativa, geniale intuizione di un cameraman, Garrett Brown, che si bardò addosso il macchinario e il televisorino dallo schermo verde e seguì Stallone come un’ombra. Alcune scene, come quella nella cella frigorifera, sarebbero state tecnicamente impossibili se non fosse stato per quella steadycam approssimativa così come la scena della corsa sulla scalinata, lungo la quale parallelamente corse anche Garrett per filmarlo alla stessa velocità dell’allenato Stallone.
La steadycam si rivelò un scelta vincente che avrebbe rivoluzionato il modo di filmare le scene in movimento e che non fece altro che dare alle riprese un’autenticità che difficilmente poi si è ritrovata nei film successivi.
Altra curiosità, se non fosse uscito Rocky probabilmente non si sarebbe nemmeno mai visto Toro scatenato.
Rocky e i suoi appassionanti incontri finali ci ha accompagnato per oltre quarant’anni e ha incarnato molto più di quello che probabilmente avrebbe dovuto fare un film su un pugile italo americano.

Il primo Rocky incarna totalmente il sogno e la realizzazione dello stesso.
È un film duro, un film che va a rappresentare molto più del semplice sogno di cui sopra, perché non è solo la realizzazione dello stesso, è le variabili che vita e imprevisti abbinate a costanza e disciplina portano con sé.
Fondamentalmente Rocky non è uno che ha scelta, e non ha un piano. Si innamora di Adriana, una giovane come tante di quegli anni, timida, tendente a rimanere zitella come si usava dire in quegli anni che spera in una vita dignitosa, le fa una corte rozza e tenera. Si allena con Mickey nella palestra del quartiere arrabattandosi tra lavori vari. Il migliore amico è Paulie, un altro scapestrato come lui e che come lui fa parte di quella comunità italo americana che sul finire degli anni ’70 ci affascinava tanto, più per un’insuperato sentimento da coloni probabilmente, forse per la saga del Padrino di Francis Ford Coppola che non ha aiutato nel cliché degli italiani all’estero, e che sfuggiva a una realtà ben diversa, ossia quella che prima di colonizzatore l’italiano è stato immigrato, in cerca di una vita migliore in un paese che offriva di più come l’America, un paese nel quale era possibile che potesse avverarsi il grande sogno americano perché il paese da cui partiva, l’Italia appunto, era povero e in ginocchio dopo la Prima Guerra Mondiale.
L’italoamericano di Rocky è un buono che cerca fortuna, forse, e da pugni perché sente che quella è la dimensione che ritiene appropriata.
Tanto è vero che contro Apollo, nell’incontro finale decisivo per il titolo, e il senso del film è tutto qui, non vince. Le prende e le dà, cade e torna in piedi, rimane in piedi, piuttosto barcolla ma regge, va avanti. Un po’ come la vita.
Questa è la metafora del film, il vero senso: ci si prova, ci si impegna, si può anche sognare e perseguire il sogno, ma non è detto che si vinca.

È il 1975. Quando il film arriva in Italia è il 1976.
L’Italia del 1976 è un paese incompleto. Nelle grandi città il decennio post ’68 continua a farsi sentire, le proteste sono costanti e gli scontri tra comunisti e fascisti è all’ordine del giorno. Un tumulto continuo, sospetti e scandali continui, e governi marci. Il Presidente del Consiglio è Aldo Moro che verrà assassinato due anni più tardi e porta avanti il progetto del compromesso storico in un’alleanza che sarebbe potuta essere ineguagliabile come quella col Partito Comunista Italiano del Segretario Enrico Berlinguer. Forse l’avete sentita la frase che dice: “Alcuni sostengono che l’Italia, intesa come Stato con tutto quello che ne consegue, abbia cessato di esistere durante 55 giorni dal sequestro di Aldo Moro. Altri lo negano.”
Nelle province la vita si trascina lentamente tra analfabetismo, artigiani e commercianti, bagnini e vitelloni, almeno nella Rimini della mia infanzia. Rimini è un’isola felice, eroina a parte è una cittadina marittima che si popola solo d’estate e in inverno sonnecchia tra le vie del Corso. Tutto scorre tranquillo.
È un’Italia meccanica, artigiana, di terra e polvere che magari piove, di grandi e piccole aziende familiari, un’Italia che è un’osservata speciale. Alberto Olivetti ed Enrico Mattei, due dei più rivoluzionari e visionari imprenditori che l’Italia abbia mai avuto dal dopo guerra muoiono in incidenti che destano sospetti, anche oggi, più di cinquant’anni dopo, e inglesi e americani non smettono un secondo di smussare qualunque pretesa italiana.
Nel mondo, il generale Videla fa il colpo di stato in Argentina e inizia la dittatura di regime, appoggiato dagli Stati Uniti; in Africa viene scoperto l’ebola; l’aereo Concord svolge il suo primo volo; Ultimo tango a Parigi di Bertolucci viene censurato nel bel paese e bruciate le copie destinate ai cinema; in Friuli una scossa di terremoto del decimo grado della scala Mercalli rade al suolo gran parte dell’Alto Friuli; Niki Lauda in un incidente automobilistico durante il GP di Germania rimane ustionato riportando ferite e conseguenze che si porterà dietro e sul volto fino alla morte, nel 2019; l’Italia di tennis vince la Coppa Davis vestendosi di polo rosse nel Cile del regime Pinochet; Felice Gimondi vince il Giro d’Italia.
Quindi quando esce Rocky è un’Italia di biciclette e racchette da tennis, la boxe è un altro di quegli sport di un uomo solo che lotta contro tutto e tutti e, a volte, ce la fa. Sono ancora queste le storie che appassionano la gente, siamo lontani anni luce dalla coralità di certe squadre di calcio moderne e l’unica che si sta vedendo è composta da quegli strambi olandesi filiformi e dalle basette folte, capelli lunghi e baffi incolti che giocano così strano, lontano dal nostro catenaccio italiano o palla lunga e pedalare inglese.

Rocky 2 e Rocky 3 sono i sequel del 1979 e del 1982.
Sono appena un lustro eppure il mondo cambia radicalmente.
L’Italia è quella delle stragi di Ustica, della stazione di Bologna e delle guerre di mafia in Sicilia.
È l’Italia di Pablito e dell’Italia campione del mondo in Spagna appaludita da un festante Presidente Pertini, indimenticato e indimenticabile, è l’Italia pallonara del calcio scommesse, delle ancora truffe, delle schedine contraffatte.
Più rattoppata che mai, intorno assiste a Gheddafi che con la Libia fa il bello e il cattivo tempo, URSS e Stati Uniti sono in piena guerra fredda e, ultimo ma non ultimo, le questioni del Medio Oriente, che siano palestinesi, israeliani, iraniani e afghani iniziano ad avere un peso politico, sociale ed economico.
Inizia un decennio di prosperità per Stati Uniti e URSS, ne beneficiano tutti, anche l’Italia ovviamente.
Sono film, i sequel di Rocky, che mantengono abbastanza l’idea dell’uomo che supera i suoi limiti, che lotta e finalmente vince, eppure l’estetica cambia e persino l’allenamento Rocky con Apollo allenatore prima dell’incontro con Clubber Lang, per molti di noi il MrT di A-Team anche in quel film, vestiti con canotte attillate e pantaloncini dentro i quali nella corsa i muscoli sono al limite allo sforzo rimanda al cinema colorato di quel periodo. In età adulta, durante una cena estiva lasciando acceso il televisore a volume basso, un amico rimanendone incantato aggiustandosi gli occhiali tirandoli su con il dito indice lungo il naso, osservando la scena disse solo: “È la cosa più gay che abbia mai visto.”
Persino l’abbigliamento del terzo capitolo è un inno alla moda che in pieno soft power americano iniziava a essere anche il nostro. Mai come in quei primi anni degli ’80 il pop arrivato dagli Stati uniti era così travolgente, e con pop intendo tutto ciò che arrivava da oltre oceano. Tutto era pervaso dagli Stati Uniti, dalla maglietta I love NY di Milton Glaser ai calzettoni di spugna con le righe colorate, dalle canotte attillate agli scalda muscoli di Jane Fonda nei video di aerobica, dalla lacca di Cher alle febbri da sabato sera in discoteca. Non che prima non ci fosse, non era certo con l’arrivo dei super colorati e laccati ’80 che il debito dal Piano Marshall che inseguiva l’Italia dal dopo guerra per averla persa, quella guerra, alleandosi col peggiore in circolazione, si fosse improvvisamente estinto, e certo non si era mai pagato un altro debito, forse più importante del denaro: quello storico del fascismo, un argomento che sembrava essersi disperso dopo le lotte armate di qualche anno prima, delle P38 e dei giovani che si sparavano contro. Sembrava impolverato dallo scintillante decennio americano, tutto lustrini e fosforescente.
In tutto questo, Rocky continuava a dare di pugni ad avversari sempre più forti di lui.

Il capolavoro però arriva nel 1985.
A Rimini esisteva un solo multisala. Si trovava in una zona all’epoca periferica, quella del quartiere di case popolari del V Peep, e prima di arrivarci c’erano via Acquario con l’omonima banda e gli eroinomani delle vie limitrofe. Si chiamava Astoria e le due sale ospitavano i film campioni al botteghino, da ET a Star Wars ai Disney come Il libro della giungla. Non poteva mancare Rocky ovviamente nella sua programmazione.
A passarci oggi davanti, un oggi nel quale il V Peep è diventato zona residenziale dietro a un Parco, quello della Cava, semplicemente incantevole, l’Astoria è un immobile chiuso, nel quale si è tentato di farlo rivivere come sala di università o luogo di incontri di festival, ma con esiti sempre deludenti. A passarci oggi, un oggi nel quale è barricato, le porte massicce pesantissime in vetro nero e le maniglie quadrate in legno di noce sono ancora quelle che si aprono mentre vado con mia mamma e mio cugino a vedere Il ritorno dello Jedi, mentre vado al bar durante il primo e secondo tempo a prendere le coca-cola gommose per la prima ragazzina diventata amica, mentre aspetto sulla moquette azzurro grigio che arrivino gli amici preoccupandomi di aver chiuso bene la bicicletta con la catena.
Rocky 4 è quello che considero, a vederlo con gli occhi della quarantacinquenne che sono diventata, il più politico e di propaganda della serie, mascherato di un buonismo oggi mieloso e raccapricciante, in un momento storico nel quale ciò che ancora si diceva era che i comunisti mangiavano i bambini e i cattivi era sempre i russi. Mosca sembrava l’inferno e i terroristi con qualche variazione mediorientale avevano sempre l’accento sovietico. Il soft power americano attraverso moda e pop e qualunque arte visiva era finalmente compiuto.
Non perché io sia di sinistra, non è una questione di fazione politica. Per me, undicenne che andava con suo padre al cinema a vedere un film di sport, oggi, adulta, mi sento ingannata.
Avevamo già i film adrenalinici a rendere terroristi i russi, perché anche tu Rocky ti piegavi alle logiche della guerra fredda?
Dovevi perdere Rocky, anche se Ivan Drago l’aveva fatta grossa uccidendo a cazzotti il tuo amico Apollo, anche se la me undicenne si è commossa chiaramente. Anche se ci hai regalato perle come Ti spiezzo in due indorandoci, in un impossibile scenario nel quale i russi dipinti come regime militare che ti applaudono “a casa loro”, un Se io posso cambiare, anche voi potete cambiare!
No Rocky, avrei preferito che mi spiegassi meglio. Non aver certo potuto capire gli scenari e gli equilibri geopolitici a undici anni ovviamente, ed è bene dirlo non credo che ci sia un undicenne in grado di poterlo mai fare, e non credo che sia compito di un undicenne capire questioni che nemmeno gli adulti capiscono appieno, però nemmeno così, con l’inganno, raffigurando un popolo che non era proprio così.
Mi diventavi idolo con una bugia.

E noi, ragazzini decenni cosa siamo diventati dopo Rocky? Ci hanno apparecchiato al berlusconismo? Ci hanno apparecchiato al mito della Quinta Strada a Manhattan sfociata in Sex and the city? Ci hanno apparecchiato a non capire mai bene il ruolo dei russi nella Seconda Guerra Mondiale? Ci hanno apparecchiato ai quarantenni di oggi cresciuti nel mito di quell’America con film come Vacanze in America dei Vanzina?
E noi, cosa siamo diventati?
Gregge insoddisfatto che ha creduto a una bugia o persone che tutto sommato sono cadute in piedi applaudendo un italoamericano dalla faccia storta e tumefatta di pugni?
Cosa?

L’ultima volta che ho incrociato Rocky, la serie veniva trasmessa da Sky.
Ho sorriso, pensando a quella bugia.
Ho sorriso con il sorriso degli sconfitti, come Rocky sul tappeto dopo aver perso ai punti contro Apollo in quel lontano film del 1975.

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