non è necessario che sia freddo o che piova. può capitare anche durante l’estate, anzi spesso durante l’estate. e sono quei film che, dopo aver visto la razione quotidiana di studiosport durante la pausa pranzo, si fa un accenno di zapping mentre si beve il caffè prima di schiacciare il tasto rosso dell’off. e succede allora, drammaticamente (perché hai da matitare dieci tavole) che becchi uno di quei film. inizi a guardarlo, ti dai il tempo del caffè ma il caffè finisce e ti dici: solo questa scena e poi spengo, ma non spegni e, facendo saltare tutti i piani, ti ritrovi alle 17 che te lo sei visto tutto e il tuo programma è andato a puttane. il fatto di disegnare come lavoro implica anche che ci si gestisce il tempo, quindi se un pomeriggio salta, lo rimedi la notte eventualmente. ma tant’è. quel film lo riguardi come fosse la prima volta. e ti piace sempre. come la prima volta.
chiaramente, ognuno ha i suoi gusti, di conseguenza non pretendo certo che i miei siano i vostri. certo è che di film ce ne sono talmente tanti che farne una classifica o una top5 è impossibile, vuoi perché si ha questa imposizione del catalogarli in cose comuni, vuoi perché piace un po’ di tutto e persino io spazio dal malick di turno o frank capra in bianco e nero o gli avengers o bergman. e mi piacciono tutti. e guardo un po’ tutto, tranne i film sugli zombie e i film dell’orrore, perché me li sogno la notte come se non bastassero gli incubi che ho sovente.
così, non potendo farne una classifica precisa, attingo dalla mia reale esperienza.
c’è posta per te.
le sorelle eprhon hanno creato un impero tra commedie romantiche e di intrattenimento. e lo hanno fatto attraverso i volti di tom hanks e meg ryan su tutti per riproporli (dopo quell'”insonnia d’amore” la cui scena finale è una scopiazzatura da “a love affair” del 1939 e nei remake successivi) in questo film di fine anni ’90 (1998 per la precisione). fa specie pensare che ci siano ragazzi che oggi sono ventenni e non lo conoscano. soprattutto per il fatto che i pc e i notebook erano davvero preistorici per come siamo abituati oggi e non esistevano i cellulari, quindi probabilmente sarebbe comunque preistorico e non riuscirebbero a capirlo.
il titolo nella versione italiana purtroppo è ripreso dalla trasmissione della de filippi rea, con i suoi programmi, di aver appiattito se non azzerato i neuroni funzionanti degli italiani e per questo meriterebbe la gogna lei e chi le ha permesso di farli, quei programmi. l’originale era un più poetico “you’ve got mail”, ma pace.
piace perché è ambientato a new york, in quella new york bella e “ricca” che ha anche determinato il successo di “sex&the city”, quella delle case fighe, con la scalinata davanti, con i marciapiedi larghi e i bar carini nei quali si può bere una cioccolata calda leggendo un libro senza che nessuno dica nulla, roba che se lo fai in italia ti guardano male e pretendono almeno 20€ di consumazione invece dell’euro del caffè.
le case dei protagonisti sono sempre delle figate pazzesche, dai loft all’arredamento preciso falso degli appartamenti anche di un metro quadro.
e la domanda sorge spontanea: come accidenti fanno ad avere case come quella una che ha una libreria?! in italia, per case come quella devi vendere un rene, e poi e poi se basta.
e i protagonisti sono sempre vestiti bene.
questo film passa sicuramente alla storia per il guardaroba di meg ryan. è da questo film che il twin-set e il look alla minimal ha ripreso piede nella moda.
e meg ryan ti sembra persino figa, con il suo ciuffetto biondo e il taglio sbarazzino, anche se cammina come una papera.
il favoloso mondo di amelie poulain.
ecco. è del 2001 ed è francese (e già) eppure è stato il successo cinematografico dell’anno. diventato un cult misurato nel corso del tempo, se si sa un po’ di cinematografia francese ci si rimane anche male che mathieu kassovitz, regista del magnifico “l’odio”, sia il co-protagonista mezzo svitato di amelie.
è il film per il quale audrey tatou ha perso un’identità e per tutti, da allora e per sempre e a tutt’oggi, è amelie.
film perfetto. i colori e le ambientazioni sono come quelle dei fumetti francesi con una colonna sonora (di yann tiersen) che è indimenticabile e che gli ha dato una notorietà oltre i confini francesi (uno dei miei compleanni più belli lo passai con mia sorella e ci regalammo il concerto di tiersen al velvet di rimini). e anche se le battute le si sa a memoria, si fa peggio del riascoltarle: le si dice insieme agli attori.
qualcosa è cambiato.
altro film della fine degli anni ’90 (sempre 1997), ha vinto persino due oscar.
e altro film perfetto. ci si chiede il perché jack nicholson abbia scelto un film evidentemente di intrattenimento e di cassetta, in realtà, è uno di quei film che rientrano nelle grandi commedie americane e, come tali, immortali nel tempo. all’epoca nicholson aveva ancora un barlume di crisma nel scegliere copioni raffinati (tipo lo sconosciuto “a proposito di schmidt” passato praticamente inosservato), poi perso forse per età o perché hollywood dimentica presto.
eppure, questo film è un gioiellino dall’inizio alla fine. battute perfette e scene perfette, sceneggiatura capolavori con le frasi che vorresti, un giorno, sentirti dire.
chiaro. gli ambienti di new york sono sempre quelli, fighi e da ricchi e la fotografia è piatta come il colore a tinta unita, ma è bello uguale.
si scopre quella helen hunt di un brutto che fa paura e che, peraltro, non fa nulla per migliorarsi e che, da questo film, otterrà una popolarità che la porterà a essere una delle attrici più pagate della mecca del cinema, dopo una discreta gavetta passando anche dalla sit-com (molto popolare in america) “mad about you”.
e poi, scopri greg kinnear che ti piace più dei “divi” e te lo ritrovi l’anno dopo in “c’è posta per te”. cioè della serie, inizia a piacerti perché non è invadente e recita i ruoli più simpatici.
…e alla fine arriva polly.
del film in quanto tale non se lo ricorda nessuno, ma quando si prova a descriverlo rispondono: ah! quello del furetto cieco che sbatte dappertutto.
ben stiller era alle prime armi nel suo omologarsi a commedie leggere dopo il successo di “tutti pazzi per mary” e su quel filone, dopo questo film, avrebbe continuato a esprimersi. ciò che in pochi sanno è che nel 1994 fu il regista di quel piccolo capolavoro che fu “giovani, carini e disoccupati” e in pochi sanno che fa parte insieme tipo ai fratelli luke e owen wilson, jack black, will ferrell, vince vaughn e steve carell di un gruppo non ufficiale di comici chiamato frat pack sulla falsariga dell’indimenticato brat pack (a sua volta ripreso dal gruppo di amici/artisti di frank sinatra), altro gruppo di attori, sceneggiatori, registi che fecero grande la filmografia chiamiamola leggera degli anni ’80. andrew mccarthy, rob lowe, demi moore, emilio estevez, judd nelson, molly ringwald, ally sheedy e anthony michael hall popolavano tutti quei film anni ’80 che si sono amati, da “breakfast club” a “st.elmo’s fire” a “bella in rosa” e via così.
avete mai notato che in tutti i film leggeri si ruotano sempre gli stessi attori? ora sapete il perché.
e non si sa che ne sono stati scritti anche dei libri sul brat pack e sul frat pack. piccoli successi in america, qui in italia, quei pochi che ne sono arrivati hanno subìto la vergogna di un titolo da gigliottina (“looking for andrew mccarthy” di jenny colgan è stato tradotto con un improbabile e mistificante “apro gli occhi e ti penso”).
come non si sa che questo trucco del fare film di questo tipo dà la possibilità ai vari stiller, wilson eccetera di fare il cinema che vorrebbero fare davvero. non a caso lo stesso stiller collabora spesso con registi del calibro di wes anderson.
tipo.
la jennifer aniston, invece, veniva dal clamoroso successo di “friends” e si dava anche al cinema, tant’è che questo è uno dei primi film nel quale appare dopo la dipartita della sit-com. il “taglio alla rachel”, che ripropone in questa pellicola, è stato uno degli incubi più longevi delle parrucchiere e, come per meg ryan in “c’è posta per te”, dal suo look verrà fuori la moda dell’anno dopo, sdoganando la moda hippie e, primissima volta assoluta, un’attrice calza gli hug, gli scarponcini di pelo australiani che arriveranno a costare oltre i 200€ negli anni successivi in italia.
fantozzi.
intramontabile. italia1 ripropone nelle serate di venerdì nelle serate a cavallo di luglio e agosto una carrellata dei film su “fantozzi”. imperdibili. le sue battute (dal “tu mangia?” al “fantozzi, è lei?” dopo un’assidua preparazione con il mitico ingegner filini e con fantozzi con persino una patata in bocca al “batti, batti lei” per citarne qualcuna) sono a tutt’oggi di un’attualità nel gergo della gente che sembra non sia passato nemmeno un anno da quando uscì per la prima volta. altro film per il quale la definizione “cult” si è misurato nel tempo, fantozzi è la fotografia di un’italia che non esiste più, quella dei lavori in azienda dei nullafacenti e del lavoro fisso a tempo indeterminato per il quale oggi si farebbero i salti mortali per averlo. e con il quale i nostri genitori sono cresciuti e per i quali lavori come disegnatore di fumetti e designer sono avanguardia pura e incomprensibili.
fantozzi non ha bisogno di presentazioni. e lo si guarda sempre gustandoselo come fosse la prima volta.
i ponti di madison county.
a dire il vero, dovrei elencare tutti i film di clint eastwood, ma questo è quello più trasmesso nei pomeriggi “rosa”. tratto da un’imbarazzante romanzo best sellers negli stati uniti, nelle mani del buon clint diventa un film della madonna. va bene, mieloso e romantico, ma vederlo in originale con meryl streep che parla inglese con l’accento italiano, lascia poco spazio alla definizione film di merda da donnette.
potrebbe persino esserlo, un film di merda, però rimane come tutti gli altri di clint e arricchisce una cinematografia che con questa pellicola fa davvero pensare che il callaghan per eccellenza sappia girare anche un film romantico. e cazzo se lo sa fare.
per me, peraltro, ha anche un ricordo speciale. abitavo a milano e frequentavo la scuola di fumetti. un amico, amante di clint, alla proposta delle visione de “i ponti di madison county” rispose: non vengo, non posso sopportare di vedere clint piangere.
chapeau.
il diavolo veste prada.
altro film che, arrivato quasi ai dieci anni dalla sua prima uscita, lo si è visto talmente tante volte da saperlo a memoria.
anch’esso tratto da uno di quei best sellers americani che bah, il film vanta ottimi attori e naturalmente panorami di quella new york figa di cui sopra. si intravede pure parigi perché non ci avevano fatto sbavare abbastanza, ma anne hathaway camuffata da modella appare persino figa e non c’è ragazza che non abbia preso appunti per il suo abbigliamento. ha una classe e una eleganza da mozzare il fiato e meryl streep si reinventa e dimostra ancora di più che cazzo di attrice della madonna sia. ma le battute migliori di emily blunt (“tu mangi carboidrati!”) e stanley tucci (“hai un disperato bisogno di chanel” tra le tante di entrambi), i cosiddetti non protagonisti, sono quelle che rimangono.
colazione da tiffany.
quando rete4 era ancora rete4 regalava la proiezione di film come questi, quelli delle commedie anni ’50 e ’60 che hanno fatto grande il cinema americano. se non ci fosse stato “colazione da tiffany” non sarebbero mai esistiti i film elencati sopra. e nemmeno buona parte della cinematografia che si conosce. dal romanzo di truman capote, blake edward era il garry marshall o l’herbert ross dei tempi nostri (magari più dei miei tempi va là). audrey hepburn è semplicemente splendida e da questo film diventerà l’icona di una moda che a tutt’oggi dura nel tempo quasi cinquantacinque anni dopo (la pellicola è del 1961). ancora oggi le donne vanno a fare shopping e per spiegarsi su un modello di un cappello o di abito o persino di occhiali lo chiamano “alla audrey hepburn”. eterna.
e tiffany, la gioielleria, ancora oggi è uno dei posti più visitati a new york e, molte, in memoria della locandina del film si fanno fotografare nella stessa posa di audrey, oltre al fatto che i gioielli tiffany sono ancora compratissimi.
e rivedere un george peppard biondo e giovane, dopo essere cresciuta con gli episodi dell’a-team, è fulminante.
il diario di bridget jones.
tu, ragazzina di appena vent’anni, te lo compravi perché leggevi le recensioni dei libri su “elle” e “marie claire” e perché eri schiava delle mode e le avevi seguite tutte, quelle letterarie, da pennac a nick hornby a enrico brizzi a baricco e poi perché i ragazzi che ti piacevano li leggevano sul lettino in spiaggia dopo la partita a beach. come oggi hai letto tutta la serie di “i love shopping” e nemmeno ti vergogni. io, da fighetta riminese, avevo un piede di qua e uno di là, tormentata dal dare ragione alle apparenze o essere me stessa, quindi nel caso li prendevo in prestito da mia sorella e li leggevo. il potere è nella conoscenza, anche leggendo libri di merda. poi esce il film. e il sequel. e ti dici: ma l’ho letto sei anni prima. e ti è persino piaciuto. e ti piace ancora. perché bridget jones incarna, ancora oggi, quasi vent’anni dopo, i limiti e i desideri di una giovane donna. quante promesse ci facciamo sul dover dimagrire? quante nello smettere di fumare? quante volte ci si domanda quando arriverà il nostro principe azzurro? quanti obbiettivi ci poniamo mancandoli sempre tutti?
sembrano domande preistoriche che si pensa le donnine non si facciano più e invece se le fanno, se le fanno eccome ancora oggi.
i film sono frizzanti, l’inghilterra che appare è come la new york figa di cui sopra e poi hugh grant e colin firth sono bellissimi, tanto che si fa fatica a scegliere quello che ti piace di più. e poi, quando bridget ti tira fuori lizzy e darcy (di “orgoglio e pregiudizio” della austen) paragonandoli a maria e al capitano von trapp (dal film “tutti insieme appassionatamente”), non può non piacerti.
il terzo diario di bridget è passato totalmente inosservato tentando di cavalcare un’onda che si è prosciugata, non foss’altro perché ritrovare bridget di nuovo single con un figlio a carico e senza darcy ti fa più pensare a ciò che o sei diventata o ciò che hai rischiato di diventare in un fallimento nella vita privo di speranze che davvero non vuoi vivere. e infatti, nemmeno preso in considerazione per una trasposizione cinematografica. fortunatamente.
sapore di mare.
dei fratelli vanzina così come “vacanze in america”. prima che tutto cambiasse e diventassero film di merda, oggi c’è checco zalone che fa film che sono lo specchio del tempo. ma quelli, lo erano davvero. ciò che erano gli italiani e che, in fondo, poi molto non sono cambiati.
alla stregua dei film di celentano, del monnezza e, sì, anche di nino d’angelo, quelle erano le commedie di casa nostra quando dall’america, a parte i film su superman, arrivavano film tipo “top gun” o “rocky” ma anche “rain man”. e comunque anche le commedie più stupide, da “porky’s” ad “animal house” o un “cocktail” qualunque erano praticamente capolavori.
noi avevamo jerry calà e i film più impegnati del grande cinema italiano si era un po’ perso dopo i fasti degli anni passati.
ma “sapore di mare” nonostante la trama e gli attori che erano quello che erano è un film riuscito, perché tocca quelle corde della memoria dal quale non si sfugge mai, soprattutto se inizi ad avere i capelli bianchi e la musica che ascolti non ti appartiene più. e poi, ricordare il passato quando si era giovani produce sempre il risultato che ti manca. e quella malinconia straziante che ti fa piacere film come questo.
isabella ferrari è giovanissima e bella bella bella e virna lisi è la signora saggia che avresti sempre voluto essere nell’età adulta. poi, quando nell’età adulta ci sei, continua a sembrare tua mamma e nonostante qualche capello bianco non ci sei nemmeno lontanamente vicina perché ti vesti ancora con la saloppette e le espadrillas.
match point.
woody allen è woody allen. non ce n’è. ma, rispetto ai vecchi film di cui le battute sono nel patrimonio genetico dell’umanità, i nuovi hanno bisogno di altre cento volte per essere assimilati.
e anche se non sono riuscitissimi, qualche battuta degna di ricordo c’è sempre.
in quelli poi con la sua nuova musa, la scarlett johanson si reinventa tra brava ragazza e troia (più troia a dire il vero).
ma è “match point” il film che segna il ritorno del regista e che lo riporta in auge.
ricco di citazioni e omaggi, il regista newyorkese riscrive una trama interessante e poco prevedibile e il cambio forzato (questioni di soldini come sempre) nell’ambientarlo dall’america all’inghilterra è alla fine la sua forza. certo, sempre una londra e campagna da cartolina e ricca, però almeno si vedono scenari più compatibili agli europei.
jonathan rhys-meyers te lo ricordi come l’allenatore di jesse in “sognando beckham” e in “velvet goldmine” e ritrovartelo sgudiblo ed elegante ti fa storcere il naso, tanto è vero che gli preferisci matthew goode che hai amato in “imagine you&me” e al contrario ti fa gioia quando lo rivedi in “watchmen”, fumetto che hai amato e la cui trasposizione cinematografica comunque ti piace.
e come anche “vicky cristina barcelona”, non te lo ricordi perché è troppo nuovo e via a finirlo che è pomeriggio inoltrato e quasi orario aperitivo.
e poi e poi, quanti ce ne sarebbero…
ma è estate, e piove. e anche se fosse inverno, tipo quelle domeniche che passi dal letto al divano e viceversa, chi di voi, se becca uno dei “suoi” film, avrebbe davvero la forza di spegnerla, la tv?
(anche se la mia domanda quando guardo film francesi, inglesi e americani è sempre quella: come fanno a non avere il bidet?)
Ma a Donne in carriera non dai una chance?
dici “una donna in carriera” (“working girl”) del 1988 con melanie griffith, harrison ford e sigourney weaver? quello della battuta di joan cusack 2caffè, tè, meeee?”? se fosse, lo inserisco in un altro articolo.
Meg Ryan era Meg, poi si è fumata il cervello pure lei
Delle tante volte che ho visto Amelie, la più bella è stata in versione originale in un vecchio mulino della Normandia.
Il terzo e quarto penso di averli persi
Fantozzi si guarda a spizzichi
Clint mieloso non mi era dispiaciuto, soprattutto sotto la pioggia.
Il diavolo credo di averlo perso
audrey hepburn vale ogni film
Il diario l’ho perso
Sapore di mare pure
Matchpoint l’ho visto ma puff, non lo ricordo
Io ci aggiungo il matrimonio del mio migliore amico. Adoro Rupert Everett in quel film