Figurine: Dora Carboni

Dora Carboni aveva il Bar Vettore a Pretare di Arquata del Tronto. Nel terremoto del 24 agosto 2016 con epicentro i Monti Sibillini crollano Pretare, Arquata e il bar. E il resto. Nel giugno 2020, dopo la quarantena da coronavirus, torno come ogni anno da allora nelle zone del terremoto e scopro essere ancora viva. Figurina #116 S2.

Nel 2015 il giornalista Massimo Veneziani per la rubrica Tg Itinerante del TgR Marche passeggia per le vie di Arquata del Tronto.
Nella scena successiva, anticipandola, avvisa che sarà in una frazione vicina, che si chiama Pretare. Entra nello storico Bar Vettore chiamato così perché in uno dei suoi scorci c’è il Monte Vettore nei Sibillini.
La linea di queste colline e monti è inconfondibile, come il Monte San Vicino che io vedo ogni volta che vado a Jesi, e anche il Monte Vettore ha le stesse morbide onde.
All’interno del bar, intenta a preparare caffè, c’è Dora Carboni.
Dora in quel 2015 ha 91 anni e da 61 lavora lì. È un pezzo di storia da quelle parti, è luogo di culto e tappa obbligatoria.
Lei è molto tenera, signore infaticabili di una volta, di polso seppur votate al sacrificio e con le idee ben chiare. Sorride e si copre il volto dall’imbarazzo quando il giornalista le dice che andrà in televisione.
Il giorno dopo il terremoto del 24 agosto 2016 c’è un sole e un cielo terso da perdercisi. Ciò che è rimasto in piedi in agosto viene giù a fine ottobre e, per non farsi mancare niente, nel gennaio 2017. Perché la terra non smette mai di muoversi in quei mesi.
Sotto quel cielo, il Bar Vettore è un cumulo di macerie.
Si riconosce l’angolo su cui si apriva, l’entrata su un lato e la vetrina sull’altro, si riconosce la leggera salita per arrivarci coperta di pietre – va da sé, la strada non esiste più -, e ne si ricorda ancora l’odore e quel Monte Vettore che si apre sulla sinistra appena ci si volta, la sensazione di grandezza ai piedi di un gigante.
Del Bar Vettore, il 2 agosto 2019 ne incrocio il cartello con l’indicazione, come se il terremoto non ci fosse mai stato.
Arquata del Tronto non esiste più. Così come Castelsantangelo sul Nera, Pieve Torina, Gualdo, Pescara del Tronto, Spelonga, Visso e Ussita tra le altre, nelle Marche nella quali vivo.
Di Arquata dalla piana sopra Spelonga mentre assisto al concerto di Arisa per Risorgi Marche, si intravede incastonata nella prospettiva del Monte Vettore un guazzabuglio di pietre, come tessere di un mosaico messe a caso.
Ho dovuto riprendere fiato, fermarmi, per osservare ciò che non c’era più. Naturalmente, alla piana ci si accedeva dopo aver sorpassato un telone con la foto di Arquata del Tronto di una volta, quando esisteva.
Non vi dico le lacrime.
Il coronavirus non ha aiutato quelle zone. Mi domando quale generazione verrà fuori da quei ragazzi che ho visto, stesi vicino a me e che quel 2 agosto salivano in bicicletta alla piana, ora costretti a stare senza scuola e in quarantena.
E penso a persone come Dora, anziani certo, ma la racchiudo in quella generazione che il covid19 sta spazzando via, dai partigiani a queste genti di montagna. Quanta memoria persa, quante vite che si farà fatica a ricordare…
Mi ero ripromessa dopo la vista di quel servizio del TgR di farci un giro, là, ad Arquata, a Castelsantangelo, di andarci magari in quelle gite da Liberazione/1 maggio che si facevano spesso. Non ne ebbi mai l’occasione, la vita…, più teste a scegliere, gusti diversi.
Ci sono tornata più volte dopo, questo sì, a comprare ciauscoli e formaggi e vino.
Io non so se Dora sia ancora viva, non so come siano quelle zone durante la quarantena, ma so che ci tornerò. E chissà, un caffè al nuovo Bar Vettore, potrebbe scapparci.

*  *  *

Nella calda domenica del 29 giugno 2020 torno ad Arquata del Tronto.
La destinazione è Castelluccio di Norcia e i colori della fioritura sottostante.
L’ultima volta, nell’agosto dell’anno scorso, la strada per Arquata si interrompeva. Appena si saliva verso l’unica cosa che è rimasta in piedi, l’aquedotto, sulla sinistra il centro era ed è ancora zona rossa, disabitato e chiuso. A destra si saliva per le altre frazioni. Impossibile raggiungere Pretare e prima ancora Piedilama, a parte gli abitanti che si sono spostati nelle casette.
Se si cerca Bar Vettore per una pausa di un caffè, le indicazioni portano ancora a quella stradina, all’ombra del monte Vettore, con la scritta attaccata al muro, la panca verde sull’angolo e le sedie rosse. Ma oggi in realtà c’è una strada chiusa, macerie e, di fatto, una parte di Pretare che non esiste più.
Il Bar Vettore non esiste più.
Ciò che rimaneva è stato demolito.
Chiedo del Bar Vettore in un altro bar, altro simbolo del luogo, L’Antico Bar, il cui proprietario Sergio è oggi un uomo stanco. Mi serve una birra, non sorride. È un uomo nel quale è visibile che una parte di sé è morta quell’estate del 2016. Quella notte salvò il nipote scavando a mani nude nelle macerie ma non potè fare nulla per la sorella, la cui casa le crollò addosso a Pescara del Tronto. Di quel bar è rimasta solo la tavola di legno su cui è inciso il nome. Il nuovo bar è un container, risolto al meglio.
Chiedo di Dora. Mi dicono che era solo lei, per cui il bar una volta crollato non ha più riaperto.
E che lei, Dora, raffigurata in una delle mie figurine, abita sempre a Pretare, in una delle casette.
È viva, penso, è ancora viva.
Torno felice.

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