Avant pop

C’è tutto un movimento culturale, correnti che si mescolano tra loro, dal fumetto alla narrativa, dal cinema alla fotografia, dalla musica alla moda. Era il cosiddetto l’Avant pop che, non sapendo di viverlo, ha influenzato la mia fanzine “Hai mai notato la forma delle mele?”, ora nel numero 5 “Le Mele Magazine”.

Cristiano de Majo scrive per Rivista Studio – preludio di un articolo nella presentazione di un libro -: ” Tra la fine dei ’90 e l’inizio degli anni Zero uscivano in America e poi in Italia, soprattutto grazie a minimum fax, Fanucci, Einaudi, libri di racconti (ma non solo) che avevano l’aria di essere la nuova grande cosa della letteratura e quindi il tipo di letteratura che meglio rappresentava lo spirito del tempo. Autori come George Saunders, A.M. Homes, il primo David Wallace, diretti discendenti del passaggio del postmoderno attraverso gli ’80 […], un tipo di narrativa di cui si sono provate varie definizioni, tra cui “Avant pop”, ma che forse non siamo mai veramente riusciti a categorizzare in modo preciso. Quelle di cui parlo sono storie in cui c’è un alto grado di surrealismo: oggetti che parlano, morti che rivivono, ragazzi che si calano un acido durante un concerto di Keith Jarret, sullo sfondo di una società capitalista collassata e spaesata in cui la tv e le merci hanno assunto una forma di dominio e di controllo delle menti.”
Cristiano de Majo spesso ha dato voce con i suoi articoli a ciò che provavo: ci si influenza da chiunque e da chiunque, trasformandolo, se ne prende a piene mani. Pensate a David Bowie e al suo periodo berlinese, persino lui è stato influenzato dal contesto, per esempio, che poi lui l’abbia trasformato nel nuovo, be’, non a caso era un genio.
Dell'”Avant pop” ricordo la musica (i primi Placebo, per dire quelli tra i più “tranquilli”), nel cinema film come “Go” (con le star dei telefilm dall’alieno di “Roosvelt” alla Katie Holmes di “Dawson’s Creek”) o “Hell’s Kitchen” con Nicholas Cage, nella narrativa quelli citati da de Majo (e in effetti erano anche gli anni di un altro epocale passaggio, quello dall’eroina in vena che procurò di fatto un’ecatombe alla chimica delle pastiglie), ma anche una controparte italiana, iniziata con TransEuropa, il primo Enrico Brizzi, Silvia Ballestra e i suoi Antò abruzzesi, su tutti Tondelli. Si respirava quest’aria di nuovo, o quantomeno, si iniziava ad avere il coraggio di raccontare la quotidianità. Si riscoprivano Carver e Cheever e se ne faceva uno zibaldone di influenze che hanno reso quegli anni pieni di fermento.
Le illustrazioni sono rimaste incorniciate da una mostra di tanti anni fa, così tanti che abitavo ancora nella casa al mare, e appaiono nel n.3 di “Hai mai notato la forma delle mele?” che considero ancora il numero più sperimentale. Fosse stato per me quella cornice l’avrei lasciata in uno scatolone, ma prima di finire in sala stava in un’altra stanza. Oggi osservo il quadro e penso che ci sia una continuità o forse è solo suggestione perché mentre facevo quelle prime Mele intorno la scena culturale ribolliva di meraviglia.
Oggi, da adulti, siamo figli di quelle influenze e alcuni di noi sono i nuovi intellettuali, non io, io racconto ancora di macchine fotografiche dismesse e di abiti nei quali non ci si ritrova più.
Una delle mie storie più conosciute “Prima di quanto immaginassi” racconta proprio di due paia di scarpe che si incontrano e fanno le chiacchiere, come chi le calza.
Nel nuovo “Le Mele Mag” io, rileggendolo stampato, ne profumo la maturità. Ma non vale. Qualunque cosa scriva ne sono assolutamente orgogliosa.

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