Figurine: Andrea Fortunato

Aspettando Juve – Inter.
Sottotitolo: “Storie e pensieri, sul calcio e i calciatori di una volta (o quantomeno quelli che mi ricordano la mia infanzia)”.

Di Andrea Fortunato ho sempre pensato che se quella terribile malattia non lo avesse portato via così giovane, sarebbe stato uno dei più bravi terzini di quei primi anni ’90 e un gran rivale di Paolo Maldini sulla fascia sinistra, finanche a “rubargli” il posto in nazionale – come ogni tanto era accaduto -.
Chissà se fosse vissuto magari la storia calcistica raccontava un’altra rivalità, di quelle belle, alla Baggio/Del Piero, alla Zenga/Tacconi, alla Baresi/Scirea, anche se poi di fatto è più nell’invenzione giornalistica la rivalità, è più nel raccontare un calcio romantico d’altri tempi e raccontare quei protagonisti di un calcio finito.
Fa male scrivere di Andrea Fortunato, ha sempre fatto male nella memoria: per quei tifosi che lo criticavano dopo un primo anno alla Juve nel quale si titola già a Fortunato come al nuovo Cabrini. Arrivato dal Genoa con buone prospettive, inizia a rallentare e non mantiene le premesse di quel primo anno fantastico.
Poi quella stanchezza continua, la febbre, la verità.
Cosa si può raccontare di un ragazzo dai bei ricci lunghi – come era la moda dell’epoca -, di quegli occhi verdi e quel sorriso abbozzato sul volto in alcune foto, la spontaneità dei vent’anni, le galoppate sulla fascia sinistra, quella libertà così breve.
La verità lascia il mondo del calcio (e i tifosi critici) agghiacciati.
Andrea Fortunato inizi a curarsi, non molla, ci crede e tutti quelli che amavano il calcio, con lui.
Quando lo si vede in tribuna per un Sampdoria – Juve, con notizie che dicevano che era tornato ad allenarsi, con notizie che dicevano di un suo recupero fisico, con notizie positive sotto a un sole genovese che fa davvero ben sperare, molti, me compresa, erano felici per lui.
L’idea comune è che un atleta abbia sempre vita lunga: Manfredonia e Antognoni hanno spaventato, Morosini in quel Pescara – Livorno lo si ricorda ancora, Borgonovo, Ingesson e Signorini se ne sono andati con la SLA già oltre fine carriera, la sensazione è come quella di una frase da “Le vergini suicide” di Eugenides in cui il narratore dice che le uniche esperienze erano legate a qualche cagnolino del quartiere o a qualche nonno ma all’assoluta impreparazione a dipartite in giovane età (ma nel libro Cecilia aveva appena tentato il primo dei due suicidi).
Andrea Fortunato se ne andrà qualche settimana dopo, a 23 anni, per leucemia, di fatto per una polmonite in una ricaduta nella quale le difese immunitarie sono bassissime.
Quello che rimane è una immensa tristezza immutata nel tempo, ogni volta che si pensa a lui.
Quello che rimane è la memoria per un giocatore che poteva essere un altro dei più grandi difensori italiani.

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