Aspettando Juve – Inter.
Sottotitolo: “Storie e pensieri, sul calcio e i calciatori di una volta (o quantomeno quelli che mi ricordano la mia infanzia)”.
Di Marco Tardelli L’IMMAGINE nella Storia sarà sempre la sua corsa in mezzo al Bernabeu e il suo urlo gioioso al 2 – 0 di Italia – Germania in finale ai Mondiali di Spagna ’82.
Non c’è altra memoria per lui, per quella collettiva intendo.
Io invece ricordo un giovane magro, del blocco juventino della nazionale, e nei miei ricordi di bambina di 10 anni nel passaggio all’Inter scambiato con Aldo Serena.
Quando arriva all’Inter, Tardelli ha già superato i trent’anni e il meglio lo aveva già fatto e dato, in carriera. Anche se mi viene da pensare che fosse sì appagato, ma comunque serio, una persona seria, che arriva in una squadra nuova e insegna, insegna ai ragazzi “come si fa”.
In un’intervista su RadioRai1 alla domanda cosa fosse più facile tra giocare, allenare e fare l’opinionista rispose, sfociando in una risata ricordando i tempi di giocatore, con una malinconia fatalista e pensando probabilmente alla vita del dopo, alla durezza di ciò che umanamente ognuno affronta: “Giocare era facilissimo”.
Era un bellissimo ragazzo, Marco Tardelli, e un centrocampista/terzino in anni nei quali questi ruoli avevano una connotazione precisa, e per i quali Brera ne raccontava con una poesia solo sua.
È affascinante Tardelli, anche oggi, nel suo modo risoluto di essere, di esistere. Il suo volto e i suoi occhi sembra nascondino sempre verità che non è possibile dire e, se le dice, le minimizza – come quando andava in stanza da Scirea e Zoff teso per la finale e loro due imperturbabili, e questo lo rasserenava -. Chissà cosa si dicevano davvero, le sigarette fumate, e il resto.
Con Zazzaroni poi alla DS ci sono stati momenti anche belli, loro due sempre contro.
Ma tanto per tutti lui è ancora là, a correre e a urlare, in quell’urlo lungo lungo, anche nei tempo, applaudito da un Pertini in tribuna festante e con le braccia al cielo sotto la voce di Nando Martellini a cesellare il momento nella nostra memoria mentre davanti alle tv urlavamo anche noi.