“il giorno più bello” e il ritorno a casa

La moka brontola mentre sale il caffè, un caffè – verrebbe da dire – vero, ma è solo che siamo abituati così, come siamo abituati a uno stile completamente diverso da quello vissuto negli ultimi dieci giorni.
Il vicino ha ritirato il pacco della Rizzoli Lizard con le copie de “Il Giorno Più Bello” e intanto il puntatore, o segnaposto che dir si voglia, indica un triste e casareccio Montemarciano – il cui hashtag è stato usato sopra le duemila volte e il sospetto che almeno mille siano le mie – invece di un ben più iconico e cool NewYork. 
Ma tant’è.
Si è tornati a casa.
E non è che non ci siano avventure e luoghi splendidi anche qui.
Uno dice la routine; eppure che strano, perché penso che viaggerò ancora per la promozione del fumetto e che posso svegliarmi con quello nuovo da realizzare e ancora e ancora.
E non mi sembra tanto male.
Per nulla.
E il caffè è pronto. 

Partiamo dalla fine.
Come in alcuni dei migliori film girati, quelli che iniziano con la fine, non la vera fine, un pochino prima; quelli con la faccia del/la protagonista che si domanda, a noi ignari spettatori: come sono arrivato fino a qui? Tipo Megamind, che io adoro. Lo adoro così tanto che un capodanno, con il nipote all’epoca cinquenne, lo facemmo girare tutta la notte in televisione dalla Apple TV. Il nipotino cadde esausta con gli occhi cerchiati di rosso, ma almeno tre volte lo vidi con lui.
Partiamo dalla fine, dicevo.
Dalla fine e da un nuovo inizio, se vogliamo.
Ogni fine viaggio, in realtà, non è la fine di qualcosa, è semplicemente l’inizio di altro.
Sono appena tornata dagli Stati Uniti.
E in questo viaggio, il mio nuovo romanzo a fumetti “Il Giorno Più Bello”, o meglio, la mia copia staffetta, è venuto con me.
Abbiamo girato e io l’ho fotografato un po’ ovunque.
Con questo post finale, inizia un percorso a ritroso; non sarà esattamente cronistico, riproporrò molti dei post lunghi apparsi su Facebook e Instagram, e alcuni saranno nuovi del tutto, con foto che sui social non sono state pubblicate.
La parte sopra di questo post ne è un esempio.
E questo è il primo della serie.
Dopo il caffè, però.

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