Quel momento dell’attesa del primo caffè della mattina, il sorseggiarlo poi, organizzare gli impegni lavorativi e intanto servirebbe già il secondo.
Non pensi mai a queste cose fino a che non vai a vivere da sola. La convivenza è già diversa perché le scelte si fanno in due e ogni piccolissimo acquisto è oggetto di argomentazione: ti piace? no, non è questo, è che è poco funzionale, cioè sì, bello, ma poi dove lo mettiamo? i mobili sono già pieni… Quando si è in coppia, se poi è affiatata e con un equilibrio invidiabile agli occhi altrui, è difficile anche solo lasciarsi andare a slanci di shopping che non siano comunque monitorati dall’altro, a meno che non si voglia correre il rischio di sorprese insostenibili come in quelle pubblicità dove si comprano auto come fossero caramelle o qualunque altra cosa, o che non ci sia una qualche ricorrenza festiva comandata e di sapore anticamente religioso a cui nessuno fa più caso per altro. Anche solo fare le sorprese, quando si è in coppia, sono salti mortali e segreti costruiti con tale maestria che nemmeno Sherlock Holmes sarebbe in grado di svelarli, a volte inventandosi addirittura mondi e vite parallele i cui gesti e passi sono sapientemente gestiti dall’architetto del mistero.
Oppure ti ritrovi che molte cose ci sono già, quando ti metti insieme a qualcuno che già vive da solo.
In ogni caso, non ci pensi mai, a queste cose fino a che non vai a vivere da sola.
Il contenitore del caffè continua a essere quello della Illy quando in una ingenua spesa da prima volta (per poi capire che magari 5 euro per il caffè nell’economia dell’arrivare a fine mese sono troppi) e influenzata da tutte quelle volte che accompagnavi la mamma al supermercato seguendola con il carrello come fossi un automa, sei andata sul sicuro su marche che conosci e che usavi quando abitavi ancora con i tuoi e il tuo stipendio andava via per qualunque cosa tranne che bollette, affitto e il resto. poi sei cresciuta e il tuo stipendio va effettivamente via per qualunque cosa non sia la gestione della casa mentre i ricordi di spese folli il sabato sera si annacquano sempre di più e.
Il contenitore del caffè è quello della Illy. Non ti ricordi più perché ce l’hai, o meglio ti ricordi di aver provato il caffè Illy ma erano i tempi nei quali ancora non eri passata al caffè di coltivazione bio. E comunque hai scoperto che qualunque marca di caffè rientra perfettamente in quel contenitore senza esondare.
Così come quello del bicarbonato che è diventato quello del barattolino Sammontana dopo che il primo era stato imprudentemente gettato nel cestino della plastica a causa di malaugurato incidente domestico, cioè l’esagerato senso di ordine della tua compagna (e tu disordinata di natura).
O quello dello zucchero di canna che è un barattolo di vetro che probabilmente nella vita precedente conteneva olive verdi snocciolate.
Questo succede, lontano dal senso di arredamento della mamma, quando ti arrabatti riciclando gli oggetti (è vero, uno dei barattoli delle matite e delle tempere è quello delle calze Burlington); a casa dei tuoi e di tua sorella gemella sposata ogni cosa ha un suo perché coscienziosamente comprato da una calma ragionata, a casa tua che è simpatica ma non certo quello che ci si aspetta da una all’alba dei quaranta hai comprato molte cose a cazzo. Se loro hanno le collezioni Limoges per il tè corredato da teiera e poggia piattino per le bustine, tu hai le mug che per te hanno un significato e il bollitore vinto a un sorteggio natalizio. Se loro hanno bicchieri da vino e da acqua che riescono ad abbinare tra loro facendo sempre bella figura, il massimo che puoi fare tu è mettere a tavola bicchieri uno diverso dall’altro, da quello rubato a una fiera della birra a quello da trattoria sulla Marecchiese. Se loro hanno.
Il primo caffè della mattina, quello che risveglia, quello che riempie l’aria addormentata delle stanze di quel leggero scoppiettio e odore di buono, di casa, quello che è solo il primo di una lunga serie.
Di gesti del quotidiano e di cui si perde la magia, quell’abitudine nel riempire d’acqua fino al bullone l’esagono sotto della moka, inserire il filtro e metterci il caffè e poi l’ultima rotazione prima di accendere il fuoco del fornello è permeata dai pensieri del giorno che si andrà a vivere, delle incombenze, del programma di lavoro e da tanti altri che si mescolano alle cose da fare a quelli che si sogna di fare.
Eppure, non si pensa mai che è sempre una prima volta.
Il primo caffè delle ferie, per esempio, o il primo caffè il giorno dopo aver firmato un contratto, oppure, pensavo, al primo caffè che Abby Wambach o Alex Morgan, qualora lo bevano, abbiano sorseggiato la mattina al risveglio, da campionesse del mondo.
Quel gesto così automatico che fa parte delle nostre vite e che si dà per scontato.
Anche se non è scontato che il tuo programma della giornata sia risolvere quella sequenza che fa partire una serie di tavole incastrate una dietro le altre e di cui anche se non lo ammetterai mai a te stessa sei soddisfatta e ti fuma il cervello ogni volta che torni su quell’inizio. Poi c’è l’altro snodo della storia e anche lì altro fumo che non è quello dell’ennesima sigaretta arrovellandoti ancora. Ma sai che per la birra delle 18 devi avere almeno quella decina di matite che rifinirai alla seconda revisione del fumetto.
In tutto questo pensare e fiumi di elucubrazioni prive di collegamento logico, il primo caffè della mattina è stato bevuto. E, ma guarda, è già ora del secondo.
La fotografia di apertura mi fa sentire meno solo.
Anch’io la mattina mi trovo a mettere su la moka da 1 e a macchiare regolarmente il fondo della cucina vicino ai fuochi.
Ciao sorellona!