Il sorriso delle giocatrici dell’Inghilterra che mordono la medaglia di bronzo è un’immagine completamente differente dalle lacrime inconsolabili della Basset dopo il suo incredibile autogol che, di fatto, ha devastato le speranze inglesi di una storica finale. È l’immagine di ragazze comunque soddisfatte di aver vissuto un momento straordinario della loro storia e della Nazionale Inglese di calcio femminile.
Nemmeno nella migliore ipotesi avresti scommesso su un risultato finale come l’Inghilterra terza, nemmeno nei sogni più belli. E invece, moralmente, la vera vincente di questo FIFA Women’s World Cup di Canada 2015 sono proprio loro, le Leonesses.
In maglia rossa, nella finalina per il terzo – quarto posto, alzano semplicemente un muro difensivo contro la Germania che attacca a prescindere e tra un po’ anche gli arbitri lanciano il fischietto e provano a segnare.
Poi, al 118o, a due minuti dai rigori, un fallo opinabile regala la gioia all’Inghilterra: gioia incontenibile per altro e, personalmente, l’applauso delle tedesche e di Silvia Neid è uno dei fotogrammi più belli di questo Mondiale.
Non compravo un Super Santos da almeno trent’anni. E di primavere ne ho trentanove. Certo, ci ho giocato anche io con quello degli altri, sulla spiaggia e sui campetti della parrocchia, ma mio di proprietà era da un pezzo che non ne possedevo uno. Capita che andiamo al mare; montiamo l’ombrellone e apriamo il lettino; però ci mancano i giornali da spiaggia. Le amiche preferiscono Top Girl e Cioè per i test sciocchi e due risate, io dovevo ancora comprare il Guerin Sportivo. Io e I. andiamo all’edicola/bazar sull’altro lato del lungomare e mentre stiamo per pagare gli acquisti fondamentali per affrontare un’intera giornata di ozio estivo, la rete dei palloni mi chiama. LUI mi chiama. La leggendarietà del Super Santos scavalca i decenni; siamo pronti al teletrasporto ma il giocare a pallone in spiaggia con il Super Santos è una di quelle cose che ti fanno tornare bambino all’istante. Non aspetto nemmeno di attraversare la strada per aprire la retina e portarmelo sulla sabbia tra i piedi.
La foto ricordo di quel sabato, il mio nuovo Super Santos e il GS sono immortalati qui sotto.
È una foto che mentre la scatto non so che sarà storica. L’unica volta che vede il mare infatti è questa, perché il fine settimana dopo siamo all’EXPO – e quindi rimane a casa – e il sabato dopo siamo in piscina per la festa a sorpresa dei 40 anni di I.. Di fatto, Il mio Super Santos dura due settimane.
Il mio Super Santos muore in piscina, bucato da un ago del tronco di una palma e finisce, senza nemmeno troppo rammarico, sgonfiato del tutto in un bidone. Troppo poco tempo vissuto insieme, troppe poche avventure e partite per cementare un affetto incolmabile e nostalgico. Muore così, mentre io sonnecchiavo sulla sdraio e gli amici, blasfemi, ci giocavano a pallavolo.
Mi si prospettava un’estate privata anticipatamente di un nuovo amico, che poi, terminata, sarebbe stato dimenticato e impolverato in un qualche angolo disordinato del mio studio.
E invece, qualche giorno dopo, una dei ragazzi mi telefona, mi chiede se sono a casa e si presenta con un pallone nuovo. Il Super Santos era finito, così opta per il Super Tele. Se il Super Santos è il fratello sfigato del Tango della Mondo il Super Tele è il cugino ancora più sfigato del primo. Pensiero tuttavia delicato per altro: me lo sceglie rossonero per la mia velata simpatia per il Milan.
Mi si prospetta ora un’estate con un altro nuovo amico inaspettato.
Il suo esordio in spiaggia non lo ha ancora fatto, non foss’altro che questo sabato abbiamo scelto la spiaggia di sassi: roba che lo seccavo ancora prima del Super Santos.
In tutto questo, la FIFA Women’s World Cup 2015 sta scivolando al termine della sua storia e le migliori quattro sono state USA, Germania, Inghilterra e Giappone. Con mio totale disappunto per almeno due delle quattro. La prima, la Germania per un’antipatia atavica salvo poi dispiacermi comunque quando vedo le ragazze piangere; la seconda, il Giappone perché prono mi è mai piaciuto il loro calcio. E poi non c’è la Francia, a cui sono affezionata per molteplici motivi.
USA – Germania 2 – 0. USA – Germania 2 – 0. USA – Germania 2 – 0. USA – GERMANIA 2 – 0!!!
Sono una brutta perzona. Non si dovrebbe fare, non lo si dovrebbe ammettere quantomeno ma sì, sìiiiiiiiiii: ho esultato quando Cecilia Sasic ha calciato fuori il rigore. Sono una brutta perzona.
E sì: mi sono messa le mani nei capelli quando Morgan ha sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare di fronte alla Angerer.
E ancora sì: mi ha dato un gran sottile gusto da bruttissima perzona vedere perdere la Germania e vederla perdere così.
Mai stata in partita, l’allenatrice Neid mette in campo la formazione migliore lasciando fuori Marozsan che è una gran giocatrice ma copre meno della Leupolz. È una Germania accorta, sulla carta, e che punta sulle ripartenze in velocità. Peccato che gli Stati Uniti corrano il triplo delle tedesche e praticamente per tre quarti di partita non riescano a fare un tiro in porta: Rapinoe sulla sinistra non ha fatto passare nemmeno uno spillo, usciva costantemente palla al piede nei contrasti sradicando letteralmente il pallone dai piedi delle tedesche che nemmeno si accorgevano che lo avevano perso mentre Rapinoe era già dall’altra parte a impostare l’azione.
La Germania ha anche la possibilità di passare in vantaggio con il rigore fischiato alla Johnston da rosso diretto ma che se la cava con un giallo. Sasic per mio immenso giubilo la calcia fuori a Solo spiazzata. Poi viene fischiato un carpiato sulla Morgan, fuori area, ma sorvoliamo, e Carli Llyod insacca. La rete della O’hara chiude la gara e auf wiedersehen Germania.
Sono partite come queste che ti fanno capire quanto il livello del calcio femminile nel mondo tranne che in Italia, sia diventato davvero alto. Se tutte le partite di calcio femminile fossero così, ci metterebbero meno di un lustro a navigare in acque dorate tra sponsor, contratti televisivi e quei soldi investiti che non fanno affondare quello maschile. Una partita di un bello che te le ricordi negli anni.
Dominio assoluto a stelle e strisce, osservo Alex Morgan che torna titolare ma che non ha ancora il ritmo: corre, si impegna, ma non è ancora lei e si vede. Penso che adesso è bella, giovane, magra, ma se si lascia andare rischia la pappagorgia, un po’ come le nostre azdore con la differenza che le nostre sanno fare la piada in casa e sostengono l’ecosistema familiare – dio benedica le nonne – e quelle americane usano quantità industriale di sale sui cibi e riempiono il tacchino del Giorno del Ringraziamento con abbinamenti al limite della legalità.
Osservarla e pensare a queste cose fa di me una persona per l’ennesima volta molto brutta.
Giappone – Inghilterra 2 – 1: il calcio è bello un ca@@o.
Nel sole che gioca scherzosamente con le nuvole nel cielo di Edmonton, tifosi con le maglie rosse popolano gli spalti dell’omonimo stadio. Innegabile che i biglietti venduti e prenotati in anticipo sul sito della FIFA da quei canadesi che speravano di vedere Sinclair e le altre, si sono invece ritrovati ad assistere a una semifinale assolutamente inaspettata: Giappone – Inghilterra.
Che il Giappone, lemme lemme, con un golletto qua e uno là, ci arrivasse si poteva anche prevedere, in calce alla più totale meritocrazia, ma la vera sorpresa e, personalmente, favola che avrei voluto continuare a vedere, si chiama Inghilterra.
Il Giappone è una squadra ordinata, che ogni tanto accelera e risulta fatale, ciò non toglie che quando lo si guarda giocare la sensazione è quella di quei fotogrammi nei cartoni animati di quando disegnano gli ambienti interni. Avete presente quando la camera scorre e inquadra che ne so, una stanza da letto, o una cucina, con quella luce soffusa e gli oggetti nei posti giusti e totalmente ordinari e impersonali?
Ecco, questo è il Giappone.
Il Giappone ha l’essenza di quei momenti nei manga del tè versato in una tazza, del fumo che si espande, dell’immobilità dello stare seduti su quei cuscini scomodissimi e pro formiche alle gambe a quei tavolini bassissimi, degli shoji scorrevoli (i pannelli di carta e legno usati come porte), di quel minimalismo che a chi piace bene, ma a me annoia da matti. Non ho visto una sola partita nella quale il Giappone mi abbia davvero divertito, non una. Non ha un gioco spumeggiante, non ha giocatrici alla Necib – quei tocchi morbidi da bava alla bocca e numeri con il pallone che ciao -, non ha una personalità in campo, e a me quello stare così ordinato in campo urta.
Il Giappone arriva in finale così, noiosamente e quando poi ti ritrovi a vedere la favola dell’Inghilterra e le lacrime con gli spasmi della Basset, accidenti, il calcio è bello un ca@@o. E quanto piange, Basset. Dopo l’autogol, a fine partita e continua a farlo fino a che le telecamere chiudono il collegamento.
Non che l’Inghilterra sia poi una squadra che gioca benissimo. Il 4 – 3 – 3 con cui giocano credo sia una delle interpretazioni di schemi più disordinate viste in questo Mondiale eppure, dopo la sconfitta dell’esordio con la Francia le Leonesses, sempre disordinatamente, hanno iniziato a darsi una forma vincendo, alla fine, tutte le partite disputate fino a qui, sconfiggendo la Colombia che sembrava la vera outsider di questo Canada 2015, vincendo sorprendentemente contro una Norvegia non in formissima ma sempre sul pezzo e mandando in frantumi il sogno canadese. Certo, mai goleade o passeggiate, al contrario, disordinatamente quel golletto salvifico che faceva gridare la sorpresa lo hanno sempre segnato e la semifinale se la sono giocata. E l’hanno giocata talmente bene che sono riuscite a fare la partita. O meglio.
Il rigore a favore del Giappone, intanto, era fuori area; le giapponesi non hanno fisici scultorei, nonostante l’atletismo risultano sempre apparentemente gracili, per cui anche un contrasto da gioco come quello con Rafferty sembra più falloso di quello che poi è davvero, o quantomeno è una situazione da gioco molto al limite.
E purtroppo l’aspetto più negativo, alla fine, è la preparazione degli arbitri. Proprio non ci siamo, però accidenti, Johnston contro la Germania andava espulsa, ultimo uomo = rosso diretto ma no, giallo. E poi: fuorigioco a caratteri cubitali non visti, fuorigioco che non c’erano fischiati, rigori regalati e rigori negati, ammonizioni che dovevano esserci e cartellini rossi che si sono visti pochissimo, più sbagli madornali che, sì, decisioni corrette. Troppo poche per salvare o quantomeno dare un giudizio positivo alla categoria in questo mese canadese.
Rispetto a USA – Germania, Giappone – Inghilterra ha ritmi talmente bassi che sembra di guardare una gara di bocce sulla spiaggia. Nel secondo tempo, esce a testa alta però l’Inghilterra: spinge, ravviva il gioco, Houghton anche se veste il numero 5 più che uno stopper è un libero di scireana memoria e imposta l’azione, ne sceglie i tempi, è in area su ogni calcio piazzato e il rigore sacrosanto del pareggio lo fischiano a lei, e con Duggan, la numero 18 con i capelli tinti di biondo raccolti in una treccia e che quando ride ha sempre la fronte corrucciata, centra in pieno la traversa a Kaihori battuta.
Quando la partita sembra avviata verso i supplementari, ecco che nei minuti di recupero, da un traversone, Basset anticipa l’attaccante giapponese e ne esce un autogol da Gialappa’s.
Rimane l’incredulità della Basset, Houghton accasciata a chiocciola con il volto disperato nascosto, quelle giapponesi a esultare come se avessero segnato di merito, nemmeno il tempo di riprendere la partita perché non c’era più tempo ‘che era già il recupero e l’immagine di quel pallone che rimbalza dentro e poi fuori la porta e mai che quando serve gli arbitri sbaglino per regalarci la speranza di una finale diversa e storica.
Sì, perché l’Inghilterra gioca per la prima volta la semifinale, gioca per la prima volta per la finale, gioca per la prima volta la Storia.
E invece di una storia unica e avvincente, di quelle che ti fanno venire voglia di girare la pagina, sarà USA – Giappone, una storia già letta con la solita zuppa giapponese riscaldata tra le righe.
(Le foto, sembra incredibile, ma anche quelle non sfocate, sono le mie)