le canzoni anni ’80 che non sai perché quando le riascolti le sai ancora a memoria e le canti a squarciagola (e le balli pure)

A riascoltarle adesso potrebbero essere scambiate per le colonne sonore dei film dei Vanzina negli anni ’80, quando Jerry Calà, Claudio Amendola e Christian De Sica erano giovani e i ragazzi della 3a C orbitavano intorno a loro e il nome Sharon fu uno dei più usati dalle mamme per le bambine dell’epoca. Ancora oggi, le Veronica, le Chiara, le Elisa, le Claudia, le Simona e tante altre ringraziano.
A riascoltarle adesso sembra impossibile che non ci fosse Shazam che dopo due nanosecondi dall’ascolto notifica il titolo, quando invece dovevi prestare davvero orecchio perché sulla musicassetta o avevi fortuna o non riuscivi a capire quale canzone fosse fino alla fine e dovevi leggere in piccolo i titoli, a girare la custodia tra le mani fino a capirne il verso e srotolare il booklet. E che figata quando c’erano i testi e le foto del cantante.
A riascoltare adesso ti fanno venire una malinconia che ciao.
Eppure, nonostante nessuna radio nessuna le trasmetta più, nemmeno Latte e miele o Subasio, non si sa perché ma quando partono le si riascolta con quell’entusiasmo da prima volta e magicamente, come la voce di Ariel ne La sirenetta che esce dal profondo dopo aver sconfitto Ursula, le si canta a squarciagola e un’inaspettata allegria pervade ogni vaso sanguigno e il culetto si muove senza che il cervello glielo abbia ordinato.
Ci si sente come Kevin Kline quando tenta di verificare se sia gay o meno con la musicassetta dei “veri uomini”. E niente, parte la canzone e lui non si trattiene e balla.
A noi succede lo stesso.
E con questa irrefrenabile sensazione si perde il controllo di ogni barlume di senno.
Sono quelle canzoni che non si dimenticano, perché averle dimenticate significa aver dimenticato una parte di noi e dei nostri ricordi, oltre a farci sentire un po’ vecchi.
Sono quelle canzoni che non si dimenticano perché sono spensierate, riflettono quegli anni ’80 nei quali, nei nostri ricordi, hanno sempre il sole, quegli anni ’80 felici.
A pensarci non mi vengono altri aggettivi: spensierati, allegri, gioiosi, non un pensiero di quelli che oggi ci attanagliano.
E naturalmente le canzoni scelte sono quelle, come ogni articolo in questo blog, nate da un’esperienza personale e accaduta per caso. Chissà se hanno lo stesso effetto su voi altrettanto.
Dunque, eccole.

RICK ASTLEY “TAKE ME TO YOUR HEART”

Rick Astley lo ritrovo mentre scrivo l’articolo su un vecchio regalo dei miei genitori per una befana di quasi trent’anni fa. Inserisco la musicassetta nella mia radio portatile e premo il pulsante play. Nulla da fare: alla prima strofa, sto già cantando e ballando. E sembra che il tempo non sia mai passato. La sua canzone top è sicuramente “Never gonna give you up“, singolo con il quale arriva anche in vetta alle classifiche americane oltre che spopolare in Europa. Rick Astley è il mero prodotto del trio di produttori inglese Stock, Aitken & Waterman che tra la metà degli anni ’80 fino a metà ’90 hanno invaso la discografia, scrivendo e producendo canzoni di gruppi o cantanti che hanno creato dal nulla o che hanno rilanciato. Qualche nome? Le Bananarama sono una loro creazione così come la prima Kylie Minougue con quella “I should be so lucky” che ripete come ritornello almeno una settantina di volte, e poi i Dead or alive con “You spin me around”, Samantha Fox, Gloria Gaynor, Donna Summer, Blondie, persino Elton John ne è un frutto più che maturo, e addirittura Sabrina Salerno ha collaborato con loro.
Gagio (in dialetto romagnolo significa “rosso”), alto, faccia da bambarello, si vestiva in modo improbabile a guardarlo oggi, con quei cappotti enormi e quelle giacche con le spalline tipici della moda dell’epoca, aveva questa voce profonda che piaceva. Immancabile la camicia azzurrina stropicciata perché in fondo eravamo sempre negli anni ’80 e i ballerini nei video sono proprio come te li ricordi: mosse da tipo break dance, qualche acrobazia e movimenti elastici che sembrano usciti da un corso di aerobica, di quelli che facevi con i fusò e gli scaldamuscoli molto Flashdance.
Dopo appena due album, cioè le musicassette che posseggo, ritorna nel 1993 con un album dimenticabilissimo e ci riprova di nuovo nel 2002 senza lasciare traccia.

WITHNEY HOUSTON “I WANNA DANCE WITH SOMEBODY”

Quando uscì questa canzone, nel 1987, Withney Houston aveva già avuto successo in america con il primo album del 1985 che conteneva il lentazzo “All it once”. questa invece la fece diventare eterna.
Scrivere di Withney Houston è come scrivere di Madonna. Sono la Storia della musica e ne hanno cambiato radicalmente il corso. Non c’è una sola canzone della Wthney che non si conosca e sembra incredibile che non ci sia più.
E come per Madonna, sembra che la nostra generazione sia nata con un microchip nel cervello in cui i file delle canzoni di Withney e di Madonna siano inseriti tipo geneticamente; anche sforzandosi, ci riesce difficile se non impossibile ricordare un tempo in cui queste canzoni non esistevano.
Nel video è solare, le luci da propulsore atomico le fanno sembrare la pelle mulatta e l’ombretto rosa e giallo fa tanto Cindy Lauper. I capelli boccolosi che la mia mamma ha sempre adorato in realtà sono una parrucca: Withney Houston non ha mai avuto, in carriera, i capelli lunghi, se non frutto di extension o appunto parrucche.
Solo a guardarla nel video dà una gioia che ciao.
Certo, magari ricordarsi tutte tutte le parole è dura ma sicuro che gli acuti e la risatina, quelli, li azzecchiamo sempre.
c’è poco da dire sull’immensità di questa cantante: se non ci fosse stata lei, gente come giusto per dire due nomi Mariah Carrey, Beyoncè, Celine Dion, Britney Spears, Rihanna, Alicia Keys e persino Giorgia difficilmente sarebbero emerse, cioè più della metà della musica pop degli anni ’90. Quindi ricordiamola così, con il suo bel sorriso.

A-HA “TAKE ON ME”

Mia zia Silvana, sorella della mia mamma, abita negli Stati Uniti, nel New England e parla un inglese americanizzato perfetto. Quando le chiesi di tradurmi una delle canzoni degli A-ha ci riuscì in parte, asserendo che molte frasi erano sì traducibili ma prive di senso. La canzone era “Out of blue comes green”, ma questa è un’altra storia.
A riascoltare “Take on me” sembra che sia uscita ieri: è una delle canzoni simbolo degli anni ’80. Prendete qualunque classifica delle canzoni del periodo e questa ci sarà.
Il video spaccava e spacca ancora: era la prima volta che, amante dei fumetti alla tenera età di dieci anni, venivano usati proprio i fumetti per un video. La canzone è del 1984 nella sua originaria versione che non abbiamo mai ascoltato, ma in tutte le storiografie risulta essere attribuito al 1985 l’anno di nascita. La prima versione non ebbe successo, così gli A-ha la riarrangiarono e la accompagnarono al video animato a fumetti.
E fu anche per questa canzone l’eternità.
Morten Harket divenne il figo da copertina di “Cioè” e di tutte le riviste dell’epoca; le ragazzine (me compresa) incollavano con la U-hu stick la sua faccia sui diari di scuola e attaccavano i loro poster in camera (ebbi anche io il periodo delle band subissato qualche anno dopo dai poster del Milan). Lo ritrovo qualche anno dopo come notizia di gossip: una delle sue fidanzate è stata la cantante degli Aqua, quelli di “Barbie girl” per capirci.
Ebbero così tanto successo da comporre anche la colonna sonora di un film di 007.
Gli A-ha non si sono mai realmente sciolti nonostante annunci più o meno veritieri; hanno avuto fasi nelle quali portavano avanti i loro progetti solisti e fasi di ritorno nelle quali tornavano a suonare insieme. Suoneranno insieme anche nel 2015, in Brasile. e la formazione del gruppo non è mai, dico mai, cambiata.

MADONNA “LIKE A VIRGIN”

Madonna, “Like a virgin”. Devo aggiungere altro?
Ma sì, aggiungiamolo.
Insieme a Anne Wintour, la direttrice di Vogue America, ispiratrice del personaggio di Miranda ne “Il diavolo veste Prada” (cioè praticamente è lei), è una delle pochissime donne che quello che tocca lo fa diventare oro: è riuscita addirittura a entrare in classifica con un libro di racconti d’infanzia scritto per la figlia Lourdes.
Il video girato a Venezia ci ha fatto tanto sentire orgogliosi di essere italiani mentre invece era solo un modo per giocare sulle origini italiane e venderci il prodotto: perfettamente riuscito. Qualunque singolo dell’epoca, da “Material girl” a “Holiday” a “Who’s that girl” anche se cambi il comune denominatore il risultato è sempre uguale: ti scopri ad avere così tanto fiato nei polmoni per cantarla e tornare illusoriamente a un tempo nel quale sembrava fosse tutto bello. Leggenda.

CULTURE CLUB “KARMA CAMELEON”

Siccome c’era Cindy Lauper che si conciava a cazzo, secondo i canoni dell’educazione di metà anni ’80 sorprendentemente ancora rigidi e bigotti per essere nel decennio post libertà sessuale, il fatto che Boy George si truccasse e si vestisse come si vestiva, quando eravamo bimbi non ci ispirava più di tanto quelle domande che poi qualche anno dopo ci saremmo posti: pensavamo semplicemente che fosse perché nel mondo della musica uno era libero di vestirsi come voleva, perché il mondo dello spettacolo era sempre stato quel mondo appariscente di lustrini, paillettes e trucchi da drag. In fondo lo avevano già fatto David Bowie e Renato Zero, perché porsi ulteriori domande e nella nostra ingenuità infantile pensavamo fosse solo la corrente musicale tipo il glam che li faceva conciare così invece che lo specchio del loro modo di essere. Il che, a guardarla oggi, a mio parere, è fonte di totale ammirazione e di un coraggio fuori dal tempo e precursore, avanguardia pura.
Che poi, oggi, a riascoltarla, Boy George canti “i am a man” con la sua mimica gestuale leggera be’, fa un po’ sorridere, ma è una delle canzoni di quegli anni ’80 che canti e balli. Come le altre.

WHAM! “WAKE ME UP BEFORE YOU GO-GO”

Di George Michael avevo accennato della sua gayezza nell’articolo della top 5 delle canzoni di natale,
ma in questo video ci aveva fregati tutti perché sembrava un bel ragazzo dolce dalla bella voce e nemmeno i pantaloncini inguinali ci avevano smosso un briciolo di dubbio.
Nel video peraltro per una delle prime volte compaiono quelle luci che facevano diventare gli abiti chiari fosforescenti. Non so voi, ma ho ancora vivido il ricordo drammatico di quando si andava a ballare al “Cellophane” e al “Barcelona” a Rimini e sembravi un alieno se avevi anche solo un indumento bianco. Agghiacciante, ma tanto anni ’80: luci che hanno segnato le discoteche nell’epoca non d’oro, d’orissimo.

TRACY SPENCER “RUN TO ME”

Scoperta da Claudio Cecchetto, uno che di musica commerciale se ne intende, con questo suo unico singolo di successo spodestò dalle classifiche del 1986 nientedopodimenoche Madonna. Conquistatrice di copertine prestigiose come quelle di “TV sorrisi e canzoni” (adesso fa ridere ma allora lo era per davvero) c’è poco da aggiungere, a parte il video. Avrei voluto mettere quello originale, ma curiosando in rete ho trovato questa straordinaria testimonianza di un tal Roberto che la filma nientepopodimenoche in un’esibizione del 12 APRILE 2014 (!!!) nella discoteca riminese l'”Altro Mondo Studios” che insieme al “Paradiso” a Covignano erano le discoteche nelle quali andavano i miei da giovani e a mia volta nella mia, di giovinezza. Sono passati quasi trent’anni e Tracy Spencer canta ancora “Run to me”, naturalmente in playback per rimanere fedeli alle mode degli anni ’80.

NICK KAMEN “LOVING YOU IS  SWEETER THAN EVER”

Poteva mancare Nick Kamen?
Questo è il secondo singolo del 1987 che lo consacra insieme a “Each time you break my heart”, del 1986, che però non mi ha mai entusiasmato.
Questa canzone quando parte ti fa tornare in un colpo solo nel pieno di quegli anni.
Nick Kamen viene spinto da Madonna che lo nota nello spot dei jeans Levi’s quando le pubblicità della Levi’s erano innovative e talmente avanti che ognuno di noi, immancabilmente, ha vestito i 501 e ne voleva uno dai genitori, allo stesso modo di come un ragazzino oggi chiede lo smartphone o i videogiochi. Nello spot di cui sopra, il bambarello con i capelli alla Elvis i jeans se li toglie proprio in una lavanderia a gettoni che fa tanto ammerigano e rimane in boxer mentre la lavatrice gira.
Ha così tanto successo che, per la prima volta, nelle nostre imberbi menti di bimbi che sfioravano appena i dieci anni di vita, ci ha attraversato il cervello il dubbio che fama e successo potevano essere alla portata di tutti, anche se non c’era nessun evidente talento. Ma quanto era figo, talmente figo che anche vestito in quel modo ci piaceva da matti risultando persino commovente a guardarlo oggi, oggi che quel figume è rimasto solo in video come questo.
Ha retto fino al 1993 per poi ritirarsi a vita privata e dedicarsi alla pittura. Non è nemmeno difficile immaginare che si possa continuare a vivere dei fasti di quegli anni se si pensa che i diritti dell’unico singolo conosciuto di Mars Bonfire degli Steppenwolf “Born to be wild” gli fa guadagnare una roba tipo milioni e milioni di dollari all’anno: tipo una cifra esorbitante come venticinque milioni, scellino più scellino meno.

Mi fermo.
Naturalmente mancano così tante canzoni che be’, a elencarle tutte eravamo ancora qui domani e il giorno dopo ancora, se bastavano, ma è anche vero che la scelta è dovuta a quelle canzonette pop che, davvero, quando le riascolti le sai a memoria. Ed è altrettanto vero che negli anni ’80 correnti musicali come il new romantic, la new wave, eccetera eccetera hanno creato gente come i Duran Duran, gli Spandau Ballet, i Depeche Mode, i Talk Talk, i Cure, gli Smiths e ciao. Ed è sempre vero che manca anche “Girls just want to have fun” di Cindy Lauper, ma per un semplice motivo: oltre a ricordarmi l’inizio dei “Goonies” non sono mai riuscita a impararla a memoria.
Intorno al 1985 avevo dieci anni. Molte canzoni non arrivano ai miei quindici e moltissime cose cambiano in appena cinque anni.
II fumetto scritto da Hugo Pratt e disegnato da Milo Manara dal titolo “El gaucho” inizia con la scena ambientata nei primi anni del novecento: durante un giro di perlustrazione fra la popolazione indigena, una pattuglia dell’esercito argentino scopre l’esistenza di un ultracentenario tamburino inglese, Tom Browne, da molti anni perfettamente integratosi con gli indios. Browne comincia a raccontare al soldato incaricato di raccogliere questa sua testimonianza del suo arrivo in Argentina, risalente a cento anni prima, a bordo di una delle navi delle truppe britanniche, all’epoca intenzionate, col sostegno dei massoni, a prendere possesso di Buenos Aires per sostituirsi alla dominazione spagnola. Quella che dapprima poteva sembrare un’azione militare dall’esito abbastanza scontato, diventa per il sedicenne Tom un punto di non ritorno. La storia e gli accadimenti proseguono nel racconto del vecchio tamburino e alla fine il soldato che lo ascolta gli domanda: “E poi cosa è successo?” e il vecchio gli risponde versandosi un tè o presumibilmente un mate: “Cosa è successo dopo? Non ricordo perfettamente…ma…divenni vecchio”.
Ecco. Io dopo quegli ’80 scoprii i Cure, i Depeche, gli Smiths, i Talk Talk e la musica pop la persi un po’ di vista.
A mio modo, e per tutti, ci stavamo lasciando alle spalle la spensieratezza degli ottanta.
Erano iniziati i ’90.

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