5 gennaio 2015.
È tornato il sole in questi primi cinque giorni del 2015.
Verso la fine del 2014, era arrivato il freddo gelando qualunque panorama. In pianura, quel poco di neve che è scesa, attaccando, era come lo zucchero a velo che si scuote sul pandoro appena aperto, così soffice prima e così stantio il giorno dopo. Allo stesso modo, quella neve era diventato lingue di ghiaccio ai margini delle strade e poco più. La ricomparsa della stella più grande del nostro sistema solare aveva fatto il resto, facendole sciogliere lentamente.
Già cinque giorni dall’inizio del 2015.
In cinque giorni ci si fa una vacanza.
“Cinque giorni” era anche la canzone con la quale Michele Zarrillo vinse un Festival di Sanremo.
Cinque giorni per abituarsi a guardare un calendario diverso invece di soffermarsi sul dicembre 2014, per abituarsi a scrivere e digitare 2015 dopo una data, cosa che, puntualmente, come ogni inizio anno, avverrà almeno almeno solo a gennaio inoltrato.
Cinque giorni prima dell’ultimo giorno di queste lunghe vacanze, con quella Befana che stava sempre così antipatica, poretta, perché le feste se le portava via prima di lasciare gli ultimi pensierini ai bimbi.
Ricordo che la possibilità che arrivasse il carbone nella calza al posto dei dolcini non era una chimera. Chissà se lo regalano ancora, chissà se i genitori ci pensano ancora a punire i figli con del sano inutile carbone.
Cinque giorni del nuovo anno senza campionato di calcio, ma solo letture edificanti a letto la sera e un paio di film al cinema. Tran tran privo di calcio che terminerà praticamente oggi, o meglio questa sera con l’anticipo e, da domani, la solita immancabile overdose di partite.
Cinque giorni nei quali non ho toccato matita, giusto un’oretta ieri in verità ma per riorganizzare le idee.
Cinque giorni nei quali forse non è cambiato nulla o è cambiato tutto, ma sono solo io l’artefice del mio destino, perché si ha sempre l’illusione che il nuovo anno sia un qualche nuovo inizio.
Cinque giorni nei quali le decorazioni natalizie, quelle poche che c’erano, sono sparite due giorni prima del tempo, quelle decorazioni tipo l’albero di natale che se è comune farlo l’8 dicembre è altrettanto pratica comune smontarlo il 6. Messo via prima, per quel che vale.
Cinque giorni passati prima di riaprire il Mac e digitare il primo articolo del 2015.
La sera, come il sole si appresta a tramontare, cala una discreta umidità che bagna le strade.
Il cielo è sgombro di nuvole e stelle splendenti sorridono dall’alto.
Fumo la mia sigaretta e riguardo un vecchissimo regalo della Befana che mi fecero i miei genitori. Nello studio nuovo ho conservato la libreria che usavo per i fumetti e per i libri e oggi una di quelle mensole ospita le svariate musicassette che avevo.
Quel regalo era una musicassetta di Rick Astley tra qualche caramella e un paio di Kinder cereali.
Ripenso a quando bastava una musicassetta per essere felici. Era il 1988 e io, in quel gennaio, ricevevo una musicassetta in una calza a rete seduta alla luce di una lampada a forma di luna (fossi stata più precoce, a osservarla meglio, l’avrei potuta chiamare “La Morte Nera” per la sua forma e la conca nella quale si avvitava la lampadina, ma era una delle lampade del salotto, luogo ameno ai bimbi) su una moquette blu nella vecchia casa del borgo, in un salotto di cui ricordo ogni singolo angolo, dal divano color crema e i cuscini colorati alla pianta che avevamo vicino alla finestra, dalle piastrelle del balcone alla lampada a stelo vicino al mobile blu.
Cresciuta, raggiungendo gli anni 2010, sono cambiate così tante cose che le priorità sono altre, la vita ha preso una direzione che non sempre concilia coi ricordi, ma ogni tanto ripenso a quella bambina di appena 13 anni che scartava una calza, felice del suo regalo, inseriva nella sua radio rossa la musicassetta nuova e se la gustava.
Inserisco quella stessa musicassetta nella radio portatile che è con me da quasi quindici anni. È il 5 gennaio 2015. Il nastro gira con quel leggero ronzio di attesa prima che parta la prima canzone, quel leggero ronzio di macchina che si scalda e si accende. E sempre quel leggero ronzio di quando l’ultima canzone finisce e il tasto scatta, quasi che si salta dalla sedia se si è tanto concentrati. Sembra non sia mai esistita una vita nella quale questo sibilo e questa attesa erano talmente quotidiani che pensare di perderne l’abitudine era pura utopia, o forse semplicemente i cambiamenti non sono mai nell’arco di poco.
E sono qui, a 39 anni compiuti da un mesetto, con un calice di vino rosso al posto dei dolci di trent’anni fa, nello studio della casa in paese, ad ascoltare la stessa musicassetta di Rick Astley del 1988. Il ricordo di una Befana di tanto, tanto tempo fa, quando poteva accadere tutto, quando davanti c’era solo speranza e possibilità e visioni di un futuro splendente e ricco. Non è poi andata così male, guardandosi indietro.
Già cinque giorni.
Stock!
Cambio lato.
Apro lo sportellino, giro la musicassetta.
Lato B.
Play.