come i mammut

occupare-autogestire

la prima e unica volta che partecipai a un’occupazione a scuola fu tipo a 16 anni. credo. perché nel frattempo ho i capelli bianchi e, sinceramente, pensavo che le occupazioni a scuola si fossero estinte come i mammut. sbirciando tra le notizie, scopro che non è così, ma che, come vent’anni fa e come prima di noi i nostri debosciati genitori sessattontini, si svolgono ancora.
ora, dovete sapere che faccio parte di quella generazione di mezzo, quella nata tra la metà degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, quella per intenderci che con i nostri genitori a fare gli hippie e a guardare dal vivo i beatles, ci suggerivano di seguire le loro orme, quelle cioè del dopo woodstock quando loro si erano divertiti come matti e poi avevano messo su famiglia, università, lavoro bla bla bla. così dovevamo fare anche noi, a parte aver avuto i cartoni animati giapponesi e a vent’anni le spice girls invece tipo dei doors, e oggi come allora niente, è ancora così. ti dicono, laureati e poi fai il lavoro per cui hai studiato o quello che c’è ma da avere uno stipendio fisso mensile e che non sia tipo operatore ecologico che fa brutto. al massimo va bene anche quella cosa con il computer. che tradotto sarebbe tipo il visual designer.
peccato che all’alba dei quaranta e nonostante si sia studiato tanto, la metà della gente che conosco e che è cresciuta con me abbia perso il lavoro o sia in cassa integrazione in gioco a una crisi che nessuno, davvero nessuno, poteva immaginare ci saremmo ritrovati. avremmo dovuto essere nel fiore delle nostre carriere, avremmo dovuto essere realizzati e lontani dalle crisi esistenziali e adolescenziali, avremmo dovuto avere una stabilità economica che oggi è un miraggio nell’oasi che è questo paese.
quella notte, all’inizio degli anni ’90, ci ritrovammo accompagnati dai genitori o chi per conto suo con il motorino muniti di un kit imprescindibile composto da sacco a pelo, patatine e coca-cola. fu una decisione pacifica, quell’occupazione. non avevamo chissà che gran motivo per protestare, a pensarci adesso vivevamo in una bambagia che quasi oggi rimpiango. vedevamo che gli altri istituti protestavano, nelle grandi città protestavano, il liceo classico dove studiava mia sorella protestava, noi piccolo liceo peraltro privato sulla superstrada di san marino cresciuti in una ridente cittadina sul mare volevamo protestare anche noi per un motivo indefinito e del quale non avremmo accusato nessuna conseguenza. e infatti nacque così: sul ricordo di un consiglio d’istituto molto all’americana, decidemmo i rappresentanti di classe (che poi erano quelli che avevano 9 in condotta e fondamentalmente i più coraggiosi). li mandammo in segreteria dal preside, stilammo chissà quali motivazioni campate in aria e lui ce lo concesse. che poi anche i rappresentanti di classe erano assolutamente inutili perché durante quel consiglio la scuola disse solo che per rispetto verso la guerra in kuwait quelli di quarta non potevano andare in gita a parigi e scelsero vienna, della serie la guerra c’è e ci dispiace e tra le righe, cioè ciò che nessuno ammetteva: meno male che è lontana e non sta succedendo a noi. se penso che mi accompagnò mio babbo, c’è da non crederci. avete presente quando i genitori ti assecondano per le tue innocue puttanate? mamma, voglio il millennium falco della lego! e loro alzano gli occhi al cielo sconsolati così come quando tornai a casa e dissi che dormivo a scuola. fecero la stessa cosa e davvero mio babbo mi accompagnò e, come sempre, con quel suo accento romagnolo a mangiarsi le parole: staatenta!
ora, dovete anche sapere che ero brava a scuola e che chiedevo il permesso ai miei anche per uccidere una zanzara. tant’è che l’occupazione non la volevo fare perché si rimaneva indietro con il programma. poi le amichette del tempo mi convinsero, non foss’altro perché c’era il ragazzino carino che mi piaceva. naturalmente mai conquistato.
quella notte non fu per niente gloriosa, anche perché avevano pagato uno dei tre terribili bidelli che avevamo per badarci. sembrava dovessimo fare chissà quale nottata indimenticabile e invece finimmo con il giocare a carte, qualcuno addirittura studiava, altri crollarono verso le 22 e alle 23 il liceo era in un silenzio tombale.
cambiò qualcosa la nostra protesta?
ovviamente no.
oggi, quando guardo una protesta o un’occupazione ripenso sempre a quella notte.
forse eravamo noi a essere diversi, forse avevamo davvero tutto e protestare era inutile perché avevamo già capito che se si vuole qualcosa se lo si va a prendere e ce lo si conquista.
ecco perché per noi, per quelli della mia età la crisi ci sta fottendo. perché ci hanno tolto anche la possibilità di andarci a prendere le cose.
ecco perché l’occupazione, come non serviva a noi, non serve nemmeno ai giovani di oggi.
perché se noi abbiamo ancora la speranza del miraggio di cui sopra, loro non hanno nemmeno quello.
e un’altra verità che i genitori fanno fatica a insegnare, bambini di tutto il mondo, è che si può scegliere.
perché io a 39 anni mi sento libera, libera come mai e libera di scegliere, vada come vada, e voi no?

(articolo pubblicato per liberazione.it qui rieditato)

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