La luce soffusa dell’abat – jour rende emozionante il componimento della grafica delle nuove Mele.
Con I. iniziamo a mettere insieme ciò che già c’è, ciò che è già definitivo, ciò che va a collegare il nuovo al vecchio.
Vecchio nel senso di autoproduzioni di più di dieci anni fa, quando il fumettomondo attraversava una fase di cambiamento radicale: nel mezzo, quell'”Hai mai notato la forma delle mele?” di cui ancora oggi ci si ricorda.
L’edizione integrale del 2014 per Renbooks è stata esaurita in pochi mesi. In tutte le sue forme, queste mele, finiscono sempre. Il che mi fa sempre un gran piacere, da un lato, dall’altro mi fa pensare che… cose belle, comunque cose belle.
Sta tornando.
Vederlo nascere ancora mi ha dato un senso di libertà simile e diverso rispetto al primo numero del 2002.
Intanto sono cambiata io, molte di quelle paure e sogni di allora sono spariti e si sono realizzati, e poi ho maturato consapevolezze che credo siano tutte visibili in questa nuova vecchia versione.
Il titolo stesso aveva bisogno di essere aggiornato, un po’ come i restyling dei giornali, anche perché il motivo per cui Le Mele si chiamavano così era relegato a un momento di fine anni ’90 che è praticamente seppellito – nella spiaggia sulla quale quella frase “Hai mai pensato a quanta sabbia possa contenere un naso?” diventata “Hai mai notato la forma delle mele?” -, perché questo erano gli anni novanta: una ricerca di momenti, una risposta a delle domande di una generazione che, priva di grandi guerre ma a metà (tra Muro di Berlino e Torri Gemelle), iniziava a filosofeggiare, a raccontare il quotidiano, a raccontare che il ragazzino del secondo banco a destra ci faceva battere il cuore.
Le Mele erano questo.
Le nuove Mele sono questo.
Oggi, ne “Le Mele Magazine”, il numero 5, vige la tradizione e la trasformazione.
Come quella battuta di Barbra Streisand in un film con Jeff Bridges sul perché non si truccasse: “Che senso ha? Sono sempre io, ma a colori!”