Ciao Montemarciano

Ultimo giro di chiave.
Ultima volta di tante cose che erano la quotidianità.
Secondo trasloco in quattro anni.
Tra agosto e settembre ho rimesso mano alla mia vita, l’ho chiusa nei cartoni e l’ho spostata di nuovo.
Ma spostare significa trovare.
In questi casi, ritrovare: se stessi, i propri sogni, la propria infanzia, e farne un punto su chi e cosa sono diventata.
Trasloco 09.

Eccoci.
L’ultimo giro di chiave della porta della vecchia casa dalla vecchia cucina con gli sportelli azzurrognoli.
A parte i mobili che già c’erano, di mio, di nostro, non c’è più nulla.
Il palcoscenico è quello del piccolo e delizioso teatro di Monte San Vito, collina vicina a quella nella quale abitavo io.
C’era uno spettacolo sceneggiato e diretto da Frelli: la compagnia Frelli, qui da queste parti, è molto conosciuta, a Jesi è un’istituzione. Fa il classico teatro “dal basso”, per cui molto, molto bello.
Vi recitava Pondi, quando ancora ci si frequentava. Ora andiamo a teatro da per noi, io e Ila.
Eccoci.
Andiamo via.
Addio paese.
Mi hai ospitato per quattro anni.
Mi hai ridato una pace che non credevo di poter mai conoscere.
Mi hai fatto riposare, tanto, e la mia pigrizia ne ha parecchio approfittato.
Mi hai insegnato il silenzio.
Mi hai insegnato la musica della Villa nelle sere d’estate.
Mi hai regalato panorami mozzafiato delle colline marchigiane, e il mare laggiù, una linea azzurra a confondersi con il cielo. Ora il mare lo vedrò ogni giorno, “a piano terra”, e non solo dal balcone e dallo studio sul campo di ulivi.
Mi hai fatto vedere e sapere come potrebbe essere vivere da anziani nel luogo in cui si cresce.
Mi hai fatto conoscere Stefano, il tabacchino, l’ultimo montemarcianese nato a Montemarciano quando ancora c’era l’ospedale, e la sua famiglia. Bei momenti in quella tabaccheria/edicola di paese, quando fumavo.
Mi hai insegnato a vivere “da sola”, la solitudine di alcuni momenti e le camminate nella campagna per smorzarle.
La Mabel di qualche anno fa avrebbe chiuso con tutto e riaperto altro, qualunque altra cosa, che non sarei riuscita a concludere come al solito nel mio essere inconcludente, nella speranza che il cambiamento portasse davvero aria nuova, per scoprire che era solo l’odore nuovo di vernice, e basta.
Il fatto è che la Mabel di adesso sa chi è, come persona e soprattutto come autrice. Sa che quando lo studio dalla parete azzurra sarà pronto, ha una voglia matta di chiudere le matite di quella bomba di fumetto che è “Volevamo Essere Le Spice Girls”. E sa che vuole dare un senso a tante cose: alcune saranno buchi nell’acqua, altre saranno belle.
L’ultimo giro di chiave.
Luci spente, come a teatro, appena finito lo spettacolo.
Scendiamo le scale.
Salutiamo quella orribile scultura evangelica da famiglia credente che ormai vedevo solo come covo di ragni e insetti vari, ma è effettivamente una scultura in pietra probabilmente anche di un certo valore.
Usciamo dal vialetto sulla strada.
Accendiamo l’auto, e ci allontaniamo.
Andiamo via.
Andiamo via non più scendendo verso Gabella, ma in su verso il paese, per poi scendere dall’altro lato della collina verso il mare.
Non sono mai, dico mai, in quattro anni, a vedere una partita del Montemarciano intera.
Una volta ho intuito che era il derby, Marina – Montemarciano. UNA SOLA VOLTA. Persa naturalmente, ma se ne percepiva l’atmosfera tra il paese e il bar del campo.
La sto facendo troppo lunga per un trasloco. Ma è una roba grossa, per me.
Addio vecchia casa con la cucina dagli sportelli azzurrognoli.
Addio vecchio studio sul campo di ulivi.
Addio box doccia fotonico di cui abbiamo potuto godere solo due estati e l’anno nel mezzo.
Addio palazzo vecchio uguale con le tapparelle bruciate dal sole a destra; addio Lucio e il tuo pandino bianco (ti saluto anche oggi, vestito uguale a tutti gli altri giorni solo che indossi una maglia girocollo e un giubbottino e porti gli occhiali da sole: alzi la mano come abbiamo sempre fatto, io dal balcone e tu dal garage, ma dietro quegli occhiali scuri oggi il tuo saluto era un addio, l’ho sentito, e quel mezzo sorriso indecifrabile a confermarlo); addio signora con la Picasso bianca che avevi una particolare mania di lavare settimanalmente i cuscini, addio signora sola, le tue luci mi tenevano tanto compagnia quando ero sola anche io.
Addio palazzo vecchio uguale con l’intonaco bianco scrostato e le tapparelle azzurre a sinistra, addio signore con l’Ape Car verde che sbuffavi sempre al mattino nella nebbiolina delle prime ore, e addio signora anziana che pensavo guardassi nelle case degli altri e invece, incontrandoti per strada e salutandoci, ho scoperto un principio di Parkinson in te.
Addio rumori di casa, quelli a cui ci si abitua e se non ci sono ci si preoccupa.
Quattro anni. Pochi, e importanti.
E.
Addio paese.
Ciao Montemarciano.

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