“Il Giorno Più Bello” e i Campioni col Baffo della Moretti da 66

Stefano Tacconi mi guarda da dietro il cestino del pane.
È sul piano sopra il forno, fatto di quel materiale isolante che non si scalda, spazio che uso per appoggiare tutto quello che è in attesa di sistemazione, soprattutto nel mio studio, soprattutto se è l’ennesimo tentativo di collezionare qualcosa.
Gli occhiali hanno ditate procurate nell’arco della giornata. Uno sfioramento, una grattatina all’occhio, uno strofinio li rendono opachi e nemmeno i forensi avrebbero difficoltà a intercettare le impronte, così evidenti e secche, non certo parziali.
La birra, quella che mi impongo sia intorno alle 18, campeggia nel suo bicchiere proprio sul moleskine, piano approssimativo che nel mio studio si trasforma in uno dei pochi angoli stabili. Mi impongo anche di dare degli orari alla mia giornata lavorativa, che si sa, disegnando, ci si regola a proprio modo. Io zero, non c’è modo, ci provo a programmare, ma anni di esperienza ormai mi fanno capire che la migliore delle organizzazioni è: siediti a quel tavolo e disegna fino a che non ti fa male la mano. Figurarsi adesso che sto inchiostrando il fumetto nuovo.
Ho i panni da ritirare – nel frattempo più che asciutti in questo giorno di settembre che assomiglia tanto a uno estivo. Pensi a settembre e pensi ai cappotti, ai primi maglioncini la sera, alle scarpe chiuse e quando arriva ottobre sono ancora lì nell’armadio, inutilizzati, o almeno sfruttati pochissimo.
A un certo punto, nel primo pomeriggio, non ho idea perché mi sia saltata fuori questa prepotente voglia di ascoltare Cesare Cremonini, quindi sono quasi quattro ore che va in loop. Inizio ad avere mal di testa. Oddio, non certo per saturazione, al contrario, c’è una buena onda che mi stupisce conoscendomi, una di quelle vibrazioni positive che aleggiano tranquille, tra matite, chine e pensieri di tavole doppie. Così, ne devo eliminare un paio, errori grossolani, di attenzione o disattenzione – chissà cosa mi passava nel cervello quando facevo le matite e numeravo le tavole, una dietro l’altra. Avete presente quando nel film Qualcosa è cambiato c’è il personaggio di Greg Kinnear che nonostante il gesso al braccio ha questa ispirazione irrefrenabile vedendo la schiena di Helen Hunt in una posa alla Ingres sul bordo della vasca, e non riesce più a smettere? Ecco, è più o meno quello che si respira da queste parti, in questo studio disordinato, oltre, certo, l’odore delle sigarette.

Stefano Tacconi continua a guardarmi. Ora però dalla mensola di questo stesso studio disordinato. Accanto al telefono – hamburger, si staglia la collezione di bottiglie vuote della Moretti da 66 dedicata ai giocatori di calcio con i baffi – chiamata Campioni col Baffo. Ho Stefano Tacconi, Sandro Mazzola, Giuseppe Bergomi e Roberto Pruzzo, mi mancano Pietro Paolo Virdis, Franco Causio e Renato Zaccarelli. E mi sembra di essere tornata bambina a scambiarsi le figurine Panini.
È, sarà, l’ennesima collezione che non porto a termine, come gli album delle figurine dei calciatori -se non fossi stata una bambina, l’unico che terminai avrebbe meritato la sciabolata di un bel Saten Franciacorta –.
Mi sfugge quale possa essere stata la scelta dei calciatori: Zaccarelli, per esempio, è fuori dalla mia portata, ma semplicemente per un mio vuoto dovuto a non so cosa del secondo Grande Torino degli anni ’70, perché a guardare Wikipedia, Zaccerelli insieme a Eraldo Pecci, Claudio Sala e Patrizio Sala formava un centrocampo pazzesco. Erano gli anni di quel Torino di Gigi Meroni, il George Best italiano, di Pulici e Graziani, quel Grande secondo Torino lì, cioè Storia.
Eppure.
Eppure se penso ai baffi dei calciatori mi vengono in mente Giulio Nuciari, secondo portiere di qualunque squadra (di quel Milan per esempio), oppure ad Astutillo Malgioglio, anche lui secondo portiere di qualunque squadra (Inter in testa), di Giuliano Terraneo (portiere di Torino, Milan e Lecce tra le altre), Giuseppe Pellicanò (lo ricordo nel Bari in quella famosa foto in cui si fa riprendere con Giuliano Giuliani, portiere del Napoli di Maradona dopo Garella, e su cui calò il silenzio e si nascose il caso perché morì di AIDS), Zibì Boniek, il polacco più forte di sempre prima di Robert Lewandowski, per esempio.
Oggi per l’uomo portare i baffi è un gesto vouyeristico, mentre negli anni ’80 e i primi ’90 era proprio così, forse moda, o forse come ci si doveva abbigliare.
Oggi oltre ai baffi c’è la barba, tanti giocatori ce l’hanno e se ne scrivono persino simpatici articoli, anche se il più iconico è Davide Moscardelli.
Ho voglia di birra.
Ma proprio voglia di berla, prepotentemente. Scolarla a sorsate, rinfrescanti e gustose, in quelle piccole grandi gioie della quotidianità.
A New York la birra costa: 7/8 dollari di base a bicchiere. Non sono pochi, Però, c’era il Super Bowl, c’era Lady Gaga come ospite, c’era quel momento bello e rilassante del viaggio, di quando sei lontano da tutto e da tutti, da qualunque incombenza e impegno, quel momento nel quale ci si può permettere di procrastinare, e poi quel pensiero tipo: sei a New York, fregatene e goditela!
Ne “Il Giorno Più Bello” ci sono diversi riferimenti al calcio.
In un articolo su Radio Libri, Federico Vergari – l’autore del pezzo – si è accorto dei pantaloncini del Parma e la sua domanda è stata proprio sul perché; da lì, una serie di messaggi che esulavano totalmente dalle domande iniziali sul fumetto e andavano a schiantarsi nei ricordi della moda calcistica degli anni ’90.
Ci sono la maglia tarocco della Juventus, quella del Barcellona, quella dell’Empoli della stagione 2002/03, quella della nazionale degli Stati Uniti femminile dell’Olimpiade di Londra 2012, quella del PSG del 1999/2000 e poi i pantaloncini appunto, quelli del Parma targati Umbro del 1993/94 – di quando giocavano Gianfranco Zola, Faustino Asprilla, Lorenzo Minotti, Luigi Apolloni, Tomas Brolin, Alberto Di Chiara, Alessandro Melli, Nestor Sensini, Antonio Benarrivo, insomma quel Parma allenato da Nevio Scala che ancora, chi ha amato il calcio, ricorda -, e quelle del Torino del 2014/15 nell’ultima stagione di Darmian prima del passaggio al Manchester United – nelle cui mie intenzioni volevo omaggiare e mi rendo conto adesso, in questo preciso momento, che ho disegnato il numero 26 che NESSUNO indossava in quella stagione, mentre Darmian aveva il 36! -.
Ma non c’è solo il calcio: nella scena topica, il personaggio di Vanessa indossa la maglia da baseball numero 15 dei Toronto Blue Jays e, se non ci fossero i capelli ricci che nascondono il nome, si leggerebbe Colabello.
Oggi ho comprato la birra, una Peroni da 66.
La Moretti non ha più i Campioni col Baffo e la mia collezione rimarrà incompleta.
Ho scelto la Peroni così, a istinto del momento. E a pensarci adesso, le ragazze ne “Il Giorno Più Bello” mangiano taralli nella scena topica di cui sopra bevendo birra: e che caso sia la stessa ma in formato lattina.

 

 

 

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