Non è stato facile arrivare alla decisione di lasciare Biskra. Non è mai facile ammettere a se stessi che non c’è futuro nella città in cui sei nato e hai vissuto fino a quel momento e avere il coraggio di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da un’altra parte. Ma almeno una certezza c’era. L’altra parte aveva un nome e una nazione: Marsiglia, Francia.
Chissà se c’era il sole quando il signor Necib ha lasciato l’Algeria conservando le sue radici e le sue tradizioni dentro di sé e, con quel francese un po’ arrugginito, ha raggiunto la terra della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Chissà se è esattamente quello che ha respirato al primo bonjour pronunciato in quella lingua dalle erre arrotondate e che in Algeria ti insegnano a parlare anche se non vuoi, che non si sa mai… ti dicono. E chissà se ha parlato in francese con la futura signora Necib, arrivata in Francia dalla città di Oman. Forse si conoscevano già prima, forse per motivi diversi si sono dati appuntamento là, come nelle più belle storie d’amore, anche se di solito finisce sempre tragicamente e uno dei due non arriva mai. E per lei, vissuta in una città di mare sul Mediterraneo è stata più dura conservare negli occhi il suono delle onde, l’odore della sabbia, la salsedine sul volto.
Vivremo dove c’è comunque il mare, le ha detto il signor Necib corteggiandola e, chissà, riuscendo a realizzare qualche suo sogno.
Di figli ne sono arrivati tre: due femmine e il tanto sospirato maschio. La casa, al 14simo arrondissement di Marsiglia c’è e, nella nuova vita dei signori Necib, la piccola Louisa, nata nel 1987, sviluppa questo curioso interesse per una roba da maschi. È più brava del fratello, e, anzi, gioca proprio con gli amici del fratello, ma è sempre la più brava. Solo che non crede possa essere una strada per lei, quella di giocare a pallone per vivere; non crede che esistano squadre femminili e che possa diventare la migliore. Ma queste cose si sanno fin da piccoli, specie se te lo dicono da sempre. Quando scopre che esiste la squadra di calcio femminile del 14simo arrondissement, ci va a giocare subito. Quando prova a passare le selezioni per il Centre National de Formation et d’Entraînement (CNFE) di Clairefontaine, è una delle prime a cui arriva la conferma. Quando l’Olimpyque Lione sguinzaglia gli scout tra i campi delle squadre minori, come il Montpellier in cui gioca uscita dall’accademia per un unico anno, e la notano, ci mette tre nanosecondi a firmare per la squadra di D1 feminine più titolata di Francia.
E poi fa la snob. Non credevo, non pensavo, anche se mi paragonano a Zizou (la chiamano Ziza, al femminile) io rimango me stessa, bla bla bla. I genitori le hanno insegnato le origini, ma la piccola Louisa è pur sempre la figlia della Francia della loro nuova vita e deve aver assorbito quella libertà per cui sono partiti e quell’orgoglio velato nel cantare la Marsigliese. Che non canta peraltro. Perché va bene tutto, giocare a pallone, vivere di una roba da maschi, viaggiare e mostrare le gambe ed è vero che la Francia è dove sei nata e a noi ha dato una possibilità di vita, e anche a te ‘che in Algeria te lo scordavi di rincorrere una palla, ma la Marsigliese no, quella almeno no.
Ed è anche vero che Necib acquista quella puzza sotto il naso che fa tanto francese perché stupida non lo è e si iscrive anche all’università a Lione alla facoltà di Sciences et techniques des activités physiques et sportives (STAP), il che non significa nulla perché non è un pezzo di carta che attesta la sua intelligenza, ma quel tocco delicato e avvolgente, quella potenza e quel giro al pallone quando lo calcia, quella strana sensazione di pensare a dove mettere la palla e il suo piede lo fa automaticamente e sembra pilotato, quella facilità con cui con un pallone tra i piedi le sembra di esserci nata, ecco, lo sa anche lei, se ne è accorta che qualcosa di magico ce l’ha. E non le serve un pezzo di carta, ma un rettangolo verde sul quale può mostrare tutta la sua intelligenza tattica. Perché non è stupida, ma il pericolo di essere viziata dalle troppe attenzioni dandole per scontate, quello non lo ha sempre dribblato con facilità, diciamo.
Lo dimostra nel clamoroso 0 – 2 contro la Colombia, in un giorno di sole in Canada, mentre si giocano i Mondiali e lei è una delle stelle. Ma la Francia, quel 13 giugno 2015, inciampa in una squadra sottovalutata e Necib è l’emblema di quella superiorità, di quella Francia indicata come possibile finalista e di quella sconfitta fragorosa.
Qualche anno più tardi quel 1987, esattamente nel 1992, in un sobborgo di Bogotà nasce una delle figlie del signor Rodriguez. Lady, si pensa, la nostra principessa, chiamiamola Lady. E poi Patricia, giusto perché è il nome della nonna e così deve essere.
La Colombia è un paese caldo, dalla terra brulla e rossa e le città sono grandi e intorno spesso c’è la foresta. Però, sopra quei monti lassù, dove ci sono quelle casette dai tetti di eternit non ci si deve andare e allora la piccola Lady cresce e gioca con i fratelli, va al bar con il babbo che le fa vedere quel gioco bello in televisione e le racconta di quella nazionale fantastica del Mondiale del 1990, di quando lei non era ancora nata; le racconta dei numeri di Valderrama, di Higuita, di Asprilla e della tragedia di Andres Escobar e di quel numero 2 che solo Ivan Cordoba avrà il coraggio di utilizzare con la maglia dei Cafeteros; le racconta della magia di questo gioco e lei decide che sarà una delle Cafeteras, come il suo babbo le ha sempre narrato, ma al femminile. Solo che alla bambina è rimasto quel carattere un po’ così, un po’ scontroso, forse l’abitudine di giocare con i ragazzini grandi e prepotenti e di doversi fare rispettare. È la più brava, li umilia anche tra le vie di Bogotà driblandoli come birilli e forse qualche parola poco gentile, qualche spinta, qualche pugno anche se è una ragazza è volato. Però, a lei, giocare a calcio piace troppo. E allora via dalla strada e adesso si gioca in un campo vero, di quelli che vedeva da bimba con il babbo in televisione.
Ma quel carattere, accidenti, crea i suoi problemi.
Non si sa bene che cosa accada. Non si sa bene come nasca un gesto simile. Non si sa bene che cosa inneschi una reazione simile. Si sa che il mondo, una nicchia di mondo, sta guardando alla televisione una partita di calcio femminile alle Olimpiadi di Londra 2012. Il babbo Rodriguez è contento. Non ci sono più Valderrama e Higuita e non solo James e Cuadrado. Adesso in televisione c’è anche la tua Lady. Puoi vedere anche lei ed essere orgoglioso di tua figlia, puoi vederla giocare in tv con la maglia della Colombia! Ma in quella marcatura succede qualcosa. In quella marcatura spalla a spalla con la Abby Wambach, lei, la star che un giorno vuoi essere tu, crolla miseramente come una patata. L’arbitro non vede nulla, ma la prova televisiva sì. L’arbitro non vede nulla e ti fa giocare il resto della partita mentre la Wambach ha un occhio gonfio che sembra una pallina da baseball, ma la prova televisiva – e la FIFA – ti darà quattro giornate di squalifica.
Quel carattere… quel carattere!
Ma con la Francia, quel carattere, quel giorno di giugno, viene fuori solo attraverso il talento. Vincendo una sfida invisibile con Necib, che, peraltro, non è nemmeno presa in considerazione perché è Wambach – e gli Stati Uniti – l’unico vero avversario. La conosce certo, ma non le importa gran che di quella francese dal sangue algerino che ha scelto il numero 14 sulle spalle, quel numero ingombrante di un calcio lontano che chiamavano totale e mai visto se non in registrazioni dai colori sgranati e che ha segnato e fatto sognare almeno due generazioni, ma non la sua.
A Moncton splende stranamente il sole. Moncton ci ha abituato in questo Mondiale di Canada 2015 a un clima continentale, a tanto vento e a tante nuvole. Eppure brilla un bel sole in questo pomeriggio del 13 giugno.
La Francia imposta il gioco, come sempre.
La Colombia deve ancora capire la sua forza.
Poi, da un pallone caparbiamente rubato a Thiney sulla trequarti francese, parte un lancio centrale filtrante che Lady Patricia Andrade Rodriguez rincorre e calcia in un rigore in movimento che non lascia scampo a Boudhaddi, la numero 1 francese.
In quell’istante, la partita termina. La Francia va in confusione totale e se c’è una sensazione che le Bleues lasciano sempre è quella per cui quando vanno in svantaggio è difficilissimo che riescano a pareggiare e miracolosamente a ribaltare la situazione. E infatti non capita nemmeno oggi.
Al contrario, la Colombia cresce e cresce la convinzione nei propri mezzi; la Andrade fa la Necib e la Necib crolla: non c’è, non gira, non è in partita. Peggio, se non vince, abituata com’è a farlo, si innervosisce e si comporta da bambina viziata. È già il secondo tempo quando Necib si ritrova a dover rincorrere un pallone perso e le colombiane la stringono in un torello volante, sbeffeggiandola. Lei va avanti, poi indietro, e quando l’ennesimo pallonetto la supera, lei allarga le braccia apparentemente verso la Le Sommer rea di non esserle venuta in soccorso e sfoga, urlando, tutta la sua rabbia per quell’immeritata presa in giro. Lei è Louisa Necib, non può essere presa in mezzo a un torello beffardo che la riportano a essere una giocatrice terrena. È la star di questa Francia che poi perderà beccandosi un secondo gol della solita inappropriata deconcentrazione difensiva, aggravata dal punteggio impari. Ma quando le colombiane segnano ancora, lei è già fuori, in panchina, sbuffante e sostituita due minuti dopo quell’urlo arrabbiato.
Non che la Colombia sia così forte, la Francia ci prova e ci riprova, solo che la partita si trasforma nel classico incubo della porta stregata con il portiere delle Cafeteras, Sepulveda, che decide proprio quel pomeriggio di fare il fenomeno e parare qualunque cosa volante.
E da che doveva essere la Francia della Necib, il mondo, o almeno quella nicchia di mondo, torna a ricordarsi della Andrade.
Ma questa volta con il cazzotto giusto: di piede e nella porta avversaria.
(le foto sono tutte schifosamente scattate da me.)