la maglia fucsia del real madrid, la magnolia e la mimosa che stanno fiorendo e altri pensieri di un giovedì soleggiato nell’attesa dell’oroscopo di brezsny

La radio è sintonizzata sulla stessa frequenza ogni mattina.
Ci sono mattine nelle quali presto attenzione e mattine, come oggi, che sono solo voci basse che riempiono il silenzio della campagna: una lenta vibrazione oggi priva di interesse.
Ieri sera si sono giocate due partite della Champions e io ho guardato il Real Madrid, sceso in campo con una maglia fucsia che ha fatto diventare l’hashtag SchalkeReal uno dei cinque top trend del giorno su Twitter. C’è chi ha maledetto il marketing, c’è chi ha ululato che la maglia fucsia è un crimine all’umanità che come tale deve essere perseguito, c’è chi ha espresso il suo diniego con un semplicissimo ma anche no.
Bastava poco, in effetti. Lo Schalke ha la maglia blu e tutto di blu lo facevi scendere in campo così che il Real poteva usare il suo classico bianco: no, bisogna sempre complicare le cose semplici.
Oggi c’è l’Europa League. E io mi sparo due partite delle cinque. Mica per altro, sono in contemporanea tre alle 19 e due alle 21 e devo scegliere, uffa.
Questa settimana mi sono sparata già tre partite: Eibar – Elche lunedì sera posticipo della Liga spagnola, PSG – Chelsea martedì di Champions, ieri sera Schalke – Real Madrid, questa sera arrivo a cinque e manca ancora tutto il fine settimana della Serie A e gli altri campionati.
Sono consapevole di avere un serio problema.
Oltre a questo, il libro sul comodino e il nuovo numero del Guerin Sportivo con Paulo Dybala del Palermo in copertina ancora da leggere.
Certo, le matite da sistemare mi guardano torve dal mobiletto dei lavori in corso del mio studio e mi chiedono e a noi quando tocca? Mi piacerebbe usare il mio peggior sorriso consolatorio e dire loro che dopo queste righe tornerò fedelmente con la matita in mano, cosa che accadrà non fosse altro che incomplete non riesco a guardarle.

magnolia-e-mimosa

Guardo invece, nella mia sigaretta del dopo secondo caffè, la magnolia di fronte allo studio che sta fiorendo. Teneri boccioli a cono verde e rosa crescono giorno dopo giorno su rami che sembravano moncherini in questo inverno che poi così diaccio non è stato, almeno qui nelle colline marchigiane tra Senigallia e Jesi. Mimosa che sarà, tra quindici giorni, devastata dalla raccolta per l’8 marzo, il giorno della donna: me la godo adesso, prima che i suoi bei fiori gialli vengano dispersi in mazzi doverosi il cui significato, come la maggioranza delle cose, viene completamente perduto dal cannibale uso commerciale.
Ogni volta che guardo la magnolia penso al film Steel magnolias, il film del 1989 di Herbert Ross tratto da un pièce teatrale con una giovanissima Julia Roberts che muore di diabete e le immense Sally Field e Shirley Maclaine nel fotonico ruolo di Ousier. Io e la mia mamma lo abbiamo visto al cinema, nell’allora Fulgor di felliniana memoria ancora in funzione con quelle poltroncine tinche dallo schienale verde sbiadito che ti spaccavano la colonna vertebrale e ti pulsavano sul coccige per tutta la durata della proiezione. La locandina del film è un’orrorifica rappresentazione di una moda anni ’80, quella delle protagoniste patinate dai colori sparati e sorridenti, fotografate in gruppo in una geometria che nemmeno nelle madonne raffaeliane del 1500.
La mimosa nel giardino alla mia sinistra sta assumendo il suo tipico giallo, come meches che colorano sopra un verde lucente. Un metro oltre la mimosa un fico d’india, stepposo e ruvido (così diverso dalle forme gentili di alcune specie), la osserva vivere dal basso. La villetta sulla sinistra oltre la strada ha un giardino ricchissimo: pini marittimi, pini, ulivi, abeti, altre piante e fiori che non riconosco, costeggiato dalla recinzione che separa il campo di ulivi, curato sempre dalla stessa famiglia che vive nella villetta. C’è anche un orto, ma non riesco a vederlo bene dal balcone.
Il cielo non è terso, una leggera foschia sfoca i contorni all’orizzonte, rendendo le colline lontane un acquarello perfetto nelle sue sfumature. C’è questa luce tipo estiva, soporifera e immobile, in un giovedì qualunque nel quale sta per uscire l’oroscopo di brezsny che non differenzia troppo da quello di altre settimane se non per le date.
Ho già preparato la lezione del lunedì per i miei bimbi e lunedì appena passato si sono divertiti tanto a farsi i ritratti l’un l’altro. La prossima lezione iniziamo le espressioni del volto e il lunedì dopo ancora partiamo nel concepire la prima tavola di un fumetto, allenati ormai dalle letture settimanali che impongo loro e dei compitini leggeri che svolgono a casa. A., una dei bimbi, bramava di leggere il tomo di “Bone” da quando lo ha visto, molti stanno continuando con la lettura di Asterix e dei Peanuts, mentre ho inserito “E la chiamano estate” e “Le memorie dell’acqua” aspettando che in biblioteca arrivino i fondamentali “Calvin & Hobbes”.
Nel frattempo, la radio continua con il suo ronzio sottile e mentre scrivo queste righe, sto già pensando a come sistemare quelle matite, ‘che lasciarle così non se ne parla proprio. So che la poltrona che campeggia davanti al Neon di Botte, nella prospettiva che ho scelto nel disegnare il bar, deve essere più grande e poi dopo la scenografia devo inserire le comparse. È la prima volta che in una mia storia disegno il Neon, Botte e Raffo. E questa cosa ce l’avevo in testa da un vallo; forse, chissà, aspettavo la storia giusta.
Shazam mi manda la notifica del singolo della settimana, il sole sta arrivando a illuminare la mia scrivania nella sua rotazione quotidiana e sai che c’è? Un prosecchino leggero pre pranzo non ci sta nemmeno male.

 

 

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