Se per caso si ha la sconcertante idea di accendere la televisione sotto Natale, non solo dopo un rapido zapping si capisce al volo che la programmazione normale è sovente modificata e gli operatori sono in ferie dall’Immacolata, ma si verrà inondati da una marea di film a tema Natale che ci si potrebbe anche fare una cultura a riguardo. E c’è, esiste. E anche gli operatori non sempre in ferie o affatto, residuo come pensiero di un’epoca, quella tra gli ’80 e i ’90, di assoluto benessere per cui era scontato che chiunque avesse le due settimane come a scuola. Non è più così, forse non lo è mai stato.
A ogni modo, la cinematografia ne è piena, spuntano fuori come funghi i classicissimi e un validissimo motivo per rinfrescare la memoria guardandosi tutti quelli della Disney, da “Bianca&Berny” a “La spada nella roccia” a un altro intramontabile come “Robin Hood”, per non parlare di “Bambi”.
Va da se che i cartoni del Natale di quando ero adolescente erano influenzati totalmente dai riferimenti di quando erano a loro volta adolescenti i miei genitori, per cui l’avventura era sempre quella, da Mark Twain a Jack London, e i miti pure, da Robin Hood ad Artù e i cavalieri della tavola rotonda. Le principesse Disney, tanto acclamate oggi nel Natale 2018, non erano una variante sostanziale e non veniva dedicato loro la prima serata su Rai 1 o un canale a tematica su SKY. Mary Poppins era sempre lei da cinquant’anni e con il volto di Julie Andrews e tutto sommato andava bene così. E a parte qualche innesto prettamente americano quali personaggi fantastici come “Il Grinch” e la renna Rudolph che, sconosciuti da noi in Italia, sono diventati altri simboli delle feste, hanno provato a farci piacere film alternativi come “Babbo bastardo” con Billy Bob Thornton e simili. Curioso invece il caso di “Frozen”, reo dell’omicidio di massa di chi il marketing lo studia per davvero: è un film che, rispetto ai Pixar che in ogni lungometraggio inventano un nuovo algoritmo (in Nemo fu il codice acqua, in Ribelle furono i ricci dei capelli rossi, per esempio) non ha nessun nuovo innesto digitale o codice innovativo per cui gridare al capolavoro tecnico, al contrario è così basico che quasi in alcune scene si vede il pixel sotto. Curioso perché, leggenda narra, che la Disney, in ritardo e senza idee per il classicone dicembrino, abbia aperto un cassetto delle storie in disparte e abbia sparato fuori questo film chiuso in fretta e furia dalla produzione e che, contro ogni più rosea aspettativa, sia diventato uno dei suoi più grandi successi, incontrastato tuttora e che miete ancora vittime tra le bambine che sognano di essere Hannah o Elsa.
Ci sono poi quei film che hanno un sapore speciale, hanno un significato speciale, comune o meno ma che per me valgono il Natale a casa, o quello che un giorno ricorderò con più affetto. Tralascio volontariamente e consapevolmente altri classici italiani come l’intramontabile “Vacanze in America” che ha aperto il filone dei vari “Vacanze di Natale” dei Vanzina e altri diventati classici generici come “Mamma, ho perso l’aereo” e simili, anche se, nonostante tutto, sarà perché fuori è freddo, sarà perché sei abitudinario, li riguardi a prescindere, anche se li conosci a memoria.
Ecco invece la mia top five dei film del Natale che per me hanno un valore di memoria, affetto e piacere.
La vita è meravigliosa, 1946
Ormai troppo vecchio per essere passato in televisione era il film di Natale dei nostri nonni insieme a “Miracolo sulla 34a strada”.
“La vita è meravigliosa” di Frank Capra è un film indubbiamente lungo e di certo con poco ritmo per ciò a cui oggi si è abituati, ma è uno dei più belli di sempre. Uno di quelli che ti fanno piangere come un bimbo di cinque anni ogni volta che lo guardi, è intriso di un buonismo che ti fa fare pace con il mondo, o quantomeno ti fa ancora credere nella speranza e nella bontà d’animo umana. Ancora oggi mi sorprendo quando qualcuno mi dice che non lo ha visto, perché le cose belle vanno conosciute.
La storia racconta la vita, una parte di essa, di George Bailey interpretato da James Stewart. George abita in un piccola cittadina rurale dove si conoscono tutti e, rinunciando ai suoi sogni e alle sue aspirazioni, è costretto a portare avanti l’attività del padre venuto a mancare prematuramente combattendo sul lavoro con l’avido, cinico, cattivo vero e ricco Signor Potter; varie vicissitudini e sfide varie di chi è troppo buono, lo portano a tentare il suicidio la notte di Natale complice l’ennesimo guaio combinato dallo smemorato zio Billy. Un angelo di nome Clarence, mandato dal cielo, gli farà capire quanto, in realtà, sia fortunato. Film straordinario. Ho i brividi anche solo a scriverne. Scene madri e battute passate alla storia come quella che dice Clarence: “Strano, vero? La vita di un uomo è legata a tante altre vite. E quando quest’uomo non esiste, lascia un vuoto” oppure quella che “Quando suona una campana vuol dire che un angelo ha messo le ali”. Io ci ho sempre pensato, a questa cosa del non esistere e di come sarebbe stata la vita degli altri se non mi avessero mai incontrata e se io non esistendo non avessi conosciuto chi poi ho incontrato e che ha camminato per un po’ con me in questa vita. E mi fa sempre un certo che.
Il film fu girato in California e in alcuni momenti delle riprese faceva così caldo che una volta le hanno dovute sospendere per la disatrazione di attori e addetti.
Lo so a memoria e lo guardo principalmente quando ho i miei momenti nei quali vedo il mondo tutto nero.
La scena nella quale George capisce di essere vivo e di essere tornato dopo aver visto come sarebbe stata la vita delle persone che ama senza di lui, ti fa venire una felicità che davvero illude che la vita sia preziosa e costi quel che costi, difficoltà e gioie, siamo vivi e siamo amati, e questa è l’unica cosa che conta, e qualunque cosa sia il resto si rimedia.
Il piccolo Lord, 1980.
Quando nel 2012 io e mio babbo, appassionati sfegatati de “Il piccolo Lord”, abbiamo capito che Rete4 non lo avrebbe trasmesso perché sostituito da un remake tedesco, ci è sembrato un Natale vuoto. Mancava qualcosa. Eravamo così indispettiti che volevamo scrivere un esposto a Mediaset, insultandoli a male parole per come ci avessero rovinato il Natale e chiedendo una spiegazione per quell’incresciosa perdita. La nostra visione annuale della zazzera bionda ci veniva ingiustamente a mancare senza un motivo valido e, ricordo, che trovai un modo pur di non saltare il nostro film. Non fu la stessa cosa naturalmente, ma lo vedemmo comunque.
Sì, è vero: il bambinetto (quel Ricky Schroder che faceva “Il mio amico Ricky” che trasmetteva Italia1) ha quella voce impastata e snervante che avevano tutti i bambini doppiati dell’epoca e il suo taglio giusto Tim Burton nel remake di Willy Wonka poteva riesumarlo dopo averlo visto in Fantaghirò, per non parlare di lui, il Conte (Sir Alec Guinness), Obi Uan Kenobi in persona che dopo “Star Wars” non riesci a vedere più in nessun ruolo e ti aspetti che tiri fuori la spada laser anche ne “Il piccolo Lord”, ma non avviene e te lo gusti uguale. La storia racconta di Ceddie che….dai va là, questo lo dovete conoscere, altrimenti non avete avuto un’infanzia.
Spostato nella programmazione, drammaticamente, a Pasqua, io e mio padre continuiamo a non essere d’accordo con questo scellerato e inutile cambio.
Festa in casa Muppets, 1992.
A Santarcangelo del Fumetto nel giugno del 2018 stavo disegnando le mie figurine presentando Le Mie Magazine n.5: a un certo punto, tra un Messi e un Cristiano Ronaldo schizzo Kermit e un bambino avvicinandosi urla al padre qualcosa come Babbo vieni a vedere, c’è Kermit!. Il padre si avvicina e mi spiega che al figlio, un bambino di non più di 7 anni, ha trasmesso la passione per i Muppets e che lui, il bambino, li conosce tutti.
Come tutti i bambini nati negli anni ’70, è impossibile non essere cresciuti con i Muppets. Io li adoravo. Naturalmente avevo il mio preferito, ma ricordo che quei pomeriggi nei quali li trasmettevano me li gustavo proprio. Quando poi iniziarono a fare i film dei Muppets, be’, ci fu un’ovazione. Credo di averli visti tutti, ma questo qui, “Festa in casa Muppets” è uno dei pochi che continuano a trasmettere in tv e continuo a guardarlo con l’emozione e la bocca aperta come non fosse passato un giorno dai miei cinque anni. La storia è la versione Muppets del racconto di Charles Dickens, quel “Canto di Natale” che con il fantasma del passato, del presente e del futuro fanno visita all’avido Ebenezer Scroodge e gli ricordano chi è stato, gli fanno vedere chi è diventato e che gli mostrano chi sarà e come verrà ricordato. Chi subisce le sue ingiustizie è il suo dipendente buono Cob Cratchic, naturalmente interpretato da Kermit, al quale, dopo le visite dei fantasmi, sarà riconosciuta la sua importanza e, insomma, tutti vissero felici e contenti. Michael Caine interpreta Scroodge e il film tra canzoni e canzoncine è tipico dei Muppets: una garanzia.
Ma la mia scena preferita è questa, il bacino di Rizzo a Gonzo dopo che per tutto il film gonzo chiede a Rizzo se avesse delle caramelle. Non chiedetemi perché.
Nightmare before Christmas, 1993.
Fu il film rivelazione (tra gli altri) di Tim Burton. Che Tim Burton ci avesse abituato a un suo mondo immaginario e fantastico definito poi “burtoniano” coniando un nuovo termine di definizione e composto da mostri dotati di un’umanità che a volte nemmeno gli umani stessi, ormai era assodato. Ma che potesse stupirci ancora, questo va oltre persino al “burtoniano” e proclama Tim Burton semplicemente un genio.
Tim Burton si inventa la storia di Jack Skeletron, il re della festa di Halloween, che annoiato dai festeggiamenti sempre uguali, prova per la prima volta in vita sua una mancanza di ispirazione e, scoperta la porta della festa del Natale, durante una passeggiata in un bosco, ne rimane così affascinato da volersi sostituire a Babbo Natale. Disavventure varie, porteranno Jack a superare la sua crisi esistenziale, a capirne il senso e ad accettare ciò che è, galvanizzato a ritornare il Re di Halloween e a spaventare gli abitanti del suo mondo dopo che Babbo Natale rimette a posto i guai da lui combinati. Sally, la bambola di pezza innamorata da sempre di Jack e il cane Zero (che a modo suo tenta di sostituirsi a Rudolph, la renna dal naso luminoso, personaggio classicissimo per gli americani) sono alcuni tra gli amici di Jack nati dalla creatività di Burton.
In diversi personaggi ricorda molto il “Beetlejuice” degli esordi e ritrovarli anche qui significa che c’è una continuità nelle sue storie che imprescindibilmente sono legate le une alle altre.
Il film è girato in stop-motion con gli animatori che muovevano ogni singolo gesto dei pupazzi di fotogramma in fotogramma ed è alternato da canzoni che nel doppiaggio italiano sono state affidate a Renato Zero, rendendole delle hit anche in Italia.
Assoluto capolavoro dell’animazione, è diventato nel tempo un cult.
Una poltrona per due, 1983.
E poi, sì, lui: “Una poltrona per due”.
Nonostante in America sia uscito nel giugno del 1983, le televisioni italiane programmandolo espressamente solo a Natale, lo hanno trasformato nel film natalizio per eccellenza, anche se di fatto non lo è e non era nemmeno nelle intenzioni che lo diventasse. Era uscito anche un articolo che elencava una lista di film che, per una serie di varianti, erano diventati dei classici del periodo senza che fossero pensati per questo, ma non trovo il link.
Altro film imperdibile delle feste per me e per mio babbo, almeno questo hanno la decenza di non toglierlo mai dal palinsesto inserendolo di solito la sera del 24 dicembre su Italia1.
John Landis è uno di quei registi che, per alcuni di noi, è uno dei più grandi: le sue commedie, i suoi personaggi e, soprattutto, i suoi attori, hanno creato un sottogenere nel cinema che ha segnato la cinematografia stessa negli anni ’80. E se John Belushi, Dan Aykroyd ed Eddie Murphy erano tra i suoi attori feticcio, la regia di film come “Animal house”, “The Blues Brothers” e “Un lupo mannaro americano a Londra” lo proiettano direttamente nell’olimpo.
Impossibile che non l’abbiate mai visto e dai, è impossibile che non ne conosciate la trama.
Bello come pochi e imperdibile ogni Natale.
Sono film che si possono vedere solo a Natale perché durante l’anno penso che chiunque sceglierebbe di guardare tutt’altro. Non foss’altro per quella illusione di magia che nei dicembre freddi e nebbiosi, tra una portata e l’altra a tavola, si sta al caldo in casa e in famiglia, qualunque essa sia, per stare insieme come non si fa mai. E se è una specie di tortura da piccoli, poi diventa importante.
Buona visione!