Sono cresciuta amando il calcio in un’epoca nella quale i pantaloncini erano striminziti, le auto erano squadrate come la duna e i numeri sulle maglie delle squadre erano all’1 all’11.
Il numero 9 veniva sostituito dal 16 normalmente e gli scarpini colorati non erano nemmeno nell’anticamera del cervello, tanto che quando Marco Simone in una partita di Coppa Campioni (non si chiamava ancora Champions League) entrò in campo con un paio di scarpini bianchi suscitò non poca curiosità. Erano un paio di scarpini con la linguetta lunga, della Valsport, marca a cui Simone faceva da testimonial, quelle che di solito legavi con i lacci avvolgendoli intorno alla pianta del piede, tra i tacchetti anteriori e quelli posteriori.
Sono cresciuta amando il calcio in un’epoca nella quale vedevi giocare Maradona e volevi fortemente il numero 10 sulle spalle.
Intere generazioni hanno costruito il mito del calcio sul numero 10; perché era il sogno.
Impari a giocare a pallone perché i “numeri” sono quelli che vuoi fare, ti allenavi nel parchetto vicino casa provando e riprovando a fare le rabone o le lambreta o i sombreri delicati o i doppi passi, tocchi leggeri e spettacolari.
Lionel Messi è l’apoteosi di questo genere di calcio.
Un calcio che è cambiato tantissimo da quello che conoscevo io e che oggi sembra davvero quello della Playstation.
Messi sembra davvero un prodotto di questo nuovo calcio e ad analizzare la sua presenza su questa terra quello che in realtà piace del suo gioco e dei suoi “numeri” è il suo aver riportato quella fantasia in un calcio che di fantasioso oggi ha poco.
Scava nel profondo, quando il fantasista e, appunto, numero 10, aveva un significato preciso nel gioco: ci riporta all’infanzia, ci fa intravedere che la fantasia non è stata del tutto persa.
Ecco cosa piace di messi.
Inutile approfondire la rivalità che i giornalisti hanno creato tra Maradona e Messi.
Con un termine molto poco elegante, hanno, semplicemente, rotto il cazzo.
Non c’è storia. proprio perché questa Storia è diversa.
Ho sempre sostenuto che la Storia DEVE essere conosciuta: se conosci le origini, dunque il passato, puoi affrontare il futuro e ciò che questo comporta in tutte le sue innovazioni – oltre a fornire una libertà d’erudizione tale che permette di non gridare al genio il primo venuto, ma al contrario a vagliare bene ciò che davvero è genio da un comune affabulatore -.
Oggi il calcio è diverso: van Basten sarebbe più in infermeria che in campo con quella cartilagine debole e quelle caviglie cristalline e Maradona probabilmente sarebbe marcato fisso da dieci Buchwald in ogni partita e del suo genio se ne vedrebbe centellinato.
Sono cresciuta in un’epoca nel quale il calcio era sublime: di valori, di etica, di riconoscenza verso una maglia e una società e una città che ti facevano dei.
Messi come Maradona ha questa riconoscenza.
Anche se a me non è mai particolarmente piaciuto, Messi.
Sono cresciuta in un’epoca nella quale tutti volevano giocare da numero 10, io ho sempre preferito la fascia (e mi mettevano a sinistra perché sono mancina di piede oppure a destra quando mancava qualcuno e mancava sempre qualcuno) fortunatamente, e quel ruolo rientrava molto nel mio “essere”, in quella solitudine del faticatore che macina e macina gioco e non gli viene mai riconosciuto, un po’ come il mediano o il libero, altri ruoli che oggi sono ancora, giustamente, mitologici; un’epoca nella quale nessuno voleva stare in porta o fare il difensore.
Ricordo che in spiaggia invece c’era un ragazzino che amava stare in porta e leggeva Diabolik; amava quel ruolo e quando lo vedevi volare in pose plastiche te lo diceva anche di quanta fantasia avesse in realtà quel ruolo: parare di piede o con la mano di richiamo o provare a parare un rigore che è l’equivalente per un attaccante del fare gol.
Lo dovevate vedere questo ragazzino biondino con gli occhi azzurri che volava senza paura di cadere su quella spiaggia nei miei ricordi dorata, dietro le cabine del bagno 16 a Rimini.
Sono cresciuta incrociando queste vite e Messi fa parte di una vita diversa, lontanissima da tutto questo, ma con quell’unica particolarità di riportarla alla memoria quando fa una delle sue magie.
Un Messi persino raccontato nelle teorie di Roberto Saviano che lo paragona a un calabrone e che fa robe fantastiche sfidando leggi che la natura non gli permetterebbe.
I grandi giocatori riescono a scatenare anche questa poesia.
Ecco perché sono grandi giocatori.
In questo 2014 sono dieci anni che quel ragazzino che non riusciva a crescere è “cresciuto” talmente tanto che viene paragonato a uno come Maradona.
E poco importa che il suo estro stia scemando, ci sta in una carriera nella quale non ha fatto altro che regalare genialità e, semplicemente, poco di più.
E oggi è tantissimo.
Dieci anni di Messi.
Dieci anni di un giocatore che, se non ci fosse stato, avrebbe reso il calcio ancora più vuoto e noioso.
Dieci anni che sono iniziati così.
L’illustrazione d’esordio del post è di cristiano siqueira.
Quella più sotto del grande Franco Bruna.