Tipo che piove, appunto.
Parlare del tempo è considerato dai più un riempitivo in una conversazione nella quale non si ha molto da dire.
Per molteplici motivi peraltro.
Vuoi perché l’interlocutore è un conoscente, vuoi perché non frega di argomentare, vuoi perché in alcuni momenti non si ha DAVVERO nulla da dire.
E puntualmente, si incontra qualcuno che non si ha voglia di vedere e che chiede come si sta e che, siccome sta brutto, per educazione, apre bocca e dice cose a caso. tipo come: visto che tempaccio?
Eppure, riuscire a trovare interessante un post sul tempo rende l’operazione affascinante per risollevare un argomento tanto bistrattato.
Quante volte ha piovuto da che siamo nati?
Quante piogge ci hanno sorpreso mentre ci trovavamo a fare una passeggiata o in spiaggia o in bicicletta?
Quante volte siamo partiti sbavando nell’attesa di quell’unico viaggio all’anno che ci si poteva permettere, al mare, su spiagge caraibiche e lontanissime da casa e poi ha piovuto per tutti i giorni passati lì?
Quante volte?
Quante ancora?
Certo è che quei temporaloni estivi che passavano con uno schiocco di dita non esistono più, quelli belli, quelli che scrosciava e ci si innamorava delle nuvole a forma di qualunque cosa e quel cielo che faceva tanto estate.
Certo è che con le stagioni impazzite, ormai la pioggia è un comune denominatore.
E certo, è che se lo fa per metà estate infastidisce come la Germania campione del mondo.
E via di sondaggi e statistiche. E le trasmissioni sui meteo diventano le più seguite.
Poi che sbaglino previsione, be’, si poteva prevedere il 7 – 1 della Germania sul Brasile?
Spezzo una lancia per quei poveri metereologi. Non serve una laurea per capire che se prevedono tipo due o tre giorni di piogge sparse, ci può stare una mezza giornata nuvolosa dal cielo nero senza nemmeno una goccia o addirittura una di sole con le nuvole che rimangono là all’orizzonte. non è una scienza perfetta. Chiaro che quando toppano in pieno perché si sbilanciano in previsioni da adesso all’anno prossimo, be’, io la peso come quando all’inizio del campionato azzardano che una squadra o l’altra sono quelle da battere e poi non vincono niente.
Per un motivo ben preciso: le cose bisogna viverle. Come le partite vanno giocate.
Così, a modo suo, la pioggia (quando è solo pioggia e non trombe d’aria, uragani e sa la madonna quali altri eventi metereologici che portano via qualunque cosa) non è da disprezzare.
Quanti poeti o scrittori ne hanno narrato la poesia accostandola simbolicamente ai profondi meandri dell’animo umano?
Naturalmente la penso come voi: frega di ‘sti artisti che non hanno una cippa da fare e si possono concedere il lusso di scrivere della pioggia perché non sanno di cos’altro scrivere e io sono in mezzo alla rotonda imbottigliata perché il traffico è andato in tilt. Tipo.
Verissimo, ma è anche altrettanto vero che se non l’avessero fatto, non avremmo avuto il romanticismo. E onestamente io ne avrei risentito molto.
Ricordo quando giocavo a pallone e della pioggia che ho preso.
Mi riporta a Holly&Benji che in una puntata (mi sembra nella partita contro la Shimada) la pioggia era quell’elemento innovativo nella sceneggiatura e la New Team era preoccupata mentre la Shimada no perché erano abituati a giocare in condizioni ben peggiori.
E perché penso sempre alla pasqua e al Paganello (il campionato mondiale di freesbee che si svolge a Rimini) che ne abbia fatta una non bagnata.
E perché è nel ripararsi nel bar della spiaggia dalla pioggia di settembre che Jerry Calà scarica Marina Suma in “Sapore di mare” condannandoli a una vita triste e vuota.
E sempre sotto la pioggia che Ben Affleck dichiara i suoi sentimenti a Joey Lauren Adams in “In cerca di Amy” (cioè IL FILM per eccellenza dei disegnatori di fumetti) di Kevin Smith.
E perché c’è il temporale su New York mentre Cary Grant aspetta Deborah Kerr all’ultimo piano dell’Empire State Building (che non arriverà mai) perché, per il loro primo appuntamento del resto della loro vita insieme dopo aver riorganizzato le loro esistenze, lei guardava in alto (“È il posto più vicino al cielo”, dirà) e non vede l’auto che la mette su una sedia a rotelle in “Un amore splendido” nella versione del 1957.
È sotto la pioggia che Tim Robbins, nudo dopo la fuga dalla sua prigionia ingiusta per un omicidio non commesso, apre le braccia e il volto rivolto al cielo, respirando la libertà riconquistata ne “Le ali della libertà” tratto dal racconto di Stephen King ed è sotto la pioggia che Evie (Natalie Portman nel film da cui è tratta la scena), rasata a zero, non ha più paura perché “dio è nella pioggia” (questa dal film, nel fumetto V chiede a Evie se sente il freddo e lei risponde un “No” pieno di altri significati) in quel capolavoro di fumetto che è “V per vendetta” di Alan Moore e David Lloyd.
E poi perché “speriamo che piova” lo cantava anche Fabio Concato in una sua (tra le tante) bellissima canzone.
E perché si ha sempre un ricordo con la pioggia.
E perché c’è un momento che è indelebile nella mia memoria.
Quando ho capito che (ripeto, nei limiti di una pioggia umana e non torrenziale): non importa se mi prendo qualche goccia.
Stavo facendo il Cammino di Santiago. Avevo dei piedi che persino alla Cruz Roja per i pellegrini, visitandoli, avevano storto il naso. E camminavo. Ci camminavo sopra. E poi avevo talmente tanto male che era un po’ l’espiazione del dolore nella mia vita. Poi non l’ho sentito più.
Aveva iniziato a piovere da tipo 10 chilometri prima e io ero in questo sentiero sterrato in mezzo ai boschi della Galizia e, da fighetta, mi ero tirata sulla testa il cappuccio del giubbottino. A un certo punto, l’ennesima lieve goccia sul volto, e due, e tre, e…e poi l’ho abbassato. Che l’acqua mi lavasse dai peccati che avevo commesso, se ne avevo commessi; che l’acqua mi ripulisse. Ho sentito la vita come non mai in quel momento e quella pioggia me la sono goduta, me la sono goduta come mai prima d’allora.
A tutt’oggi, è quando ascolto le gocce di pioggia che mi sento viva. Alle volte, continuando a camminarci sotto.
Come la prima doccia dopo l’incidente in vespa.
Mi sono goduta quelle gocce sopra la pelle tumefatta dalle ferite e dai lividi come mai e la sensazione del poterle ancora sentire perché ero ancora viva, non la dimenticherò mai.
Sono queste sensazioni che rimangono.
Poi ci sono i ricordi che si raccontano facendoli passare come leggendari.
Tipo: quella volta che al mare si è fatto il bagno con la pioggia e che passa figo come il bagno di notte.
Poi la pioggia la si odia, ma che bello è camminare sulla sabbia scura puntellata di gocce e scoprirne sotto, quando la sposti, che è asciutta e si è i primi ad avere un paesaggio spettacolare tutto per sè?
Poi nell’agricoltura (che è cioè che fondamentalmente mangiamo ed è importantissima) qualche goccia in più rende più buoni i prodotti.
La pioggia tanto bistrattata che si ama quando arriva dopo giorni di caldo soffocante e regala panorami che intasano Instagram.
E la pioggia che quando smette, dietro ai nuvoloni neri che si allontanano e spunta un cielo così terso e così bello da mozzare il fiato e qualche raggio di sole filtra, si ha la sensazione di rinascita. quella che dà la carica per ripartire.
E allora, tanto vale aspettare, un po’ come nella vita, a volte, con la frase delle frasi dei luoghi comuni e che la si usa per qualunque situazione difficile della vita stessa: tanto poi dopo la pioggia torna il sole.