Nei miei ricordi Emiliano Mondonico è stato – e sarà per sempre – l’allenatore di Atalanta e Torino.
Dicono sia la vita.
Lo è. Ma accettare che non finisca è durissima. L’uomo ha questa predisposizione ad abituarsi a “stare”. Quando viene fuori l’ernia, il busto ha spesso una torsione e si abitua a stare storto pur di non sentire dolore nella sua originaria posizione sana. Ecco, l’uomo fa la stessa cosa: si storce perché si abitua a stare storto.
Difficilmente scrivo i classici R.I.P. con l’emoji delle mani giunte.
Ma sta succedendo questo: molte figure di quando ero ragazzina, iniziano a venire meno.
Emiliano Mondonico me lo ricordo in tuta, quella dell’Atalanta (e sì, poi del Torino), uomo di calcio da campo, con il suo sorriso e naso aguzzo sotto baffetti prima neri poi bianchi.
E come giocavano bene le sue squadre.
Era il “mio” periodo full immersion nel calcio, sapevo tutto, guardavo tutto, scoprivo tutto: da metà ’80 ai 2000 io e il calcio cosa unica.
Poi sono cresciuta.
Oggi sono donna, uffa. Bello e brutto insieme.
Ma il Mondo me lo sono rivista in televisione, il Mondo poi ha smesso di allenare e bazzicava la Rai, le ospitate, le sue opinioni, le battute.
Dava sempre l’idea di quello che, dimostrato ciò che eventualmente doveva dimostrare, ce ne fosse mai stato bisogno poi, lo avresti trovato in trattoria, con le gote rosse, un bicchiere di quelli robusti tra le mani, pieno di rosso, a biascicare di calcio, di tattica, di fango e ginocchia sbucciate.
Del Mondo e col Mondo io personalmente ero contenta del suo Torino, della Coppa Uefa (alzammo tutti la sedia con lui per quel fallo da rigore non concesso a Cravero contro l’Ajax), era la classica favola, come quella del Vicenza di Guidolin tipo, quelle favole lì.
E sì, iniziano a perdersi i personaggi della mia infanzia.
E un po’ mi dispiace.
Sì, del Mondo mi dispiace.