Alla fine A. è rimasto fino alle 19

Cinque giorni in Svizzera in agosto.
Cinque ricordi. Più uno.
Questo è il quarto.
Diario svizzero 04.

Alla fine A. è rimasto fino alle 19.
Lo abbiamo accompagnato a piedi, io e Ila, e T., il suo migliore amico, perché doveva prendere un gioco: quegli scambi fraterni di proprietà preziose che poi quando cresci, a ricordarle, fanno sorridere.
Alla fine era una passeggiata lungo la strada che unisce Castel San Pietro a Gorla, e poi più in giù alle altre frazioni, e si aprivano scorci montani boscosi e verdi, quel verde albero che ha un numero di codice della Lukas, la marca dei miei acquarelli, e che mi diverte tanto usare.
Ci stava.
La madre di A. aveva portato il bambino dopo pranzo. È stato delicato: T. era stato via per altre vacanze e quando è tornato, i genitori di A. si sono premurati che A. vedesse almeno un pomeriggio il suo migliore amico, così questo bambino biondissimo è comparso con la madre altrettanto biondissima alla porta della casa di T.
Non ho mai giocato così tanto con i giochi in scatola, divertendomi e scoprendo giochi che non esistevano quando ero bambina io, come non facevo da tempo.
Sono sempre stata una bambina asociale: giocavo a pallone e poi mi perdevo nei libri e nelle costruzioni lego, nei miei mondi interni ed esterni che vedevo nella mia testa e proiettavo su mattoncini rossi non ancora montati su quelli gialli e con quelli blu da intermezzare.
La casa di A. rimane in una stradina che nella mia testa, abituata all’orizzontale panorama del mare, doveva finire in un dirupo: invece una stradina privata di villette da set cinematografico (è come George Lukas che Tatooine è finito in Tunisia, allo stesso modo Norman Jewison poteva venire qui per “Rollerball”) ci si è aperta davanti dopo un bivio.
La sua era a forma di “7” uno sopra l’altro e rivestita di una struttura di quadrati, dai più grandi ai più piccoli, risultando in un effetto di luce e geometria molto bello ma anche molto strano, strano nella misura in cui abituati ai borghi medievali vedere tanta innovazione crea un corto circuito: sotto le Alpi poi a maggior ragione. A fianco, il vicino, in un modo altrettanto futuristico, ha costruito in cemento bianco e sabbia, la stessa sabbia con cui molte case italiche crollano appena si muove la terra, ma nel suo caso un vezzo da puro esteta. Confesso che ho sorriso un po’ amaramente, per la libertà forse, per considerare la sabbia come uno stilista che per la nuova collezione ripropone la lana con l’uncinetto. Poco oltre, addirittura il secondo piano in rame ossidato.
In tutto questo, io giocavo con i bambini a pallone e naturalmente tentando il mio famosissimo sinistro a giro, il giro il pallone non lo ha fatto ed è finito nel giardino della villa del cemento e della sabbia.
Abbiamo lasciato A. e i genitori, e con T. verso la sua casa io mi guardavo in giro: guardavo gli orti a terrazza che ho visto per la prima volta in Liguria nella mia vita (ma poi magari sono nati da altre parti), guardavo i simboli della viabilità, guardavo i prati, guardavo laggiù Chiasso, guardavo quelle montagne che rivedrò chissà quando.

(Foto scattata tra Castel San Pietro e Gorla, in Ticino nella Svizzera di lingua italiana)

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