franco bruna ha unito uno stile realistico alla canonica idea di caricatura, creando un suo vero e proprio segno e marchio di fabbrica.
esistono quei disegnatori che hanno il dono di avere un preciso segno distintivo: tipo il modo di disegnare le mani, o i nasi, o dettagli che ai più sfuggono, o linee caratteristiche che fanno dire appena si vede un loro disegno “questo è franco bruna!”.
franco bruna aveva questa capacità.
franco bruna non è mai stato uno di quei disegnatori costantemente sulla cresta dell’onda e osannato come altri della sua generazione, è sempre stato più un’ala destra nella sua solitudine di faticatore che non un numero 10. ma a modo suo era molto di più del numero 10. che io ricordi, in vita, è sempre stato considerato una delle tante firme di questo meraviglioso lavoro che è disegnare, e solo nella morte ha avuto una discreta risonanza. immagino dovuto più ai tempi interattivi diversi che non a reale interesse. anche perché in pochi sapevano chi era.
torinese, classe 1935, ci lascia in questo 2014. nel suo tratto fine a china che intrecciava con il pennino, colorava con un acquarello pulito, privo di sbavature, semplice e tenue. come le sue illustrazioni, illustrazioni rispettose nei confronti del personaggio, mai irriverenti anche in quelle che facilmente avrebbero potuto esserlo. erano caricature eleganti e gentili, quelle con le quali franco bruna ha raccontato quasi settant’anni di storia italiana attraverso proprio questi personaggi che hanno caratterizzato l’italia stessa.
arrivo a un’età nella quale i miei miti di gioventù o sono tutti vecchissimi o sono addirittura già morti e franco bruna, insieme a gianni de luca, è un altro pezzettino della mia infanzia che se ne va. come quando marco vanbasten
ha appeso gli scarpini da calcio al chiodo. inizia a diventare difficile quando tutti i punti di riferimento, quelli che ti stimolavano a disegnare ancora meglio, spariscono uno dopo l’altro e arriva sempre più vicina la consapevolezza che ciò che c’è oggi sotto certi aspetti è molto interessante ma non ha, dentro di te, quella spinta e quella forza, quello stimolo vitale, che questi disegnatori invece scatenavano. forse giusto cyril pedrosa oggi fa ardere in me quell’antico fuoco che ti fa svegliare ogni mattina e guardare il foglio bianco e perdercisi, e anche lui è uno della mia generazione, nato in quei ’70 che più o meno ha vissuto le stesse cose che ho vissuto io.
franco bruna disegnava in un’epoca nella quale i quotidiani di carta erano letti e la gente li comprava in massa la mattina nelle edicole, in un’epoca nella quale esistevano riviste tipo “il corriere dei piccoli”, in un’epoca nella quale qualunque cosa accadesse, dallo sport alla politica, ogni articolo era accompagnato da un’illustrazione. e quando sfogliavo i giornali e vedevo una delle sue caricature (fu un collaboratore assiduo de “la stampa”), ammetto che mi soffermavo sempre a leggere, anche se la notizia non mi interessava particolarmente, perché la forza di quel disegno era ammaliante e dava veramente un gusto diverso alla lettura. è psicologicamente provato che nel momento in cui qualcosa di bello (o che per te lo è) sfiora la tua percezione, anche ciò che ne è il contorno produce un ricordo particolare; a fine giornata, tra tutti gli articoli letti, quello che si ricorderà meglio sarà proprio quello con quell’illustrazione bella e gli altri di mera cronaca passabile avranno riempito ma non in modo indelebile.
oggi si fa ancora naturalmente, ne conosco anche tanti di bravissimi illustratori, ma o forse io sono vintage o forse non li comprendo appieno. oggi c’è una geometria, c’è un uso quasi forzato dei piani, un ragionamento cerebrale che mi dà più l’idea che si vada meno di pancia. nel mio essere artista non ho mai ragionato su ingombri, spazi, persino i margini sono un drammatico problema perché non li rispetto mai. franco bruna mi dà l’idea che anche lui andasse di pancia. o se c’era un ragionamento dietro non lo si percepiva. questo dovrebbe fare un grande: mostrarti il suo disegno e fartelo sembrare semplice. come quando vedevi giocare ronaldinho che faceva dei lavori con quei piedi che dicevi: e cosa ci vuole? lo so fare anche io! ah, proprio. e forse anche l’utilizzo spropositato del computer e dei suoi programmi non aiuta a migliorare la mia visione. ecco. mi sembrano freddi. osservando una delle illustrazioni di franco bruna non è mai accaduto. ne ho sempre visto il cuore.
franco bruna disegnava qualunque personaggio, ma nei miei ricordi l’ho amato per le sue caricature di sportivi. a guardarle adesso sono malinconiche: erano i calciatori del calcio che amavo io, giocatori che oggi non si ricorda nemmeno più.
chi si ricorda di claudio taffarel (uno dei primi portieri stranieri approdato nel campionato italiano),
o di vincenzo scifo (belga di evidenti radici italiane e di buon gioco del torino),
o persino branco (brasiliano difensore del genoa di signorini)?
o di rafael martin vasquez (uno dei pochi spagnoli approdati nel campionato italiano),
o thomas skuhravy (ceco numero 10 del genoa),
o jurgen kohler (lo stopper con i baffi della juve)?
dioppo che tempi!
e franco bruna ne era l’esecutore in quello che oggi è un bellissimo ricordo. oggi il testimone lo ha preso (nei miei personalissimi gusti) un ragazzo brasiliano, cristiano siqueira, che disegna i giocatori di oggi.
e li disegna così.
a confrontarli è assolutamente evidente quanto siano lontani nel tempo, nella storia e soprattutto nella tecnica. ma ci sta. si dice così mi pare: è la vita, no?
ma tra le tante cose che ho nella mia libreria, bambini di tutto il mondo, insieme ai fumetti di de luca, conservo gelosamente le pagine della gazzetta strappate con le illustrazioni di franco bruna e lo speciale che disegnò per uno dei campionati vinti dal milan.
questi. i miei ricordi preziosi.