Perché gli uomini stanno con le Midori ma si innamorano delle Naoko e la faccenda Murakami

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La faccenda Murakami, parrebbe.

La prima parte del titolo è un omaggio al bellissimo articolo scritto da Ivano Porpora sul sito La nottola di Minerva a riguardo delle donne di Murakami, la seconda invece prende spunto da una riflessione letta su junkiepop dal titolo Murakami mi stai sul cazzo (e forse il suo portare sfiga).
Considerato che sono a tre quarti della lettura di “La fine del mondo e il paese delle meraviglie”, scritto da Murakami nel 1985, lo scrittore giapponese inizia a infiltrarsi spesso nel mio quotidiano e mi domando perché se prima esisteva e io me ne fregavo e semplicemente non lo leggevo, oggi non ne ho scampo e quasi mi viene voglia di leggerne ancora.

In un paese come l’Italia di oggi, l’oggi del 2014, completamente allo sfascio culturale e nel quale ai vertici delle classifiche ci sono i libri di Fabio Volo, Murakami appare fin troppo “alto”. In un paese come l’Italia divelta nelle arti, un paese nel quale il catalogo Ikea è alla pari della rivista “l’Arte” (che fu), anche il cinema si ritrova e si rivolta contro, come specchio sociale, dalla “La grande bellezza” di Sorrentino a “Il capitale umano” di Virzì, entrambi invischiati nella faccenda Academy Award, il primo vincendo, il secondo essendone nominato nella categoria Miglior film straniero. Il cinema si ritrova perché, soprattutto nella pellicola di Virzì, racconta l’abisso di classi sociali e quanto, ancora oggi, siano distanti tra loro, in un oggi che accentua le differenze. Potremmo dare la colpa a Berlusconi, è sempre colpa sua in fondo, perché nasce da lui (nasce da lui o è sempre stato così ma la memoria addolcisce la realtà dei fatti e dei ricordi?), e la politica attuale le incentiva poco a poco. Sono film che parlano dell’Italia: il primo in modo patinato, mostrando una Roma che fa ammattire gli americani, premiato poi forse proprio per questo (non è un caso che gli americani scoprano Cinecittà negli anni ’50, se ne innamorino, ci investano in una lunga storia d’amore che, di fatto, si è sopita ma mai spenta), il secondo crudo, crudo in un modo che a me fa molto male, conoscendo entrambi i mondi raccontati e poi per una strana forma di giustizia, in un qualche modo.

Poi arriva Murakami.
Quasi che una nuotata nel covo degli invisibili e le teste degli animali che sono i ricordi delle ombre staccate degli uomini, be’, sembra un’esperienza di vita vissuta, minimalista alla Carver, onirica rispetto a quello che si legge sui giornali e si vede in televisione.
Chi si avvicina all’alba dei quaranta, avrà più o meno vissuto tutte le epoche e le mode letterarie che ci hanno accompagnato fino a qui, legate sì, a circuiti cittadini, regionali, di quella condivisione priva di internet, espressa solo tra ombrelloni sulla spiaggia, atrii dell’università, banchi di scuola e bar della facoltà; le abbiamo vissute tutte, da Enrico Brizzi nel nostro periodo universitario a Daniel Pennac e i suoi Malaussene, al Nick Hornby che leggeva il ragazzo carino dell’ombrellone vicino steso sul lettino dopo il bagno (e tu pensavi di avere già una chimica straordinaria con lui perché leggevi lo stesso libro anche tu), all’Andrea De Carlo che ti è anche piaciuto per poi decidere di bruciare i suoi libri dopo “Masterpiece”, ai mattoni filosofici perché non bastavano quelli che ci davano da leggere al liceo classico, ai classici attuali di Dostoevskij Jane Austen Tolstoij Fitzgerald eccetera, alle Zadie Smith e al ciclo americano “McSweeney’s” più i vari Chabon, Ellis eccetera, per poi arrivare a Saramago e a farti figo durante gli aperitivi con Murakami.
Una strada del centro chiusa al traffico, un bar che si riempie prima di cena, l’amico interista che fa le battute sul Milan e invece tu hai solo voglia di fare chiacchiere svagate e frivole, poi qualcuno che tira fuori la faccenda Murakami.
La frase detta da un amica di Ivano Porpora, autore del pezzo “Per un’idea della donna di Murakami“, “perché gli uomini stanno con le Midori ma si innamorano delle Naoko?”, racchiude il momento storico che stiamo vivendo. È una legge tacita che esiste dall’alba dei tempi e che ci ha portato a vivere nel mondo dei Fabio Volo, un mondo che detta così non è proprio il massimo. Sembra che un’onda di bassezza culturale stia invadendo le nostre anime.

Perché gli uomini stanno con le Midori e si innamorano delle Naoko?
Perché esiste da sempre, magari inconsciamente, il lento avvicinarsi e restare in una “comfort zone” che tranquillizza e che, nel tempo, si modella su di noi come fosse una seconda pelle. Qualunque cosa si tratti: amore, scelte professionali, amici, persino nella scelta della marca di passata di pomodoro al supermercato. Ma poi, le Naoko sono lì a ricordarci che c’è una vita oltre, che c’è un burrone dal quale buttarsi senza sapere se si ha il paracadute o meno e senza sapere se ci si farà male o sarà invece la nostra salvezza e quel cambio radicale di vita alla quale si aspira sempre e da sempre, e non si fa mai. Le Naoko esistono per ricordarci che ciò che non si può avere e si desidera è ciò che ci fa rimanere in vita. In fondo “Match Point” di Woody Allen deve averci insegnato qualcosa a riguardo delle Midori e delle Naoko (anche se in quel film si chiamavano Chloe e Nola).

Forse c’è sempre bisogno di Murakami. Per capire tra le righe il mondo di oggi. O forse no, forse è solo incomprensibile.

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