Brasile – Corea del Sud 2 – 0

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Ero a San Mamede, ad appena tre, quattro chilometri da Sarria.
San Mamede è un albergue privato lungo il Cammino di Santiago. Cornice splendida in mezzo a un prato verde, casettine basse e con un portico che correva ad u lungo la struttura, mentre Maria, la polacca che parlava spagnolo suonava il pianoforte, io camminavo a piedi scalzi sull’erba. Tra tre vasi decorativi, un pallone dagli esagoni verde – oro riposava placido.
Dopo che cammini per quasi un mese e mezzo, i tuoi compagni di viaggio sono ormai assodati e il gruppo formato. Si procede insieme todo junto como gente!. e io avevo conosciuto due brasiliani fin dalla stazione di Bayonne, per poi prendere insieme il pullman per Saint Jean Pierre de Port e ritrovarci davanti alla mappa della piccola cittadina di confine francese cercando di capire dove fosse l’ufficio di accoglienza dei pellegrini. Era l’inizio di qualcosa di enorme, la chimica, a pelle, che ti lega a persone mai viste in vita tua e che diventano le persone che vedi tutti i giorni, con cui ti svegli tutti i giorni, con cui mangi tutti i giorni e con cui, semplicemente, esisti tutti i giorni.
È stato quello che ho definito spesso nei miei racconti a voce con le amiche, un Cammino brasiliano. Un po’ perché c’erano davvero tantissimi brasiliani, un po’ perché era così che doveva andare.
Quel giorno avevo camminato 34 chilometri. Avevo i piedi distrutti, ma due palleggi a quel pallone li ho fatti. Certo, dopo quella faticaccia ho retto tre nano secondi ma trovai quanto meno curioso che il pallone avesse proprio i colori brasiliani in quello che era davvero il mio Cammino brasiliano. Sembrava fosse tutto brasiliano, non c’era modo.
Era il primo pallone che vedevo e toccavo. Per oltre quei quaranta giorni il calcio, che è come una droga, fu completamente assente. Quasi. A Burgos, la Juventus l’ho vista contro il Monaco e un paio di partite della Liga durante le cene del pellegrino sono scappate, ma quando sei lì tutto assume una prospettiva diversa, le cose cui non puoi fare a meno nella vita ordinaria perdono importanza per la loro futilità e ci si rende conto di ciò che davvero fondamentale vivere. Per altro ho beccato gli unici due brasiliani a cui il calcio non piaceva e quando sei lì trovi che sia tutto simbolico o che la vita ti stia suggerendo qualcosa.
Appena tornata, a parte il primo fine settimana dormito interamente, le vecchie sane abitudini – e cioè drogarmi di calcio -, sono tornate come non fossero mai andate via.
Ma adesso conosco qualcosa di più del Brasile.
Come tutti i paesi lontani o che vivi da turista, non hai la più pallida idea di cosa significhi essere di quel paese. Dei brasiliani hai questa idea riportata, condizionata dai racconti degli amici durante il Carnevale o delle immagini in tv delle spiagge, della povertà imperante, delle favelas e dei calciatori ricchi. Sai che odiano gli argentini per qualunque cosa, sai che ridono sempre, sai che soffrono di saudade. Non immagini che come ovunque, ci siano brasiliani medi, cioè quei brasiliani che, come i benestanti italiani, possono permettersi uno stile di vita comodo e confortevole. Io li ho toccati con mano e ti da una visione del Brasile totalmente differente.
Ti rendi conto che è un paese affascinante, per la cultura, le tradizioni, la gente diversa, i luoghi, la musica. Pericoloso, come tutti i paesi africani e sudamericani, ma prima di allora non mi importava molto di visitarlo. Oggi invece, il Brasile è sulla porta dei post – it dei viaggi che un giorno mi sono ripromessa di fare. Perché non ho amici laggiù, ma fratelli. Ma questa è una roba da Cammino, roba che quando torni nel turbinio di quotidianità che ti affoga perdi di vista. Eppure, una parte di me ci pensa ancora, a quei giorni, e basta vedere un Brasile – Corea del Sud della FIFA Women’s World Cup in Canada per riportarmi a quel giorno a San Mamede e a quel pallone dagli esagoni verde – oro.
La prima volta che vidi giocare la nazionale femminile di calcio brasiliana giocava ancora Carolina Morace. Già in quei lontani anni ’80 – ’90 era una delle squadre più forti. Io avevo undici o dodici anni e guardavo quell’Italia – Brasile trasmessa sulla RAI in diretta sognando un giorno di fare la calciatrice. Italia – Brasile non è mai una partita qualunque; evoca talmente tante sensazioni che è impossibile non avere un ricordo soggettivo di un proprio, personalissimo Italia – Brasile, a prescindere che sia femminile o maschile. Io ero lì, a guardare la donna che volevo diventare correre, e correre. Non ricordo il risultato finale ma ricordo bene che non sono diventata una calciatrice ma solo una che disegna fumetti. E oggi, so che ci sono altre italiane e altre brasiliane che calcano il campo.

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Marta, per esempio. Come pronunci il nome Marta hai un’immediata ammirazione per una che, se il mondo fosse un luogo onesto e giusto, avrebbe un richiamo pari a quello di Pelè. Ma è una donna, quindi è un nome qualunque in un’epoca in cui dire Pelè, figuriamoci poi Pelè in gonnella, non sembra proprio un complimentone. Già citando Neymar hai capito di cosa si stia cercando di parlare, ma Neymar ha una risonanza che persino il suo nuovo taglio di capelli è una notizia da prima pagina, mentre Marta in totale ombra segna l’ennesimo gol da record e se, malauguratamente, li paragonano (come purtroppo è accaduto in un servizio di StudioSport), lo fanno per il conto bancario non esattamente ugualitario.
Il Brasile è una squadra bellissima. Compatta, composta da giocatrici bravissime, e divertenti. Le ragazze a guardarle ti danno quell’allegria tipicamente brasiliana che ti fa sorridere a prescindere, e poi sono atlete, atlete professioniste, e il cui impatto psicologico è quasi pari a quello degli Stati Uniti. Sono loro, le solite che hai imparato ad apprezzare: Fabiana, Monica, Luciana, Taissa, Cristiane e le altre. E ti piace da matti vederle giocare.
La Corea del Sud è la Corea, una delle tante squadre asiatiche che ti possono fare lo scherzetto in ogni momento quando beccano la concentrazione giusta. Corrono tanto ma a livello tecnico non è messa benissimo e incappano spesso in partite da sbagli madornali/incomprensioni a partite nelle quali fanno da matti. In Asia, dopo Cina e Giappone è la squadra più accreditata, però fallare un Mondiale ci può stare; vedi la preparazione fisica, vedi un gruppo non motivato, vedi una generazione di giocatrici non all’altezza a parte le due top.
Per cui Brasile – Corea del Sud inizia con il sospetto che quelle che perderanno non avranno gli occhi a mandorla. Anche se, per quanto questo Canada 2015 sia interessantissimo, peccato per i costanti errori arbitrali. Nel primo tempo, dopo la canonica fase di studio, un rigore enorme per la Corea non viene fischiato e chissà come avrebbe reagito il Brasile sorprendentemente sotto di uno. Ma poi ci pensano al 33mo i difensori coreani che combinano un pasticcio, o meglio, lo combina la numero 5 Kim Doneyon che fa un assist involontario a Formiga in accelerazione – e non si capisce se fosse un passaggio non capito dal terzino che presumibilmente doveva seguire l’azione difensiva o un sbarazzare in fallo laterale -. Naturalmente, con un regalo così, la Formiga – altro fenomeno che non ha bisogno di presentazioni – non sbaglia di certo e fa 1 – 0 a fine primo tempo.
Al 53mo si chiude invece la partita; questa volta il fallo in area viene visto – anche grazie alla caduta roteante e scenica di Formiga – e fischiato. Ci pensa Marta a siglare il 2 – 0.

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È una serata senza pioggia a Montreal. Brasile – Corea del Sud è la partita da prima serata il 9 giugno e il termometro segna 20 gradi.
Da lontano, dalle finestre delle abitazioni, c’è quella luce forte che si intravede tra i palazzi. Non ci pensi, vivi la tua vita con i tuoi ritmi. Poi ti dici che forse quelle luci sono i riflettori dello stadio. Perché, ah già, bambini di tutto il mondo, gioca il Brasile.

(le foto sono tutte mie. amen)

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