Svezia – Nigeria 3 – 3

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Non avrei mai voluto essere nei panni delle giocatrici svedesi negli spogliatoi a fine gara di fronte all’allenatrice che, con il volto duro e digrignando i denti, avanzava dritto come un fuso e usciva attraversando il campo. Lei, Pia Sundhage.

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Fa paura vero? Immaginatela incazzata.

La scena è stata questa: Pia Sundhage, visibilmente alterata, che aspetta e aspetta e aspetta di stringere la mano a Edwin Okon, selezionatore pasciuto della Nigeria che, al contrario, si abbracciava con lo staff tecnico e pregava inginocchiato ringraziando il suo Dio per quel miracoloso pareggio.
Sì perché la Svezia, la Svezia avanguardista del calcio femminile già nei lontani sessanta e inizio settanta quando iniziò a finanziare, sostenere e cullare le donne nel calcio, due reti le fa (più per disattenzione delle nigeriane che per mancanza di qualità tecnica: l’ 1 – 0 è un’autorete), in una partita che sembra pendere ineluttabilmente a loro favore e quasi senza storia.
La Svezia pare talmente fredda e forte dei propri mezzi che sembra inimmaginabile che le nigeriane (che hanno anche loro una buonissima storia calcistica in Africa), nel disordine degli schemi possano anche solo avvicinarsi all’area delle gialloblu.

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Fine primo tempo. Le gazzelle mettono l’acceleratore.

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E infatti mentre la “non so il nome ma si è impegnata parecchio” protesta sulla linea di fondo, una delle svedesi è visibilmente basita.

E invece, le gazzelle mettono l’acceleratore dopo un mezzo primo tempo di confusione totale e quasi di scherzo (su una punizione dal limite laterale dell’area una giocatrice prova a disorientare la barriera con un saltello sul pallone nel tentativo di una finta davvero improbabile) e arrivano sul 2 – 2 senza colpo ferire in un secondo tempo che ribalta completamente i primi 45 minuti.
E invece, le gazzelle che sono arrivate allo stadio ballando e cantando festanti, si infilano nei buchi della difesa e le svedesi si lasciano sorprendere come scolarette. Il gol dell’1 – 2 è bellissimo: pallone filtrante nel centro dell’area, stop di Okobi a saltare Nilla Fisher che rimane imbalsamata mentre la nigeriana si libera con una giravolta e si ritrova sola davanti all’estremo svedese che viene fulminato con un bel tiro preciso. Che poi a osservare per bene le reti della Nigeria ci si rende conto che i mezzi tecnici li hanno anche e sicuramente non è una squadra cuscinetto, ma che al contrario se la gioca, rialzando la testa e reagendo anche sotto di due gol.
Nilla Fischer è un difensore moderno: spesso in attacco e molto alta, rientra poco, coperta spesso da una compagna di reparto. Però manchevole forse in concentrazione, non saprei, nonostante la sua esperienza commette errori madornali.
Quando la Svezia segna la terza rete, la Nigeria ormai ha capito come fare e le infila di nuovo in velocità nei buchi che si molecolarizzano come buchi neri nello spazio e, dopo il 3 – 3, prova anche ad attaccare spaventantando le svedesi.

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L’esultanza di Linda Sembrant e, di schiena, di Nilla Fisher sul 3 – 2 per altro con un tocco abbastanza fortunoso della numero 3 gialloblu.

È lunedì 8 giugno e nell’omonimo stadio di Winnipeg alle 15 locali (le 22 in Italia) i capitani di Svezia e Nigeria si stringono la mano augurandosi reciprocamente un buon incontro.
Non è una giornata di sole, non oggi almeno per quanto Winnipeg si trovi quasi al centro sul confine con gli Stati Uniti e sia una delle città più fredde del mondo con estremi di caldo tipo Milano in agosto. Ci sono 22 gradi e la percentuale di umidità è affrontabile.
La Svezia propone la sua formazione migliore. Ogni volto inquadrato, per chi segue anche poco il calcio femminile, è un continuo ah sì, lei la conosco. dove l’ho vista? e i nomi non te li ricordi ma sai che la numero 5 della Svezia con le braccia tatuate e i capelli biondi corti l’hai vista nel Wolfsburg nella finale di Champions (Nilla Fisher), sai che quella bassina con il laccio bianco tra i capelli l’hai vista nel teaser di FIFA16 che esulta proprio con la bionda dai capelli corti (Kosovaren Kosse Asllani), sai che quell’altra con il collo lungo l’hai vista in O. Lione – PSG 4 – 0 e che festeggiava con Le Sommer e le altre (Lotta Schelin). E sai che vagamente le ricordi tutte dall’Algarve Cup di questo marzo.
Sulla Nigeria ti domandi solo se quello sulle maglie è il verde Nigeria che indossavano anche i colleghi maschi all’ultima Coppa d’Africa e ti dici che no, quella banda obliqua sulle nuove maglie della Nike non ti piacciono. Per il resto, è la prima volta che vedi la nazionale femminile della Nigeria giocare. Non conosci nessuna delle giocatrici, ma almeno a me capita così: non dico affezionarsi, ma riconosci subito quelle che sono sul pezzo e che ti fanno simpatia e i motivi sono molteplici. La prima volta che vedo un’accelerazione della Okobi penso: sembra una gazzella. Gambe slanciate, muscoli atletici ed elastici tipici degli africani, quasi genetici, gente che sembra nata per correre e le nigeriane non si esimono da questo nei loro fisici notevoli. E infatti fisicamente e atleticamente sono superiori alla Svezia.
Quando Ortega pareggia all’87simo, la sensazione che si ha della Svezia è tipo un burrone che si crea sotto i loro piedi e le inghiotte tutte. Già che non è gente calorosa ma il fumo che esce dalle narici e dalle orecchie del coach Pia Sundhage non passa inosservato. E non è una visione rassicurante.
Finisce così, 3 – 3.
Con le giocatrici svedesi che nella migliore delle ipotesi subiranno giusto una lavata di capo.

Le foto le ho fatte io tristemente al monitor del Mac e quella del coach Pia è dal sito fifa.com

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