vent’anni di Casina del Bosco

casina-copertina

era il 1995 quando Aris Guidi riprese la vecchia entrata della balera estiva “casina del bosco” di cui ho un vaghissimo ricordo infantile e la trasformò in quello che oggi è uno dei luoghi del ristoro riminese più classico della classica piadina prosciutto crudo-rucola-squacquerone.
nata come azienda familiare, caratteristica tipica dell’italianità, lo è tuttora mescolando un prodotto casereccio con un ambiente che, quando ci si siede, fa sentire davvero a casa. i ragazzi sono sempre gentili e gli stessi riminesi (gente che non si frega e che, come in ogni città, se in un posto non si mangia bene sicuro che non lo frequentano più) ne assaporano la buona piada e continuano a venirci lasciandosi trasportare nel sole estivo.
l’ho sempre pensato: quando riapre la “casina” arriva l’estate, è uno di quei posti che fa estate.
io ho passato sei anni della mia vita lì dentro, prima che si decidesse per il restyling, oggi così moderno e bianco. ritrovo ogni tanto, osservandomi intorno, alcune cose che c’erano allora, come le sedie più che vecchie vissute e che vengono riutilizzate alla bisogna.
in quelle stagioni ho conosciuto un vallo di persone e dei ragazzi che lavoravano allora, oggi ci sono Diego e la Fra che già nel 2001 lavoravano con me. ha questo la “casina”, fidelizza.
aperto ogni giorno (a parte i primi lunedì di metà maggio e quelli da metà settembre) dalle 12 sforna piade fino a sera, e si trova in una di quelle stradine del mare a Rimini che se non ti capita di cercarla non impari mai il nome, quella via Beccatelli 13 che io ho imparato per causa di forza maggiore.
Aris è riuscito nell’arco di vent’anni a creare un ambiente dove il prodotto più povero della cucina riminese fosse reinventato in un piatto sì tradizionale ma in un certo senso nuovo, con abbinamenti di sapore e di gusto (che io ricordi è stato il primo a inserire nel menù una piada con il roast-beef) che ne hanno cementato quell’onesto mix di qualità e quantità. oltre a questo, è stato attento, stagione dopo stagione, a migliorie culinarie che sono passate dalla scelta della birra a prodotti km 0 a prodotti per i vegetariani, raffinandosi anno dopo anno.
in più, l’occhio alla modernità ha avuto un ruolo fondamentale: la piadina 2.0. la “casina del bosco” è sempre stata al passo dei tempi, anche nell’avanzare della tecnologia (ho ricordi con l’azienda che forniva i palmari per inviare gli ordini con i quali facevo inserire le piade sulla base dei gusti dei clienti e la “casina” è stata una delle prime a usarli nel servizio) fino a essere totalmente interattiva: ha profili facebook e twitter e su altri social, un sito molto bello e da spiluccare (come le briciole della piada nel cestino in vimini) e che se clicchi sulle foto nella pagina terrazza è in diretta streaming, e posta con buona cadenza le novità inerenti alla cucina e al merchandising. le magliette “i love piadina”, parafrasando il famoso “i love Ny” molto in voga negli anni ’80 e poi praticamente eterno, sono state le più vendute da quando ne potevano acquistare anche i clienti e poi quei dettagli che ti fa ammirare la cura di queste piccole cose. tipo, novità dell’estate 2015 è il bag in cartoncino con il logo della piadineria che si chiude come quando si va a ritirare una torta dal pasticciere e se si vogliono anche sangiovese e squacquerone c’è l’offerta cofanetto. i più non si accorgeranno nemmeno di queste cosine, cosine che (e io che purtroppo o per fortuna ho un occhio ormai allenato e per quanto non faccia più la cameriera è un occhio che non mi passa) sono significative di una cura per i dettagli che fa capire quanto amore ci sia in un’attività commerciale.
dettagli che andavano da un’idea semplice come quella di servire le piade nei cestini di vimini (cosa poi copiata da tutte le piadinerie) oppure la scelta della cucina a vista, cosa che pochissimi locali all’epoca avevano il coraggio di proporre. a ricordare quegli anni, praticamente un mondo di piccolezze che però ne hanno fatto l’eccezionalità.
la mia prima piada del 2015 alla “casina” la mangio a pasquetta. al bagno 34 si stanno svolgendo le ultime partite del Paganello, il mondiale di frisbee, appuntamento imperdibile per i riminesi a pasquetta, e io e l’ila, facendo tappa a Rimini tornando dalla Liguria, non abbiamo nemmeno bisogno di domandarci dove mangiare un boccone. la piada alla “casina” quando si capita a rimini è automatica come la sigaretta dopo il caffè. e poi, quando arrivano i primi raggi di sole, è un posto che ti fa venir voglia di tornarci. ecco: pensate mai a quei posti che rimangono nel cuore e appena si ha l’occasione ci si ritorna di corsa? questa è la “casina del bosco”.
naturalmente, da quando la birra è l’Amarcord (altro classico riminese) ne ordiniamo un paio.

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il fondo del bicchiere “italians do it better” simpatico ma a voi l’interpretazione

e poi, se l’ila adesso è in fissa con la tonno-carote-acciughe-maionese, io mi sparo una sardoncini-radicchio-cipollotto. mentalmente mi ero fatta anche il promemoria del fotografarla prima di mangiarla, ma quando mi è arrivata davanti c’è stato un black-out nella mia testa e il risultato è questo.

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sotto, la sardoncini-radicchio-cipollotto come sarebbe dovuta essere prima che me la divorassi

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però, prendendo in prestito le foto dalla pagina facebook ufficiale della “casina”, posso mostravi la piada rucola-squacquerone con l’azdora Adele (la mamma della Barbara, la moglie di Aris) sfocata sullo sfondo.        

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scorrendo le foto mi vengono fuori talmente tanti ricordi che è come si fosse aperto un vaso di pandora. tipo, quell’anno che, a fine stagione, esausti dal suono della campanella con cui l’Adele ci richiamava in cucina per servire le piade calde, la Sara la lanciò nella fontana dei quattro cavalli. o quella volta che, alla chiusura facendo le chiacchiere da fine serata, ci mettemmo a giocare a pallone sul marciapiede e Mattia lanciò il pallone nel bar e nel silenzio della notte echeggiò il suono dei vetri rotti, o una delle prime notti rosa, completamente impreparati alla fiumana di gente che si sarebbe riversata in riviera finimmo le sedie e facemmo sedere le ragazze su casse d’acqua e usammo persino un fusto della birra. che ricordi…! o ancora, quella volta, nel 2006 che l’italia divenne campione del mondo che, dopo l’euforia iniziale e vari festeggiamenti nei limiti del possibile, io finii in cucina a farcire le piade perché non ci stavamo dietro con l’asporto, Ricardo controllava il frigo delle birre come un carabiniere e Graziano non faceva altro che far scorrere le dita sui tasti della cassa per gli scontrini. ricordo come in situazioni del genere che all’epoca sembravano l’apoteosi, noi ragazzi, dopo un attimo di sconcerto, fossimo così scattanti da organizzarci ognuno in ruoli idonei alla situazione. erano gli anni di Ivan, della Robi, della Mina, di Gra, del Pulcino che ogni tanto compare nei miei articoli, di Paolo e Mattia, Nat e poi e poi, quanti ragazzi sono passati dalla “casina” e quanti clienti, Bucchi, Carlton, una miriade di volti che si sommano ad altri tutti preziosi, tutte esistenze che ho incrociato. o le cosiddette celebrità: la Megan Gale, quella modella australiana con la faccia a patata delle prime pubblicità vodafone, o Giuseppe Battiston, Tosca piripi D’Aquino, Cecilia Dazzi, Fabio de Luigi, le troupe di film come “da zero a dieci” di Ligabue che non venne mai ma che io incontrai tra un turno e l’altro mentre usciva dall’hotel Polo con dietro uno stuolo di gente che lavorava con lui, Michele Santoro, Nicola Savino di RadioDeejay tipo a mezzanotte con Gaia Bermani Amaral, ma la più bella fu quella volta che venne Anna Falchi. faceva un caldo del signore, la piazza (la distesa di tavoli sul ciottolato come li chiamavamo noi) era piena con un unico tavolo da due tra una fila da quattro uno accanto all’altro e occupati. quell’estate, la Falchi finì sui quotidiani cittadini perché le era stata ritirata la patente per non ricordo cosa e quel pranzo arrivò con un suv nero guidato da un’amica che naturalmente parcheggiò sulla salitina che dalla strada apre sulla “casina”. lei, non volendo stare in mezzo alla gente, fece portare il tavolino dentro: ora, era ancora la vecchia “casina” e non aveva le vetrate che ha adesso dalle quali anche il dentro può essere fresco. si sciopava, non si stava dal caldo, eppure lei pretese la tranquillità. che comunque non ebbe. perché la voce che la Falchi era lì si diramò in mezzo nano secondo e ho ancora la visione della piazza piena di donne e dalle sedie vuote mentre cerco di capire perché ci sia una coda della madonna di soli uomini per l’unica toilette del locale che era sullo stesso piano (e non come oggi che si scendono le scale circumnavigando il locale), e io che mi giostro zigzagando con cinque cestini in mano da servire. credo sia una di quelle immagini indelebili che si stampano nella mente e non c’è modo di liberarsene. i colori, gli odori, quella strana quiete nell’attesa che escano a bomba le piade, ricordo tutto, come fosse adesso. quella fu bella, la raccontammo negli anni a venire come fossimo stati gli spartani sopravvissuti ai persiani.
a ricordarle adesso, sono tipo ricordi universitari, ai quali si da un peso nella misura in cui quella era la quotidianità che non sarebbe stata per sempre, eppure oggi hanno un sapore di estate, di libertà, di spensieratezza che, crescendo, un po’ si perde.

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lei invece è l’Adriana, l’Adri, braccio destro dell’Adele, alla “casina” penso dall’apertura. ah…anche con Adri che bei ricordi…e poi, la cucina è quella che è meno cambiata nel tempo come personale, a darvi l’idea che ormai è una squadra più che affiatata e che fa bene le cose da anni: una garanzia meglio della casco.

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altro classico, la piada salsiccia-cipolla, una delle robe più buone che abbia mai messo sotto i denti

le tovagliette. altra cosa curiosissima ogni stagione. ci fu quella gialla, quella azzurra, altri colori che non ricordo più. un paio le avevo anche conservate, ma non le trovo più. oggi sono bianche, molto più grafiche di un tempo ma con quel pizzico di tradizione.

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vedete? certo, è solo il particolare del menù, così poi vi viene una fame del signore, ma tanto lo trovate sulla pagina facebook ufficiale e anche sul sito, anche se il top è andarci proprio.

le magliette. ogni stagione Aris ne faceva fare di nuove. oggi ho una sportina di magliette della “casina” e un cuore pieno di ricordi. oggi i ragazzi hanno anche le felpe; noi, nei primi 2000 non le avevamo ancora e, volte, si creava confusione nel riconoscerci, soprattutto nelle mezze stagioni quando non era ancora caldissimo o quando ritornava il fresco. di magliette ne ho indossate tante. ci fu l’anno della polo celeste con lo stemma ricamato, o l’anno della maglietta a righe con le scritte oro, quello “alla baseball” o, appunto, la famosa “i love piadina” più una serie di magliette celebrative tipo il primo Wellness alla nuova fiera di Rimini o per la notte rosa. ma, a detta di tutti i ragazzi con i quali ho lavorato in quegli anni, quella a righe fu la nostra preferita di sempre.

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sopra, la maglietta stile baseball: la scritta “piadina” e lo stemma ricamato e cucito su una manica. sotto, la particolarità del numero 15 che fu la domanda più frequente insieme alla “siete già aperti?” e la risposta è che evidenziava il numero civico della “casina”, via Beccatelli 15. sempre sotto, la maglietta a righe con le scritte che erano oro, ma lavaggio dopo lavaggio aveva questo difetto di schiarirsi.

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e siccome a scrivere di piada e a guardare le foto mi è venuta una fame della madonna, c’è un sole caldo che fa venire voglia di passare la giornata fuori casa, prendo il treno e vado a Rimini, e mi sparo una bella piada alla “casina”, bambini di tutto il mondo. ci vediamo qui.

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 ci sono già la Fra e Davide che io e le mie amiche abbiamo sempre chiamato Uzzo. la Fra è tra l’albero e l’angolo del bar, l’albero che è sempre stata tipo l’edicola con i quotidiani, dalla Gazzetta a La Voce che i clienti possono leggere e Uzzo smadonna con un palmare. Aris invece è quasi di schiena con il maglioncino blu.

casina-sedie

e le sedie di quando lavoravo alla “casina” sono queste, che stava brutto aprire un articolo con la foto di sedie impilate nel retro

(le foto sfocate e alla cazzo OVVIAMENTE sono le mie, le altre sono dalla pagina Facebook ufficiale  e dal sito della “casina”) 

 

0 Comment

  • demivanni

    quando ci torni salutami tutti..la casina è una grande famiglia..i ricordi affiorano come se fosse passato un giorno..il profumo della salsiccia e cipolle..ivan che smadonna perche invece di iniziare il servizio siamo ancora al caffe sigaretta giornale..e smadonna di piu quando entro nel bar per dargli i bacini con l’Adele che se la ride alla grande..i fine servizio..bello..
    concordo..la mia preferita rimane quella a righe..

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