domenica è sempre domenica (una passeggiata nel sole domenicale alla ricerca dei murales di Eron tra rimini e riccione)

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la sveglia avrebbe dovuto suonare alle 8,30. ma non lo ha mai fatto. per i ritmi della settimana, anno dopo anno, la sveglia è entrata in testa e si aprono gli occhi prima del suono malefico.
una volta, per rendere questo momento un po’ più accettabile avevo usato una canzone che mi piaceva tantissimo. sarà stato che non era proprio un bel periodo, ma oggi la odio. magari riesco anche ad ascoltarla, ma è automatico il collegamento cerebrale a quelli anni. e mi ritorna su la furia. così, per non odiare altre canzoni che mi piacciono, uso una frequenza radio a caso. male che vada, sarà la voce di quel povero deejay il capro espiatorio di risvegli anticipati e indesiderati.
è domenica. una domenica di sole splendente.
siamo io, l’ila, il pelino, ste, chia, dani, pondi e ale. prendiamo due auto, il mitico pandino bianco a metano dell’ila e la terribile fiat 500l dai sedili tinchispaccaschiena di pondi in sostituzione della comoda c4 in riparazione dal meccanico.
avrei dovuto fare un programma di tappe per ottimizzare il tempo ma naturalmente mi ritrovo a farla mentalmente in auto perché mi sono sparata un’overdose di partite del sabato che ciao. fortunatamente, aver vissuto tre quarti della mia breve vita a rimini aiuta parecchio e spesso mi basta una foto, un dettaglio di un panorama, per capirne il luogo.

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la campagna marchigiana scorre dall’autostrada e poi si apre, sulla destra, il mare, lo stesso mare che ho vissuto praticamente da sempre. perdiamo l’adriatico dopo senigallia, poi di nuovo campagna ed entroterra. mi piace iniziare ad avere confidenza anche con la campagna marchigiana, è un arricchimento culturale e territoriale importante nella scoperta costante che può e deve essere il bagaglio di vita di ognuno di noi. il cartello verde con la scritta bianca marche barrato con una striscia obliqua rossa è la conferma del nostro ingresso in quel dell’emilia-romagna, evidenziato dallo stesso bianco su verde. da cattolica è un paesaggio più che conosciuto, fino a rimini nord perché usciamo vicino alla nuova fiera per visitare come prima tappa la chiesa di san martino in riparotta nella quale Eron ha disegnato la volta. è come tornare a casa per me, le otto colonne sottostanti quel cielo dipinto da davide le ho realizzate io.
con don danilo c’è un rapporto di stima, consapevole del meraviglioso lavoro che abbiamo terminato. la chiesa, nel tempo, è diventata meta di pellegrinaggi frequenti, visitata per l’arte nuova che don danilo ha avuto il coraggio di ospitare. lo dico spesso poi, è un lavoro che ho misurato nel tempo, perché a caldo, quando ci fu l’attenzione mediatica da parte di giornali, rai e internet, mentalmente cercai di non farmi avvolgere da quel successo effimero che può far girare la testa più di un buon vino.

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(la volta e sotto il particolare del figlio di Davide ritratto di schiena)

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in uno dei piloni che sostengono il ganglio che porta alla deviazione san martino in riparotta-viserba-nuova fiera lasciando il mare alle spalle e percorrendo la statale verso santarcangelo (quella dello stadio di base-ball dei pirati per intenderci), si trova un altro lavoro di Eron. curioso come sia (ancora) la strada la palestra di progetti che poi vedono la luce in luoghi commissionati per essere diversi e decorare con la street art pareti che sarebbero coperte da cartelloni pubblicitari inutili e che deturpano le città.

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questo Eron lo fa probabilmente prima di realizzarlo in lungo in uno dei corridoi della metropolitana di roma (piazza di spagna). a rimini, quasi che ne fossimo abituati, abbiamo goduto della sua arte, scoprendone ogni tanto di nuovi, che sono poi diventati ineluttabilmente quei dettagli che ti fanno ricordare un dato luogo e lo valorizza indelebilmente.
quanti di noi, girando in motorino, non abbiamo incrociato il suo coniglietto dal ghigno diabolico che scappava fuori da un ovetto kinder la cui scritta sopra era krimini e la firma ferrEron sul cabinotto verde davanti al palazzetto qualche metro oltre la pizzeria sulla curva bigno?
oppure il suo maurizio costanzo appena passato il sottopassaggio di viale tripoli andando verso il mare?

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siamo cresciuti così, noi riminesi. con le opere di Eron intorno come fossero scontate. e invece ci ha fatto un regalo della madonna. mi ricordo che c’era un periodo che avevo focalizzato il suo stile e trovando uno dei suoi graffiti, presumibilmente nuovi, me ne rallegravo e già allora li consideravo dei regali: finalmente qualcosa di bello da vedere in giro nell’imbruttimento di una rimini comunque bella ma che il potere cercava di rovinare costantemente che, come un gioco dispettoso, si accorgeva del nuovo bello e si compiaceva del riverniciartelo lasciando quel vuoto dittatoriale.
poi Eron è diventato famoso e la gente che prima si inorridiva per lo scempio dei muri dipinti oggi va persino a osservarne la finalizzazione come fosse la prima alla Scala.
nel mio programma mentale accampato alla bell’è meglio dell’ultimo momento, li porto prima a un muro che passa quasi inosservato, reduce di una torrefazione che oggi non esiste più, accanto a una saracinesca chiusa. scendiamo lungo l’adriatica andando verso le celle fermandoci all’angolo tra la via emilia e via bagli. anche i ragazzi non notano il muro e al contrario chiedono  perché ci si stia fermando vicino a una rotonda senza nulla di appariscente. e io mostro loro questo, abbandonato come solo può essere un negozio dismesso.

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poi andiamo in via covignano al bar dla còtma per mostrare loro il forex che adesso decora le pareti nella parte bassa della palazzina. è forse la meta più scomoda e fuori zona perché le altre possono essere correlate anche da paesaggi non solo più bucolici ma anche storicamente interessanti. quel forex era stato realizzato credo per un altro bar, e chissà, forse se un giorno qualche editore locale pubblicasse mappa e storia dei murales di davide lo racchiuderebbe in un suo dato periodo, un po’ come picasso con il suo periodo rosa e blu tipo. in effetti, a osservare accuratamente i suoi lavori una piccolissima differenza la si nota, ma probabilmente io ho uno sguardo allenato negli anni, dai primi graffiti ai murales affacciati a un’attenzione sempre più alta. magari poi mi sbaglio, ma questo forex sembra l’incubatrice dello stile con cui poi ha realizzato un altro forex, più conosciuto, quello sul porto che a sua volta lo ha portato alla raffinatezza degli ultimi. il bar dla còtma non è quasi mai una sosta fondamentale nella ricerca dei murales di davide, al contrario te ne accorgi perché ci passi davanti. e non è detto che te ne accorga alla prima occhiata. io stessa ci sono dovuta passare davanti due volte prima di sospettare e avere conferma che era un lavoro di davide.

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continuiamo verso il borgo san giuliano che racchiude diversi murales facilmente raggiungibili a piedi. lasciamo l’auto nel parcheggio del ponte di tiberio mentre famiglie spingono carrozzine inconsapevoli della loro domenica riminese nella vetrina del bar vecchi, famiglie che comprano il giornale, famiglie che comprano i pasticcini o che sonnecchiano sfogliando i quotidiani cittadini o che si godono il sole come fossero già in spiaggia anche se è inverno ma fa figo così da queste parti.
attraversiamo la strada sulle strisce pedonali di fronte a vecchi e sull’angolo di via tiberio con via marecchia il cui ciottolato si intrufola nel vecchio borgo con le sue stradine strette e dalle casette basse e colorate, sulla casa rosa spento ecco il primo murales di Eron realizzato in diretta nel mentre dell’ultima festa de’ borg di inizio settembre del 2014.

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ci inoltriamo nel borgo e mostro ai ragazzi, da moderno cicerone dall’accento romagnolo, anche il murales dedicato alla claudia cardinale del film “8 e mezzo” di fellini. o meglio, mostro il muro vuoto dove in un tempo fastoso era la cornice dell’opera di davide, opera che nei lavori di ristrutturazione della casetta è stata riverniciata. ha un che di fastidioso come il prurito delle punture di zanzara, solo l’idea che qualcuno possa aver avuto il coraggio di prendere secchio e pennello e coprirlo senza pietà, senza un briciolo di rimorso nell’aver compiuto un gesto infame. rimaniamo così, di fronte a quel muro oggi uguale a tanti altri di cui solo la memoria può vantare un ricordo mentre lo cerco su internet e rendo omaggio a quello che avrebbe dovuto essere e non è più, un muro inutile.

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uno dei ragazzi asserisce quanto questo genere di decisioni comunali rovinino cose che andrebbero preservate come patrimonio culturale e un altro ribatte, aprendo un dibattito interessante nel quale si passa da questa nuova forma artistica che solo gli anni ’80 hanno reso pop al ma oggi come viene vista considerato che basquiat, haring e warhol sono morti da un pezzo? a me che ne spiego l’evoluzione e le differenze dall’origine dei graffiti, storicamente, a ciò che oggi si può considerare una moda mentre li conduco oltre il ponte di tiberio ed entriamo nel parco marecchia dal sentiero a fianco della ferramenta c.i.t.a. perché la prospettiva da lì rende il lavoro di davide ancora più bello. e dalle loro espressioni sul volto capisco che ho scelto bene.

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qualche nuvola ha fatto il suo ingresso nell’azzurro del cielo, ombreggiando i colori e un vento leggero muove le foglie secche nel parco. scendiamo lungo il sentiero e costeggiamo il bacino d’acqua che perimetra quell’angolo di parco con vista sul ponte di tiberio. risaliamo sulla ghiaia che ci porta direttamente al parcheggio e ci fermiamo sul confine del parco a osservarlo: per me è un vaso di pandora che ogni volta si apre. racconto ai ragazzi di quando giocavo a pallone nel campo con la porta arrugginita e indico con il dito in linea d’aria i luoghi nei quali la Lori Ghinelli ha ambientato i suoi libri. prima che i ricordi tornino tutti fuori come un fiume in piena, decidiamo di mangiarci una piadina al nud e crud per poi raggiungere il porto; al nud e crud ho portato spesso i ragazzi e chia ogni volta non vede l’ora di mangiarsi la piada con squacquerone e fichi. tradisco la casina del bosco solo perché intanto è chiusa in inverno e io con gli altri vivo rimini più nei mesi freddi che non d’estate, e d’estate quelle poche volte che capitiamo è naturalmente un appuntamento tassativo. ci concediamo chiacchiere, chi piade chi cassoni, birrette, dolcini e piade dolci, caffè e ammazzacaffè. è domenica e quella sua flemma rilassata aleggia in noi contenti di queste gite non troppo impegnative e per il semplice gusto di stare insieme unendo un interesse diverso che non sia una mostra o una galleria. ci alziamo e riprendiamo le auto direzione porto: l’idea di una passeggiata lungo il molo e un altro caffè piace a tutti, così andiamo.
attraversando la strada per tornare alle auto, mi ricordo della prima volta che vidi il manifesto turistico per l’estate 2011, disegnato proprio da Eron. stava affinando la sfumatura che contraddistingue il suo ultimo periodo e questo passaggio mi fu evidente nella mostra che, sempre quell’estate, vidi con l’enrichetta a palazzo mussolini a riccione. lo raccontai ai ragazzi, nel mio solito modo romantico delle cose belle che non ci sono più, ricordando il sole, la luce filtrante nei raggi forti di un tramonto di quella primavera già estiva, il borgo che si animava nonostante fossero quasi le 7 di sera.

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è semplice raggiungere il porto dal borgo. basta attraversare il ponte di tiberio e andare a sinistra e poi sempre dritto. si gira subito a sinistra, nella stradina sul lungo fiume ormai ciottolata da qualche anno e che per chi aveva motorini dalle ruote piccole (tipo io con la vespa) malediceva sempre quel lavoro urbano terribile. i ciottoli sono sassi rotondi che con la pioggia diventano più scivolosi della suola delle clark’s e, per renderlo più facile, hanno mantenuto l’irregolarità del terreno che forma una v con una striscia di sassolini piccoli fatali nel centro.
arriviamo alla rotonda del navigare necesse che sulla sinistra ti porta sul ponte dei mille direzione celle e a destra in via dei mille direzione riccione. i ragazzi mi dicono in quale lingua io stia parlando perché questi termini qui a loro non dicono assolutamente nulla, a me invece dicono tutto. altro vaso di pandora aperto e ciao. spiego loro che come chi ha sempre vissuto dove è nato molti luoghi non hanno il nome storico ma il modo in cui gli abitanti li chiamano dall’alba dei tempi. le celle sono un quartiere, quello del cimitero, e dico loro che quando ero piccola, la strada prima di arrivare alla rotonda del navigare necesse era a doppia corsia e non a senso unico come adesso e poi che era un incrocio con il semaforo; la rotonda con l’obelisco c’è sempre stata ma l’urbanistica era diversa e aveva strade più grandi. anche il ponte dei mille è stato ristrutturato, come quasi tutto lì intorno. il navigare necesse è sempre stato uguale: ripulito magari, ma sempre lì è stato insieme alla freccia con scritto mare (riverniciata più volte) e l’ancora distintiva nella cupola vicina. mi chiedono cosa sia questo navigare necesse e naturalmente rispondo come qualunque riminese che non ha vissuto l’istituto: indico la scritta scolpita in alto e che domina la rotonda e confesso che non ho la più pallida idea di cosa sia e che io l’ho sempre chiamato così. suppongo fosse stata una scuola e che oggi funga più o meno alla stessa maniera ma ammetto anche che non ci ho mai messo piede in vita mia.
andiamo sempre dritto, oltre le due nuove rotonde che il sindaco ha fatto costruire. la prima, quella all’angolo della parrocchia di san nicolò (nel cui campo da calcio facevano una delle fogheracce più alte e fighe di san giuseppe), utilissima: quell’incrocio era una delle robe più pericolose che io ricordi. la seconda, quella che sulla sinistra dà sul ponte di via coletti e che porta a viserba e che sulla destra aveva il bar dell’Inter oggi gestito dai cinesi (che incuranti di come lo avevano preso hanno tenuto quelle tende nerazzurre fino oltre l’abbandono dell’inter club), era da millenni che i riminesi la chiedevano perché i semafori erano lunghi ammazzati.
quando arrivi a questa rotonda sei già al porto, così, generico, perché per i riminesi quella è la zona porto. indico ai ragazzi il baretto della iole che quando batte il sole rischi di ustionarti peggio che al mare e che probabilmente ha un suo nome da pagine gialle ma non per i riminesi. e poi racconto loro di come una volta alla fine della strada c’era un ristorante quotatissimo, quei cavalieri al mare che da piccolina quando vedevo quelle vetrine luminose e quei macchinosi parcheggiati fuori mi dava la sensazione che per mangiarci dentro uno doveva chiedere un mutuo. racconto che nelle case dietro ci sono appartamenti che, sempre quando ero piccola, affittavano per l’estate ed erano molto carini: locali ampi con soppalco e un giardinetto che ti portava in un altro mondo.
e poi arriviamo al mare, passando dalla strada che divide la pista di pattinaggio dal circolo tennis. in quei campi, racconto sempre, ci vidi in estate un allenamento della Mauresmo, io che in quei campi coperti d’inverno hanno provato a insegnarmi a giocare a tennis, fallendo miseramente.
giriamo sul lungomare e il mare si apre davanti a noi come non ci si aspetta. passiamo il delfinario, oggi definitivamente chiuso, e i ragazzi mi chiedono cosa sia; racconto loro che qualunque bambino nato negli anni ’70/’80 ha visto lo spettacolo dei delfini che con la coda ti bagnavano dalla testa ai piedi (ma alla cassa ti davano gli impermeabili di plastica gialla) e racconto loro di quella volta che conobbi la sorella di non mi ricordo chi che, laureata in biologia marina, faceva lì dentro il tirocinio e che quando ci parlai nell’unica volta che la vidi mi si aprì un mondo di fauna acquatica a me sconosciuta fino a quel giorno, perché i pesci, a parte mangiarli, erano quelle robe che ti solleticavano le caviglie nell’adriatico cristallino della mia infanzia.
andiamo fino alla ruota panoramica che da qualche anno ha cambiato lo skyline piatto della spiaggia (a vederlo dal bagno 29/30 sotto l’ombra del nettuno tipo) e parcheggiamo nuovamente nelle strisce bianche a fianco dei marinai. ovviamente le mie indicazioni stradali sono proprio queste, da riminese navigata, e di chi non si è mai sforzata di usare altri termini comprensibili alle orecchie di uno straniero: parcheggia a fianco dei marinai per chi non sapesse che i marinai è il ristorante storico quasi di fronte al club nautico, circolo velico ed esclusivo di lunga data del riminese e ottimo ristorante di pesce.
l’ancora che è ormeggiata a mo’ di monumento sotto la ruota panoramica all’inizio del piazzale del molo e su cui oggi ci si scatta le foto e ci si arrampica e ci si siede, erano anni che, abbandonata, era parcheggiata in un angolo del molo stesso, quella parte dove i pescherecci accostano e vendono il pesce azzurro direttamente dalla barca. quando poi vidi che era stata rigiocata così, pensai al perché avessero impiegato così tanti anni nel riutilizzarla in modo così semplice, automatico, quasi banale. venni a sapere che quella era un’ancora tipo storica di non mi ricordo quale nave che ormeggiò nel porto di rimini e con la mia faccia che quando pensa qualcosa è praticamente un libro aperto rimasi zitta domandandomi perché, proprio per la sua Storia e importanza, fosse stata dimenticata sotto fronde di pini marittimi dietro la siepe dell’officina delle barche.
è un mistero a tutt’oggi insoluto, di cui naturalmente i ragazzi hanno dovuto sorbirsi i miei perché inconcludenti mentre siamo nel centro di piazzale boscovich e indico loro che una volta in quell’angolo c’era un tendone che era in realtà una libreria. ricordo che leggendo la notizia sul giornale ci rimanemmo tutti un po’ male, insomma la libreria le vele aveva accompagnato spesso i nostri passi ciondolanti tornando indietro dal rock island’s ed era stato un luogo coperto nel quale scaldarsi due minuti quando la malsana idea di una passeggiata invernale al porto (dove tira fisso un vento del signore) albergava nella nostra mente in quelle domeniche grigie che era meglio stare a casa e, soprattutto, last but not least la libreria dove i volumi erano divisi benissimo e io ci compravo sempre i primi romanzi di autori romagnoli all’esordio e pressoché sconosciuti, è stato un duro colpo.
il forex su cui davide ha disegnato granchi e mazzancolle alternati a monumenti di rimini oggi non è un bel vedere. salsedine, vento, sabbia e semplicemente incuria comunale hanno arrugginito e scolorito quel forex metallico che copriva il perimetro dei rettangoli di cemento che dividono gli scogli dal mare. quanto meno le scritte con lo spray che dichiaravano amore eterno a nomi che non hanno faccia e quella la piada da ladris che in un periodo apparve spesso sui muri di rimini erano state felicemente dimenticate dietro un’opera che meritava maggiore cura. questo forex faceva parte di un tentativo di riqualificazione del molo, rovinato da scritte infelici e sporco dal ritorno dei nottambuli dal rock island’s e probabilmente affidarlo alla mano di davide era anche un modo per celebrarlo.

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(per darvi un’idea, PRIMA era così)

come ogni cosa, con il tempo, ti abitui ad averla sotto gli occhi e quasi non ci fai più caso, tranne quando te ne ricordi e la osservi, scoprendoti sorpreso che una meraviglia simile fosse sempre stata lì e sbuffando per non averla fotografata immortalandola nel massimo splendore.
lasciato il molo ci dirigiamo vero l’ultima tappa prima di riprendere l’autostrada a riccione.
è uno degli ultimi lavori di Eron e siamo più che sicuri, quasi sollevati, che vedremo una roba bella bella bella e non quello spettacolo osceno come al porto.
le nuvole vanno e vengono in questo cielo riminese che dall’alto curiosa i nostri movimenti. conosco tutto, le strade, le deviazioni, le scorciatoie e passato il macdrive superiamo la rotonda che porta alla piscina di riccione e continuiamo oltre l’altra rotonda, quella che va a coriano. parcheggiamo sul lato del cimitero che è sempre stato all’incrocio con la strada che porta all’autostrada. oggi è l’ennesima rotonda, una delle tante che ospitavano opere cubitali che raffiguravano sdraio, lettini, mosconi e non ricordo cos’altro. ma ricordo che vennero esibite in spiaggia e ricordo che le foto dall’alto della riviera con questi oggetti così comuni per chi è gente di mare erano davvero sceniche. la strada è stata asfaltata da poco, si vede dalla tonalità scura della calce e dalle strisce laterali ancora gialle, da lavori in corso. quello che non sapevo è che dalla parte opposta del cimitero hanno costruito una ciclabile che corre sotto un sottopasso di cui ignoravo l’esistenza. ed è qui, nella curva di questa pista a doppio senso con strisce di mezzeria fresche che Eron ha disegnato le sue cicogne. notevole, spettacolo davvero notevole quando si apre appena si scendono le scalette allo stesso modo con cui tipo a barcellona scorgi una delle case di gaudì e non ti aspetti che sia lì, così, come un palazzo uguale agli altri in mezzo agli altri. osserviamo l’opera che Eron ha intitolato concrete vs concrete scrutandola nei particolari, persino toccandola, e le foto di rito che certificano il momento della nostra presenza.
il sole, in questo pomeriggio riminese, sta iniziando a tramontare. ha provato a nascondersi dietro qualche nuvoletta scanzonata ma poi è sempre tornato prepotentemente al suo posto.

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(lato del cimitero)

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[il lato oltre l’adriatica (sempre quella di cui sopra che è una strada che ti porta oltre cattolica)]

ed è così che ce ne andiamo, in un sole dai colori che iniziano a essere sfumati e dalle ombre lunghe. ci saluta in uno degli ultimi raggi che hanno illuminato la nostra bella gita domenicale.

 

 

(le foto scattate incredibilmente sempre in giorni di pioggia sono mie tranne l’ovetto kinder, costanzo, il muro con la cardinale, il forex del porto PRIMA e il manifesto turistico di rimini che sono i ricordi di altri)

 

 

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