Perché Sanremo è Sanremo!

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Dicono che gennaio e febbraio siano mesi freddi, eppure tra i giorni della merla, il giorno della marmotta, carnevale, San Valentino, il Super Bowl e Sanremo di robetta calda ne succede. Calda nella misura in cui c’è sempre qualcosa di cui parlare.
Sanremo ha due scuole di pensiero: chi lo vorrebbe abolire e chi invece lo esalta.
Personalmente, trovo il Festival di Sanremo di una bruttezza incommensurabile, talmente brutto che va oltre lo stereotipo della stessa bruttezza quasi a sconfinare ad apoteosi di sublime, riecheggiando nei ricordi del tempo come qualcosa di bello. O semplicemente lo specchio dei tempi e, come i Mondiali, segnano le nostre età, dalla giovinezza alla vecchiaia.
Nato in un’epoca così lontana nella quale questa manifestazione canora aveva un senso anche agli occhi del mondo, oggi mantiene un’importanza tradizionalistica prettamente italiana – con ciò che esso comporta – ma che nonostante gli svariati tentativi di rinnovamento doverosi (i tempi cambiano e si sente la necessità di svecchiarsi) non è riuscito a diventare moderno e al contrario sembra sempre vecchio, apparentemente.
Faticosamente ci si prova a ringiovanirlo ma quel palco sembra stregato; non c’è un solo presentatore, valletta e persino orchestra che sia che non appaia, pur con il contesto moderno, chiuso in una scatola come la televisione degli anni ’60. Da una parte la classicità del format non permette lampi di genio e stravolgimenti di copione, dall’altra scuotere quelle ragnatele ha provocato l’effetto contrario alle volte. In una delle scene che è diventata storica (Pippo Baudo quando ha salvato il signor Pino, un quarantenne infelice, che minacciava di ammazzarsi lanciandosi sulla platea nel 1995) apparendo anche nelle classifiche delle varie top ten tra momenti indimenticabili e canzoni più brutte, si è poi scoperto che era tutto finto, tranne per Baudo che ci credeva davvero, ma noi telespettatori, per chi c’era, eravamo lì, a vedere in diretta quella cosa alla quale non riuscivamo a dare una definizione. Ecco, se c’è una costante in Sanremo è l’incredulità nel vedere certe esibizioni, di qualunque tipo, per poi rivalutarle, ma solo perché il tempo si dice sia clemente.
Abbiamo visto presentatori imbolsiti, rigidi e impacciati, e pochi, pochissimi, pur rimanendo nella scaletta hanno eccelso: ma anche in questo caso, mi domando se è la mia nostalgia o la professionalità e bravura di alcuni grandissimi della tv. Come le edizioni di Mike Bongiorno, soprattutto quella del 1997, quella con Valeria Marini valletta e Chiambretti (momento top Chiambretti angioletto nel suo bianco svolazzare che ciaccava la Posh Spice).
Erano edizioni per altro di un’Italia ricca, diciamo, e di quella ricchezza il palco di Sanremo non lesinava ostentazione: solo a riguardare i nomi degli ospiti stranieri si capiva il livello, spesso in realtà per catturare il pubblico giovane, il mio soprattutto, quello che a metà anni ’90 orbitava tra i 16 e i 20 anni; per dire, avete mai immaginato quando potesse costare invitare i Take That, le Spice Girls, ma anche Madonna negli anni d’oro a un Festival come quello di Sanremo?
Nello svecchiamento costante, nel 2013 il Festival torna in mano a ciò che venne definito “il miracolo di Fazio e della Littizzetto” che riuscirono a renderlo meno noioso, seppur macchiato da quelle che nel frattempo sono diventate nei ricordi edizioni strappalacrime, come quella del 1999 e del 2000, affidate agli stessi e sul cui palco sanremese portarono Luciano Pavarotti e il premio Nobel Dulbecco.
Quando il Festival di Sanremo nacque era un po’ come Lucca per i fumettari, ossia l’evento che racchiudeva le migliori pubblicazioni dell’anno, così Sanremo era il momento nel quale uscivano le hit che ci avrebbero accompagnato fino alla manifestazione successiva. E se una volta, in effetti, certe canzoni scandivano i tempi che correvano in una produzione musicale che con il Festivalbar non si fermava mai, queste canzoni rimanevano e segnavano le epoche e le classifiche. Sembra incredibile, ma alcune delle canzoni della musica italiana che ci rappresentano ancora oggi nel mondo vengono dal palco di Sanremo e sono state cantate lì la prima volta.
Battisti, Modugno, Gigliola Cinquetti che non ha ancora l’età, Tenco, Dalla, Ramazzotti, Pausini, Carmen Consoli, l’indimenticabile Mia Martini, Gianni Morandi, Tozzi, Raf, Anna Oxa, Fausto Leali, i Matia Bazar, Mango, Massimo Ranieri, Al nano e Romina Power, Donatella Rettore, Jovanotti, I Subsonica, i Marlene Kuntz, molti, a un certo punto, hanno cantato a Sanremo.
Tante belle canzoni certo e , in alcuni casi, perle francamente indimenticabili.

“Fiumi di parole” dei Jalisse, Sanremo 1997.

Non si sapevano chi erano allora e dopo il Festival e la vittoria incomprensibile del 1997, sono spariti.
Quell’anno, come sopra, Sanremo era condotto dal mai rimpianto Bongiorno, Chiambretti e Valeria Marini, Nek vinceva il premio della critica con “Laura non c’è“, Silvia Salemi veniva ricordata per “A casa di luca” (ciupaciumpa),  Carmen Consoli dopo essere stata introdotta dal Pippo nazionale a Sanremo giovani del 1995 con “Quello che sento“, vi arriva nel 1996 con “Amore di plastica” e appunto nel 1997 nella categoria nuove proposte con “Confusa e felice” nella quale trionfavano Paola e Chiara con “Amici come prima” mentre Niccolò Fabi debuttava cantando “Capelli” e faceva ritornare noi giovani ventenni davanti alla tv accorrendo e ululando come solo i veri fan sanno essere. Solo a scriverli me li sto riascoltando tutti con un misto di sorpresa e incredulità e tanta, tanta nostalgia.

“Respirare” Loredana Bertè  – Gigi D’alessio versione remix con Fargetta, sanremo 2012

Cosa stesse pensando Gianni Morandi, presentatore di quella edizione, quando accettò di farli esibire insieme remixati da Fargetta è a tutt’oggi un mistero. Fu l’anno della farfallina di Belen, di Elisabetta Canalis che traduce con Morandi l’inglese di Robert De Niro e dell’ultima apparizione televisiva di Lucio Dalla, scomparso per un infarto due settimane dopo. Vinse Emma con “Non è l’inferno” nonostante Arisa avesse presentato una canzone bellissima come “La notte” che aveva riportato Sanremo a una qualità canora di altri tempi. Dolcenera cantava “Ci vediamo a casa“, orecchiabile e colonna sonora dell’omonimo film la cui presenza a Sanremo mirava esclusivamente da traino alla pellicola. Quando tra i big vidi i Marlene Kuntz (il link non lo metto per rispetto al mio vetusto amore per la band, o meglio, vi linko il duetto con la grandissima Patti Smith di “because the night“) capii come la kermesse fosse diventata in fondo un modo come un altro di darsi visibilità prima che regalare canzoni stupende (lo è mai stato poi?). Il duetto di Goran Bregovic e Samuele Bersani che insieme cantano “Romagna mia” invece ebbe un sapore da Festa dell’Unità, quasi da masticarla ancora, quella piada salsiccia e cipolla e il vino da brick.
Ennesimo momento di incredulità nello spettatore, è oggi un altro di quelli nelle classifiche di cui sopra.

“In bianco e nero” di Carmen Consoli, Sanremo 2000.

Sarà che era il primo Sanremo del nuovo millennio, sarà che gli anni ’90 nello spirito non erano ancora passati, ma l’edizione del 2000 è con gli occhi della nostalgia una delle più riuscite, se non altro per il livello di artisti in gara. Sul palco dell’Ariston si alternarono Samuele Bersani con “Replay“, Max Gazzè con “Il timido ubriaco“, i Subsonica con “Tutti i miei sbagli“, Irene Grandi con “La tua ragazza sempre“, ma anche Gerardina Trovato con “Gechi e vampiri“, Mietta con “Fare l’amore” e il ritorno di Marco Masini che dopo aver mandato a fanculo l’universo si presentò con “Raccontami di te“. Baudo aveva a malincuore o forzatamente, chissà, abbandonato il timone e Fabio Fazio pilotava il carrozzone per la sua seconda volta illuminandosi dalla presenza di Ines Sastre, elegante e misurata fino a essere una gradevolissima scoperta. Forse erano sempre quei novanta che proprio malaccio non erano perché nel 1998 al fianco di Raimondo Vianello fu scelta Eva Herzigova, altra che be’, che con il suo “molto bene” e l’italiano singhiozzante divenne un tormentone fino a che non scemò l’effetto Sanremo.
Questa edizione del 2000 sanciva il trapasso della nuova generazione di musica italiana, artisti che si stavano affermando e stavano diventando certezze e non fuochi di paglia, artisti come i Marlene Kuntz, Niccolò Fabi, gli Afterhours, Samuele Bersani, Max Gazzè, i Subsonica, i Bluvertigo della trilogia chimica, Daniele Silvestri, i Negrita, e tantissimi altri, artisti tra cui Carmen Consoli che nonostante i primi anni roccheggianti già dimostrava una raffinatezza e una qualità enorme e immagino che Sanremo fosse quel dazio di cui sopra. L’argomento mamma ha sempre funzionato benetra i votanti, tanto è vero che Luca Barbarossa nel 1992 vinse il Festival con “Portami a ballare“. Quell’anno però il popolo preferiva “Gli uomini non cambiano” di Mia Martini che divenne un classico nel tempo e trovarono simpatici i sardi Tazenda con la loro “Pitzinnos in sa gherra“.

“Noi ragazzi di oggi” di Luis Miguel, Sanremo 1985

L’anno prima, il 1984, vinsero Al bano e Romina Power con “Ci sarà” ma fu anche l’anno nel quale uscirono da Sanremo canzoni come “Non voglio mica la luna” di Fiordaliso e “Come si cambia” di Fiorella Mannoia.
Alcuni microfoni della Rai erano ancora quelli con la testa gialla (notatelo qui dove un giovanissimo Eros Ramazzotti canta una “Storia importante“), la tv era in 4:3, bevevamo Coca – Cola come se non ci fosse un domani e il Mare Adriatico era talmente cristallino che sembrava il mare più bello del mondo. C’erano i fusò e le spalline e le paillettes e le pettinature fonate come nemmeno un viaggio di mezza giornata su una decappottabile ti fanno diventare i capelli così.
Nel 1985 un’Anna Oxa ossigenata cantava “A lei“, Zucchero arrivava 21° con la bellissima “Donne“, Riccardo Fogli post Pooh e Ivan Graziani con rispettivamente “Sulla buona strada” e “Franca ti amo” erano in piene sonorità elettroniche da microprocessori, tecnologia innovativa che fa della musica degli anni ’80 la musica degli anni ’80, e i Duran Duran con “Wild boys” (video e testimonianza notevole) erano uno dei gruppi ospiti di quell’anno, la cui presenza creò un’isterismo e scene da parte delle ragazzine che a guardarle adesso fa tanta tenerezza. Partecipa anche Claudio Baglioni che inizia ad allenarsi a rifare “Questo piccolo grande amore” da lì ai trent’anni successivi perché venne premiata come “canzone d’amore del secolo” ed è l’unico che può concedersi di suonare da solo il pianoforte e lasciare muta l’orchestra. Vincono i Ricchi e Poveri con “Se m’innamoro” ma fu lui, Luis Miguel, con la canzone scritta da Toto Cutugno il tormentone di quell’estate. Conquistò tutti – mamme, babbi, nonne, ragazzine naturalmente – con quella faccia da bravo ragazzo con l’accento spagnolo che provava a fare il simpatico. Ma la canzone (e i suoi a-aah) è passata alla storia. Lui meno, sparito dopo questo lampo.

Trottolino amoroso dududadada ovvero “Vattene amore” di Amedeo Minghi e Mietta, Sanremo 1990

Dopo il 1985 gli anni sanremesi prima del ’90 videro uscire dalla kermesse canzoni come “Lei verrà” di Mango nel 1986; “Quello che le donne non dicono” della Mannoia e “Si può dare di più” del trio Morandi -Tozzi – Ruggeri vincitori nel 1987; “La prima stella della sera” dei Matia Bazar, “Quando nasce un amore” della Oxa, “Le notti di maggio” sempre della Mannoia, ma soprattutto Massimo Ranieri con “Perdere l’amore” trionfatore nel 1988 e fu oggettivamente un gran gran bel Sanremo che meriterebbe quasi una postilla tutta sua (giusto per, gli ospiti tra gli altri furono: i New Order, Paul McCartney, George Harrison, Rick Astley, Belinda Carlisle, Brian Ferry, Joe Cocker, gli A-ha, gli Eight Wonder e l’episodio spallina, Suzanne Vega, i Wet Wet Wet, i Johnny Hater Jazz, i Def Leppard e i Bonjovi tipo) e poi ancora, nel 1989, “Ti lascerò” del duo Fausto Leali – Oxa ma sopra ogni cosa “Almeno tu nell’universo” di Mia Martini in un 9° posto da gridare allo scandalo e il buon Raf che furbescamente canta “Cosa resterà di questi anni ’80“. Il 1990 ci lascia la vittoria dei Pooh con “Uomini soli” , “Donna con te” della Oxa che ormai timbra la presenza a ogni Sanremo insieme al cambio di look, ma il top del top è “Vattene amore” di Minghi e Mietta. credo che trottolino amoroso dududadada sia una delle frasi più longeve che anche i giovani che, in quegli anni non erano ancora nati, sanno per forza annoverabili nelle espressioni passate alla storia tipo verso l’infinito e oltre di Buzz Lightyear. Nulla da dire, impossibile non conoscerla e non saperla a memoria, didididi… E sappiate che se Chiara Ferragni chiama Fedez raviolino è tutta colpa loro.

Commozione e ovazione. Potrebbe bastare così e non elencare più nulla, ma c’è un’ultima perla che merita:

“Siamo donne” di Sabrina Salerno e Jo Squillo, Sanremo 1991

L’edizione del 1991 non è che sia una delle più memorabili e già si intuivano le difficoltà del rimanere legati al fenomeno di costume tradizionale e l’aria doverosa di cambiamento che la manifestazione canora non permetteva. Anni novanta che oscillavano in un pericoloso traballare perché di innovazioni ne passavano (e ne facevano passare) poche e poco per volta si scivolava in un trash di cui ancora oggi se ne portano i segni. Tipo che per dare un’idea le uniche canzoni degne di nota uscite dal 1990 al 2000 sono state  “La solitudine” della Pausini nel 1993,  “E poi” di Giorgia nel 1994, l’epica “Con te partirò” di Boccelli nel 1995 e un giovane Grignani con “Destinazione paradiso“, i vari Fabi (nel 1998 uscì “Lasciarsi un giorno a roma“) e Consoli già citati, fino al totale declino del primo decennio del duemila e di quest’altra metà con apparizioni interessanti come gli Elio e le storie tese (“La terra dei cachi” nel 1996 e la geniale “La canzone monotona” del 2013, Elio che ha sempre donato ilarità a manetta e ravvivato le mummie) e qualche robina qua e là (“Ti regalerò una rosa” di Cristicchi e “La paranza” di Silvestri nel 2007, “L’essenziale” di Marco Mengoni nel 2013 e le apparizioni dei Marta sui tubi con due canzoni presentate a causa dei nuovi inutili regolamenti “Vorrei” e “Dispari” sempre nel 2013) che però non ha più salvato Sanremo dal suo destino, complice anche l’avvento dei talent.
Nel 1991 vinse Riccardo Cocciante con “Se stiamo insieme” (ci sarà un perché altro modo di dire nel tempo) prima di dedicarsi al teatro nel musical del “Gobbo di Notredame” e secondo arrivò con la sentita “Spalle al muroRenato Zero il quale non si può più guardare senza avere negli occhi l’imitazione di Panariello e anche quando è davvero lui ti sembra il comico, mentre “Spunta la luna dal monte” di Pierangelo Bertoli e i Tazenda era l’etnico che a ogni Festival ci deve essere e che a me piaceva da matti.
Il momento incredulità 1991 toccò a Jo Squillo e Sabrina Salerno con “Siamo donne” in un’indimenticabile performance. A rivederle, in bikini e abito fucsia che tuttavia per il buongusto di allora causarono polemiche, sembrano educande rispetto a quello che si vede oggi pensando a Miley Cyrus, per esempio. Come balla Jo Squillo al minuto 2,36 è da sgrigna irrefrenabile e il loro motto oltre le gambe c’è di più divenne un tormentone che insieme a trottolino amoroso resiste al tempo, il che ha dell’incredibile. Quello che dissero giornali e popolo ve lo lascio immaginare, peccato che questa sia l’unica canzone che si ricordi davvero di quel Sanremo. Quindi, tutta vostra. E, soprattutto, attento che cadi!.

Che che se ne dica Sanremo è Sanremo e Sanremo fa parte purtroppo o per fortuna della storia italiana, una di quelle pagine che ci sono e tocca tenersela. E poi sono ricordi, chiunque di noi ha un qualcosa da Sanremo che conserva, una serata con gli amici o anche una canzone che è piaciuta tanto. Da che prospettiva la si guardi, se Sanremo lo abolissero se ne sentirebbe la mancanza.
Sanremo 2015 inizia il 10 febbraio e finisce il 14.
E sono sicura che una sbirciatina la darete anche voi.

Vi lascio con un’altra chicca. Dato prima paragonavo Sanremo a Lucca, be’, anche Sanremo ha visto un disegnatore calcare il palco dell’Ariston, insieme a Daria Bignardi, Sandro Curzi, Nichi Vendola, Chicco Testa, Marco Giusti nel gruppo chiamato “Riserva Indiana” di Sabina Guzzanti che cantava “Troppo sole” con David Riondino nel 1995. Lui è Milo Manara, ai minuti 0,53, 1,56, 3,57 e un bel mezzo busto al 4,15. E, naturalmente, disegna.

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