la purezza del calcio di agostino di bartolomei

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“Ogni maledetto trenta maggio.
Sono una di quelle persone capaci di legare praticamente ogni data dell’anno ad un ricordo della mia vita. Non so perché ma lo faccio da sempre. Alcuni amici mi prendono anche in giro per questo, citandomi ogni volta una scena di Rain Man (in realtà scelgono quasi sempre quella in cui c’è la battuta “Chi gioca in prima base ?”).
Il trenta maggio è uno di quei giorni in cui i ricordi si accavallano, e mi sento anche un po’ in colpa per questo. Perché il trenta maggio è il compleanno di mia madre. Da bravo figliolo l’ho chiamata poco fa per farle gli auguri. Solo che, ormai da trent’anni, ogni volta che arriva questa data l’anniversario della sua nascita cade inevitabilmente in secondo piano per lasciare il posto a due momenti che mi portano sempre tanta tristezza in fondo al cuore. Mi vergogno quasi a paragonarli, dato che uno è legato a un evento sportivo, l’altro a una tragedia vera, irreparabile. Ma non posso farne a meno, visto che hanno come protagonista la stessa persona. Una persona che non ho mai conosciuto ma che ho solo visto in televisione oppure dal vivo mentre faceva il suo lavoro, ma era troppo lontano da me per potergli stringere la mano. Una persona che ha scelto di mettere fine alla propria vita quando aveva l’età che ho io adesso. Una persona che ha scelto di andarsene lo stesso giorno in cui, dieci anni prima, aveva vissuto la sconfitta più crudele della sua carriera. Credo quindi che capirete il motivo per il quale io, il trenta maggio di ogni anno, dopo aver fatto gli auguri a mia madre, rivolgo i miei pensieri ad Agostino Di Bartolomei. E anche a quella maledetta partita.
Non posso fare a meno di scindere i due avvenimenti, dato che il mio animo romantico si rifiuta di pensare che la scelta di quella data sia stata casuale. Dieci anni dopo. Dieci anni dopo aver tirato, e segnato, un rigore che per me, allora ingenuo ragazzino di nove anni, significava che eravamo campioni d’Europa. Perché l’unico ricordo nitido che ho di quella partita è la mia esultanza dopo che Agostino gettò il pallone alle spalle di Grobbelaar nella sua solita maniera. Da fermo, cercando quasi di sfondare la rete. Io non avevo mai assistito prima di allora a quella che viene denominata, abusato luogo comune, “la crudele lotteria dei calci di rigore”, una definizione che non mi ha mai trovato d’accordo, dato che una lotteria è una questione di semplice fortuna mentre un calcio di rigore è una questione di nervi, di sangue freddo. Essendo quindi a digiuno di regolamenti internazionali pensavo vigesse la stessa regola in vigore nel campetto sotto casa mia: quando una partita finiva pari, si sceglieva il più bravo di ogni squadra e si tirava un rigore a testa. Chi segnava vinceva. Quindi, per me, la partita si era conclusa con il rigore di Agostino e noi eravamo Campioni d’Europa (ripensandoci avrei dovuto chiedermi perché per il Liverpool tirò tal Steve Nicol e non Ian Rush, però avevo solo nove anni). Fu mio padre a riportarmi sulla terra dicendomi che a quel rigore dovevano seguirne altri quattro. Cinque minuti dopo ero lì a chiedermi perché avessimo perso dato che per me avevamo vinto noi. Di quella serata non ho altri ricordi per fortuna. Sfortunatamente invece mi ricordo quasi tutto del trenta maggio di dieci anni dopo. Ero appena tornato a casa a pranzo dopo gli esami di teoria di scuola guida. Sei errori. La segnaletica stradale mi aveva fregato. Mi sedetti a tavola e mia nonna accese la tv per il telegiornale. Fu la prima notizia che dettero. Rimasi senza parole. Dopo il servizio del TG1 cambiai sul regionale di Raitre, dove riuscii a sapere qualche dettaglio in più. Era depresso, dissero. Mi chiesi come facesse ad essere depressa una persona che dalla vita, secondo il mio punto di vista, aveva avuto tutto. Non riuscivo a vedere più in là del calciatore Di Bartolomei, dimenticando completamente l’uomo Agostino.
Negli anni, grazie a libri, articoli di giornale e filmati di repertorio sono riuscito a capire che Agostino Di Bartolomei era un calciatore che non aveva niente a che vedere con il mondo del calcio. Pensandoci bene avrei dovuto capirlo da come esultava. Niente corse sfrenate, niente sceneggiate tipiche dei divi di oggi. Alzava le braccia e ritornava a centrocampo. L’unica volta che sfuggì alla regola fu dopo un gol all’Avellino nell’anno dello scudetto. Una delle immagini romaniste più belle di sempre. Agostino in ginocchio, pugni al cielo e viso contratto in un urlo di gioia e liberazione mentre viene abbracciato da un sorridente Ancelotti. Mentre l’unico sorriso di Agostino che mi viene in mente è quello negli spogliatoi di Marassi quando viene intervistato da un ancora magro Galeazzi dopo che ha appena vinto il campionato. Era davvero troppo serio per il calcio. Non è un caso che anni dopo Paolo Sorrentino si sia ispirato a lui per tratteggiare il personaggio di Antonio Pisapia per il suo “L’uomo in più”, uno dei miei film preferiti di sempre.
Di Bartolomei ha dato tanto al calcio. Un lancio da fermo di quaranta metri. La potenza e la precisione dei suoi calci piazzati. E una intelligenza tattica che raramente ho visto in un calciatore. Di Bartolomei al calcio ha dato tanto, e tanto ha ricevuto, intendiamoci. Il problema è che Agostino, Agostino e basta, dal calcio ha avuto poco. Niente. Solo silenzio. E il silenzio sa come uccidere. Spietatamente, lentamente.
Ad Agostino Di Bartolomei io sarò sempre grato, perché tanto tempo fa mi ha fatto credere, per pochi secondi, di aver vinto la Coppa dei Campioni. Quindi credo che mia madre non se ne avrà a male se, anche nei prossimi anni, ogni trenta maggio, dopo averle fatto gli auguri io penserò a lui.
Dario Di Napoli”

(pensiero omaggio di dario di napoli dalla sua pagina facebook).

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un trafiletto dal guerinsportivo n. 22 (998) del 1/7 giugno 1994.

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l’editoriale del guerinsportivo n. 23 (999) del 8/14 giugno 1994.

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illustrazioni di davide reviati da questo libro qui sopra, “il manuale del calcio” edito dalla fandango libri. il carteggio di agostino di bartolomei scoperto e raccolto dal figlio luca in un commovente ricordo del padre. le illustrazioni di davide sono semplicemente perfette, in quella sospensione da bolla di sapone che è stata la notizia della morte di di bartolomei. al di là della mera cronaca, per tutti quelli che hanno vissuto quel momento, è attraverso i disegni di davide che si racchiude ciò che era di bartolomei. un campione sospeso.

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le riviste degli anni ’80 e ’90 regalavano ancora allegati speciali come le carte da gioco tipo del milan. qui sopra la carta disegnata da franco bruna di agostino di bartolomei, quando già il numero 10 era stato acquistato dal milan pre berlusconi.

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quando la notizia della morte di agostino di bartolomei venne diffusa, quel 30 maggio 1994, decimo anniversario della sconfitta ai rigori nella finale di coppa campioni 1983/84 della roma contro il liverpool, l’italia pallonara aveva già la testa al mondiale negli stati uniti, incuriositi dalla nazionale di arrigo sacchi.

del silenzioso agostino l’Italia pallonara se ne era già dimenticata. solo i tifosi romanisti ricordano e piangevano quel giocatore che da capitano nel 1983 aveva festeggiato con loro il secondo storico scudetto dei giallorossi. il richiamo mondiale era troppo rumoroso e la sua morte passò come tante notizie di mera cronaca e nulla più. anche nella drammaticità del gesto ci fu una sospensione: troppo grande la notizia ma appunto troppo forte il mondiale alle porte e la sua morte si congelò, anche perché una volta finito il mondiale scottava immensamente quel rigore di baggio calciato alle stelle.
adesso, a venti anni dal suo suicidio, ci si chiede ancora perché lo abbia fatto. sconclusionate spiegazioni da bar nelle quali si documenta ciò che era successo prima del folle gesto o di come ci sia arrivato, non hanno mai portato a una verità plausibile. anche il suicidio è qualcosa di assolutamente personale e, come tale, a questa verità non ci si arriverà mai.
eppure, vent’anni dopo, quel campione che anche quando giocava era lontanissimo dalle luci del palcoscenico, lo si ricorda ancora. teneramente.

rispetto ad altre tragiche morti del mondo del pallone, quella di di bartolomei forse proprio perché questa verità che non si scoprirà mai, ha fomentato una leggendarietà che a pochi giocatori è stata concessa.
agostino di bartolomei era una persona affascinante, introversa eppure ricca di passioni.
amava le arti e ne leggeva tomi su tomi, amava scavare nei meandri dell’anima attraverso letture che a citarle ai calciatori di adesso ti guarderebbero con gli occhi da pesce lesso.
di bartolomei non era un uomo comune. e aveva cuore. forse troppo. e infatti in campo lo usava, lottando su ogni pallone, in quel suo modo privato e intimo del farci percepire la sua essenza: era un giocatore che faceva parte di una squadra, era un’anima pesante tra le altre ma senza aver la pretesa di farti vedere che era il più bravo o quantomeno di dirtelo. centrocampista solido di buona costruzione tattica, veniva impiegato davanti alla difesa; di buoni polmoni, vestiva quel numero 10 sogno di tutti i bambini con onestà e un tiro potente gli permetteva di avere anche una discreta media gol. spesso utilizzato come libero, fu molte volte paragonato a scirea sia nel gioco sia nella personalità schiva che caratterizzava entrambi.

mai nessuno come agostino di bartolomei ha espresso una purezza tale nel gioco del calcio. lo vedevi giocare e davvero credevi che fosse un mondo bello, nel quale l’amore per tipo una maglia fosse sincero, nel quale ci fosse onestà, nel quale l’amore per questo gioco fosse l’apoteosi degli amori. quel mondo che ha ingannato tutti. e che ha ingannato anche lui.
abbandonato e tradito dalla “sua” roma, seguì liedholm al milan quando eriksson, nuovo allenatore della lupa, lo aveva inserito nella lista dei partenti.
alla salernitana, dopo una parentesi in romagna nel cesena, giocò ancora da capitano e insieme conquistarono una promozione in serie b mancante da ventitré anni e a salerno lo ricordano ancora: quest’anno, per la finale di coppa italia lega pro contro il monza, la salernitana ha sfoggiato una casacca identica a quella indossata da di bartolomei nella stagione 1989/90.
importa poco oggi ciò che è stato, bambini di tutto il mondo; importa poco cosa ci abbia lasciato.
ma ci piace ricordarlo così.
esultante, e con la maglia che amava.
di quella roma che non avrebbe mai lasciato.

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