Niente di meglio che un calice di prosecco e delle olive verdi

prosecco

Quando arriva la fine della giornata lavorativa il cielo si scurisce e cala una notte precoce che poco ha a che fare con la luce estiva che ricarica le energie.
Quel momento nel quale, nonostante quest’oscurità fuori dalla finestra, si ha la consapevolezza che si può respirare e concedersi un goccio di birra o sì, un prosecco, accompagnato da olive verdi che si trovano nel frigorifero e non si ricorda più bene il motivo per cui si erano comprate o per aggiungerle a chissà quale sugo, ma sono lì, morbide, saporite e le bollicine godono sulla lingua mentre si sorseggia il calice.
A prescindere se piaccia o meno bere del buon vino, è questo il momento perfetto.

Si impara troppo tardi, se non con l’età, che la vita è una successione di pugnette una dopo l’altra e regalarsi attimi di serenità diventano possibili come la vincita al superenalotto.
Lo scandire sistematico del tempo.
Il logorio del quotidiano.
L’essere capitati a volte in vite che non si voleva ma che sono diventate quella realtà che si rifuggiva.
Nella maggior parte dei casi, vivere è uno strazio.
Se invece va bene, si fa il lavoro che si sognava e all’apparenza si è gli esseri viventi più felici della terra.
E non è detto che anche questo basti.
Quel momento prima di mettersi ai fornelli per preparare la cena, una bella sigaretta fumata osservando le luci del panorama di quelle sconosciute vite lontane, mentre si pregusta una serata comunque tranquilla sul divano a guardare un film o l’episodio della serie che si sta seguendo o, meglio di tutto, una partita di calcio o di pallavolo femminile. O anche solo infilarsi nel letto alle 22,30 e concedersi un’oretta di sana liberatoria lettura.
È sempre quel momento lì, nel quale si realizza che la giornata lavorativa è finita, perché una parte del cervello decide che è tale, perché si è finito ciò che ci si era programmato di finire, perché è quell’infinitesimale lasso di tempo nel quale si osserva la scrivania piena di tubetti di tempera, di bicchierini di acqua sporca, di pennelli e acquarelli buttati qua e là in un disordine ordinato da artista e, finalmente, si realizza davvero.
Fuori è buio e il cervello è in pappa.
E si scrivono post come questi.
Le mani sanno ancora di colore, la testa è ancora sulle tavole, e per quanto si pensi contemporaneamente a cosa preparare per cena, cosa guardare in tv o se leggere, ed essere ancora piena delle piacevoli chiacchiere del podcast di “tizzoni d’inferno” dove Tito Faraci, in compagnia di Paolo Interdonato e Boris Battaglia disquisiscono di Hugo Pratt, la testa pensa ancora al lavoro, a quelle tavole, a come risolvere una sequenza, come renderla viva.
Questa sera trasmettono la partita del Torino in Europa League le cui ceneri erano la vecchia e poco amata Coppa UEFA che non aveva certo il fascino della Coppa Campioni. Oggi è tutto un gran miscuglio, campionati europei nei quali in uno ci sono un vallo di soldi (la Champions) nell’altro tante altre squadre e gli scarti della Champions.
E mi ricordo di quella storia che scrissi e disegnai tanti anni fa, “Dalle 16,04 alle 16,15 la testa di Seba non girava a dovere” (che si trova riedita nella raccolta “hai mai notato la forma delle mele?” della renbooks), nella quale Seba costretto dal cugino (le cui fattezze erano evidentemente quelle di Zvonimir Boban con la maglia del Torino) a giocare al parco con gli amici incontra alla fontanella dopo una pallonata subita Beatrice, la ragazza che gli piace, e la sua testa perde per pochi minuti il senno e si immagina una storia che non accadrà mai e la sera si ritrova contento con la UEFA in tv e l’evento del giorno: quell’incontro con Bea.
Perché ve lo racconto?
Non lo so. Non ricordo più il collegamento, ma quel che è certo è che adesso, scritte queste poche righe senza senso, vado a bermi un calice di prosecco. questo qui sotto. Nella cui foto non ci sono le olive perché nel mentre le ho mangiate tutte. E dopo, bambini di tutto il mondo, mi guardo il Torino in tv.

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